Bologna sta diventando più rossa
I cantieri dovuti al bonus facciate stanno cambiando il colore dei palazzi del centro, una trasformazione di cui discutono architetti e storici dell'arte
Dal quadriportico dei Servi, di fronte all’omonima basilica in centro a Bologna, la macchia rossa di palazzo Bianchetti salta particolarmente all’occhio. Non è il tipico rosso di Bologna, ma un rosso più scuro e intenso: un rosso più rosso. Palazzo Bianchetti non è un edificio nuovo, e anzi fa parte della storia di Bologna: fu costruito nel XV secolo e prima della ristrutturazione che ne ha cambiato il colore rientrava perfettamente nel contesto cromatico della città.
I lavori eseguiti negli ultimi tempi, favoriti dal bonus facciate, l’hanno trasformato al punto da farlo emergere rispetto agli edifici circostanti, colorati del classico e più caratteristico rosso bolognese, di una tonalità più chiara, tra l’arancione e il rosa salmone. Palazzo Bianchetti non è l’unico caso: in molte altre zone del centro i lavori di rifacimento delle facciate incentivati dai bonus stanno cambiando il colore della città, una trasformazione di cui hanno iniziato a discutere esperti d’arte e architetti.
Anna Stanzani, storica dell’arte ed ex funzionaria della Soprintendenza di Bologna, ha aperto il dibattito con alcune fotografie postate sul suo profilo Facebook. Ha preso spunto dai lavori a palazzo Bianchetti per chiedere più attenzione ai professionisti che seguono i lavori e in generale per aprire una riflessione sui cambiamenti della città. Tra le altre cose, ha definito il nuovo rosso di palazzo Bianchetti «sgarbato e cupo», e lo ha paragonato a voci «fracassone e fastidiose, quasi diseducative».
Secondo Stanzani, che per anni ha lavorato alla tutela dei beni artistici di Bologna, anche il miglior restauro può essere vanificato da un colore inappropriato con un impatto significativo non solo sul singolo edificio, ma sul contesto urbano. In una strada storica, dice, bisogna ragionare in termini di effetto generale di contesto, non “sparare” un colore nell’indifferenza per ciò che lo circonda.
«In una città in cui i portici sono riconosciuti patrimonio dell’umanità forse non sarebbe male una riflessione per non avere continue sgradevoli sorprese», spiega. «Purtroppo il contesto della città viene rispettato sempre di meno, invece dovrebbe esserci molta più attenzione perché il contesto di un centro storico contribuisce in modo determinante a definire l’identità di una città. Fino a qualche anno fa c’era una costante riflessione sui colori degli edifici storici, poi queste valutazioni sono passate in secondo piano un po’ per la significativa quantità di lavori, un po’ perché le Soprintentenze sono sguarnite, con poco personale, e ci sono meno possibilità di governare questo aspetto».
A Bologna, come in molte altre città italiane, gli studi sul colore degli edifici sono stati avviati da decenni, così come da tempo sono stati introdotti regolamenti edilizi che si sono evoluti con il passare degli anni. Una delle indagini più importanti fu condotta nel 1995 e consentì di catalogare oltre mille immagini di 500 facciate bolognesi considerate rappresentative e di cui venne rilevato con precisione il colore, il sistema di coloritura e lo stato di conservazione. All’epoca furono prelevati oltre cento campioni di materiali sottoposti poi a osservazione più approfondita.
Dall’indagine, confermata poi da rilevamenti successivi, emersero alcuni dati interessanti: innanzitutto che le cromie, cioè i colori delle facciate degli edifici di Bologna, possono essere raggruppate in tre categorie: rosse, gialle e aranciate. Inoltre si stabilì che i sistemi di coloritura erano caratterizzati prevalentemente da calce con l’aggiunta di colle organiche, e che la superficie era trattata con una soluzione trasparente di composti chimici come il silicato di sodio o in alternativa fluorosilicati di sodio o magnesio.
Il problema principale dei nuovi colori, più accesi, è proprio nel sistema di coloritura che nella maggior parte dei casi non è più quello del passato. «Spesso si ricorre a colori sintetici, chimici», continua Stanzani. «Sarebbe opportuno utilizzare i colori a calce, con un effetto di lavamento naturale».
Le conseguenze non riguardano solo il rosso. Tra gli edifici che spiccano dopo essere stati ristrutturati, segnalati in seguito a una ricognizione fatta da Repubblica Bologna, ci sono una facciata di un arancione vivo in via Oberdan, il palazzo del Libraccio oggi bianco latte, una villetta rosa confetto in via Tambroni, un villino in via Leandro Alberti all’angolo con via Masi, di un rosso definito “pompeiano”. Ma ci sono anche casi in cui è spuntata una singola striscia gialla o addirittura tre palazzi con tre colori diversi uno accanto all’altro, come in via San Vitale, dove dopo la rimozione delle impalcature sono emerse una facciata gialla, una arancione e una rosa salmone con i bordi gialli.
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Marco Filippucci, presidente dell’Ordine degli architetti di Bologna, dice che non bisogna avere paura di innovare, ma al tempo stesso qualsiasi progettazione dovrebbe tenere conto del contesto perché il centro storico ha caratteristiche da conservare e riproporre. Da un punto di vista normativo, ci sono comunque diverse regole da rispettare. «Per gli edifici del centro c’è un elenco colore che fa parte del Regolamento edilizio, con una precisa tabella di sfumature cromatiche», ha detto in un’intervista a Repubblica Bologna. «Poi nel caso di un edificio vincolato le scelte vengono condivise con la Soprintendenza. E in ogni caso sugli edifici non vincolati, ma che si ritengono di importanza storica, la commissione qualità edilizia del Comune dà un parere, non vincolante ma abbastanza stringente. Non credo ci sia niente di irregolare in quello che si vede nel centro storico».
Secondo Filippucci, il fatto che si scelgano cromie “non bolognesi” potrebbe essere il segnale di una nuova esigenza comunicativa, di una visione meno storicistica e che guarda ad altri mondi, ad altre città: «La città cambia per natura, si evolve con nuove abitazioni, nuovi percorsi stradali, seguendo nuove sensibilità. È stato chiuso il canale in via Riva Reno per farci un parcheggio (negli anni Cinquanta, ndr). Se lo avessimo fatto oggi avremmo applaudito? Accettiamo i cambiamenti che non provocano cesure col contesto. Il bonus facciate ha dato il via a grandi trasformazioni in tutte le città».
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Il dibattito non è vivace soltanto a Bologna. A Torino per esempio l’associazione IN/Arch, di cui fanno parte molti architetti, ha avviato un ciclo di incontri intitolato “Conoscere per modificare”, con l’obiettivo di far conoscere l’architettura del secondo Novecento, spesso ai margini della storiografia ufficiale e negli ultimi due anni minacciata dalle ristrutturazioni.
Si tratta di edifici, si legge nella presentazione della rassegna, che spesso rischiano di essere snaturati, demoliti, sacrificati sull’altare del mercato immobiliare o dell’aggiornamento funzionale e tecnologico. «A Torino abbiamo notato molti casi di edifici di cui si è perso l’interessante linguaggio architettonico», dice Paola Valentini, presidente di IN/Arch Piemonte. «Spesso le tessiture di mattoni e le facciate sono state ricoperte dai cappotti richiesti dal superbonus per la riqualificazione energetica. È davvero un peccato perdere le sperimentazioni fatte dagli architetti italiani negli anni Cinquanta, nel periodo del boom economico. Nonostante non siano edifici tutelati dalla Soprintendenza, perché troppo recenti, sono comunque un pezzo di storia e di paesaggio urbano che andrebbe preservato in qualche modo».