Questo piccolo insetto sta distruggendo molti boschi nel Nord Italia
Il bostrico tipografo si è riprodotto a dismisura grazie agli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia e ora è diventato un grosso problema
Alla fine di ottobre in Val Visdende, tra Santo Stefano di Cadore e Sappada, in provincia di Belluno, è stato abbattuto un grande abete rosso “di risonanza”, chiamato così perché il suo legno ha caratteristiche acustiche che lo rendono ottimo per la costruzione di strumenti a corda come i violini. L’albero aveva 250 anni e un diametro alla base di un metro e 25 centimetri.
È soltanto uno delle centinaia di migliaia di alberi tagliati nell’ultimo anno: come tutti gli altri, anche l’abete rosso abbattuto in Val Visdende aveva iniziato a colorarsi di giallo, marrone e rosso, uno dei segnali più evidenti dell’attacco del bostrico, un piccolo insetto che sta distruggendo molti boschi nelle regioni del Nord-Est dell’Italia.
I danni causati dal bostrico sono così estesi e gravi da aver spinto il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali a costituire un coordinamento tra le regioni per incentivare interventi di emergenza fitosanitaria, come la mappatura dettagliata delle infestazioni in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e nelle province autonome di Trento e Bolzano. È complicato capire come si evolverà la situazione dei boschi: secondo molti esperti, le contromisure messe in atto oggi avranno effetto solo tra molto tempo, probabilmente nel giro di tre o quattro anni.
Il nome scientifico del bostrico è Ips typographus ed è noto anche come bostrico tipografo. È un coleottero di forma cilindrica e di colore bruno, lungo circa cinque millimetri. Cresce sotto la corteccia dell’abete rosso dove scava intricate gallerie che interrompono il flusso della linfa e in questo modo ne causa la morte in breve tempo.
In primavera, i maschi che riescono a sopravvivere all’inverno entrano sotto la corteccia delle piante e si accoppiano con le femmine che scavano nel legno gallerie lunghe fino a 15 centimetri, dove depongono in media ottanta uova. Le larve scavano a loro volta gallerie lunghe 5 o 6 centimetri per nutrirsi e diventare adulte dando vita a una nuova generazione nell’arco di un anno.
Il bostrico attacca prevalentemente le piante indebolite per via del troppo sole o di un terreno non adatto alla loro crescita: non è una minaccia di per sé, perché di fatto è uno dei tanti insetti che accelerano la rigenerazione del bosco, tuttavia diventa pericoloso quando non si parla più di focolaio ma di infestazione. Quando il bostrico si riproduce a dismisura diventa così forte da diffondersi molto rapidamente attaccando anche le piante sane.
Già dalla fine del 2018 molti esperti avevano previsto l’infestazione che negli ultimi mesi ha distrutto molti boschi nelle regioni del Nord Italia. L’allerta era stata data dopo la tempesta Vaia, che nell’autunno del 2018 provocò gravissimi danni in tutto il Triveneto, soprattutto nelle province di Trento, Belluno e Vicenza, ma anche in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia. Il vento a oltre 150 chilometri orari e la pioggia abbatterono più di 8 milioni di metri cubi di alberi, cioè circa 16 milioni di alberi, su una superficie di 41mila ettari. Oltre ad avere causato notevoli conseguenze economiche e ambientali, Vaia contribuì in modo determinante all’infestazione di bostrico, i cui esemplari poterono cibarsi di milioni di alberi rimasti a terra.
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Rimuovere tutti gli alberi, molti dei quali in posizioni impervie, sarebbe stato impossibile: non c’erano abbastanza imprese di boscaioli. Dalla fine del 2018 ne vennero chiamate molte dall’estero, dall’Austria e dalla Slovenia: nel 2019 iniziarono a pulire i boschi il più possibile, poi nel 2020 arrivò l’epidemia da coronavirus che costrinse le imprese straniere a lasciare l’Italia. Nel 2020 la pulizia dei boschi subì un rallentamento, mentre nel 2021 c’è stata una netta ripresa dei tagli.
Dopo Vaia, con così tanti alberi abbattuti e in decomposizione, era naturale aspettarsi un’estesa diffusione di questo insetto, anche se era comunque complicato prevedere l’esatta evoluzione dell’infestazione. «Eventi come la tempesta Vaia non erano mai stati documentati a sud delle Alpi e non avevamo casi simili da poter studiare in Italia», spiega Cristina Salvadori, referente del monitoraggio fitosanitario delle foreste della provincia autonoma di Trento e ricercatrice della fondazione Mach. «Abbiamo dovuto iniziare da zero con il posizionamento di molte nuove trappole per osservare la diffusione e gli spostamenti del bostrico. Inoltre è stata richiesta una formazione specifica al personale forestale».
Le trappole funzionano con i feromoni, sostanze chimiche che attirano gli esemplari di bostrico. Nella provincia autonoma di Trento ne sono state posizionate 229 e vengono controllate ogni due settimane. Nella provincia autonoma di Bolzano sono un centinaio, così come in Veneto, mentre in Friuli Venezia Giulia sono circa settanta.
Dopo aver riconosciuto il grave problema fitosanitario, il ministero ha creato un coordinamento tra i referenti delle regioni e delle province interessate per consentire un’osservazione del problema più generale: per farlo servono trappole identiche, con criteri di posizionamento simili, controlli regolari e una comunicazione costante dei risultati per anticipare possibili minacce verso altri territori. «È un insetto che riesce ad approfittare in modo molto efficace della presenza di materiale adatto alla colonizzazione, come gli alberi abbattuti», spiega Salvadori. «Una volta che la popolazione si moltiplica e diventa aggressiva, il bostrico lancia attacchi di massa che portano in breve tempo alla morte delle piante. Quando parte l’ondata, è molto difficile contenerla».
Nella fase epidemica è complicato individuare le piante ancora verdi in cui è presente il bostrico. I segnali dell’attacco sono evidenti quando è già stato compiuto: l’albero diventa giallo, rosso o marrone e inizia perdere gli aghi. Su larga scala, l’infestazione di bostrico si nota dalle grandi macchie rosse o grigie sui versanti delle montagne. A quel punto l’unica cosa da fare è recuperare gli alberi danneggiati, cioè abbatterli, anche se è importante valutare con attenzione quando procedere al taglio.
Alessandro Wolynski, direttore dell’ufficio pianificazione, silvicoltura e economia forestale del servizio foreste della provincia autonoma di Trento, dice che non bisogna farsi prendere dall’agitazione: «Le piante morte vanno recuperate, ma non serve andare all’arrembaggio perché si possono causare nuovi problemi: abbattendo gli alberi, c’è il rischio di esporre piante sane alla luce del sole, quindi stressarle, rendendole più vulnerabili agli attacchi».
L’ufficio guidato da Wolynski ha il delicato compito di osservare con attenzione la situazione nei boschi e decidere come e quando intervenire con il taglio degli alberi. Dipende da una valutazione tutt’altro che banale e basata su molti dati: l’altitudine, l’età delle piante circostanti, la conformazione del territorio, il rischio idrogeologico.
Il taglio è solo una parte del lavoro, la più spiacevole, mentre ce n’è un’altra più affascinante che riguarda la composizione dei nuovi boschi. «La gestione del bosco per preservarlo da possibili attacchi, non solo del bostrico, si fa in tre modi», spiega Wolynski. «Il primo è attraverso la selezione degli alberi: in sostanza si consente alle imprese di boscaioli di tagliare alcune varietà per formare un bosco misto, più resistente. Un altro modo, con lo stesso obiettivo, è piantare nuovi alberi con un certo criterio: per esempio dove c’è una netta prevalenza di abete rosso si dovranno piantare larici, faggi e aceri, che aiutano a rendere i boschi misti. Il terzo modo è gestire i boschi sulla base della loro età, favorendo una composizione più articolata che riduce anche i rischi di schianti dovuti al vento».
Oltre a una valutazione ambientale, c’è anche una questione economica: se abbattute subito dopo la morte, le piante hanno ancora un certo valore. Con il passare del tempo, invece, valgono molto meno perché diventano troppo secche. Per questo è ancora più complesso valutare quando intervenire.
Prima che il ministero istituisse il coordinamento tra gli esperti di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e delle province autonome di Trento e Bolzano, le regioni e le province si erano mosse in modo molto diverso. Dopo la tempesta Vaia, Trento e Bolzano sono intervenute rapidamente per rimuovere gli alberi abbattuti, almeno nelle aree più accessibili, e pulire i boschi per evitare l’infestazione del bostrico.
Il Veneto, più danneggiato rispetto agli altri territori, si è concentrato sul ripristino delle strade. «Nei boschi veneti è stato lasciato molto più materiale morto in decomposizione rispetto alle altre province», spiega Davide Pettenella, professore di economia e politica forestale dell’università di Padova, coordinatore della strategia forestale nazionale. «Oggi la situazione è molto complicata anche dal punto di vista economico. In Veneto, la filiera industriale del legno è disorganizzata: fino a pochi anni fa c’erano una ventina di segherie, oggi ne sono rimaste otto e tutte a conduzione famigliare. Il Veneto ha trascurato l’economia del legno non capendo che era l’economia delle proprie foreste».
Secondo Pettenella, in alcune aree del Veneto l’infestazione del bostrico è così grave da rendere inutile qualsiasi intervento: «Nello Zoldano, in provincia di Belluno, la situazione è fuori controllo. Siamo a un punto tale che varrebbe la pena lasciare fare alla natura il suo corso. Però il bostrico, moltiplicandosi, ha messo in atto un meccanismo di autocontrollo che si manifesterà con tempi lunghi, nel giro di qualche anno».
Gli esperti che stanno osservando la diffusione del bostrico nel Nord Italia prevedono che l’infestazione arriverà presto al picco per poi tornare in una fase endemica, proprio come un’epidemia. In Italia i danni saranno molto visibili almeno fino al 2024: fino ad allora gli interventi e i tagli selettivi serviranno a non peggiorare una situazione già compromessa.