La lenta partenza del vaccino Novavax
È il primo contro il coronavirus a utilizzare proteine ricombinanti, cosa che si pensava potesse convincere gli scettici: finora le adesioni sono state poche
Dalla scorsa settimana, da quando in molte regioni sono state aperte le prenotazioni per il vaccino Novavax, le aziende sanitarie non hanno registrato un significativo aumento delle adesioni alla campagna vaccinale. Le prenotazioni e le prime somministrazioni sono poche, sicuramente al di sotto delle aspettative che avevano accompagnato lo sviluppo del quinto vaccino contro il coronavirus, il primo a utilizzare la tecnologia delle proteine ricombinanti e per questo considerato utile a convincere le persone scettiche nei confronti dei vaccini a RNA messaggero e a vettore virale.
Finora l’Italia ha ricevuto un milione e 23mila dosi del vaccino Novavax e nei primi due giorni ne sono state somministrate 3.382. Ma a preoccupare i responsabili delle campagne vaccinali e i presidenti delle regioni sono le prenotazioni. «Credevo che andasse meglio», ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, commentando le 989 dosi prenotate nella prima settimana. «Pensavamo che il problema fosse il vaccino a mRna, invece pare che il nodo sia proprio il vaccino anti-Covid».
Il vaccino di Novavax utilizza un metodo diverso rispetto ai vaccini contro il coronavirus disponibili finora, ma comunque collaudato e già impiegato in altri vaccini: Novavax imita il comportamento della proteina sulle punte dell’involucro esterno del coronavirus, che questo impiega per legarsi alle cellule del nostro organismo e iniettarvi all’interno il proprio materiale genetico per replicarsi. In questo modo il sistema immunitario della persona che riceve il vaccino può imparare a contrastare la proteina senza entrare in contatto con il coronavirus vero e proprio. Nel caso di un’infezione, il sistema immunitario può quindi usare le conoscenze acquisite grazie al vaccino per impedire al virus di entrare nelle cellule e comprometterle.
In ogni dose del vaccino sono presenti grandi quantità di minuscole particelle contenenti le proteine spike, più un adiuvante: una sostanza che induce una risposta immunitaria più marcata e che consente quindi di impiegare meno proteine spike, rendendo più semplice la produzione di grandi quantità di vaccino. L’adiuvante è ottenuto in parte dalla Quillaja saponaria, una sostanza derivata dalla corteccia degli alberi del legno saponario e tra gli ingredienti principali del vaccino appena autorizzato.
La raccomandazione all’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea dei medicinali, l’EMA, era arrivata lo scorso 20 dicembre, seguita poi dall’autorizzazione della Commissione Europea, come era successo per gli altri vaccini contro il coronavirus. In Italia viene somministrato alle persone con più di 18 anni, con un ciclo di due dosi da somministrare a distanza di tre settimane (21 giorni) l’una dall’altra.
L’autorizzazione è stata concessa dopo l’analisi dei risultati di due test clinici che avevano coinvolto complessivamente 45mila volontari. Nel primo studio, condotto negli Stati Uniti e in Messico, circa due terzi dei partecipanti avevano ricevuto il vaccino, mentre il restante terzo aveva ricevuto una sostanza che non fa nulla (placebo). Il vaccino aveva fatto riscontrare una riduzione del 90,4 per cento nei casi sintomatici da COVID-19 nei primi sette giorni dopo la seconda dose tra i vaccinati rispetto al gruppo del placebo. Il secondo studio, condotto nel Regno Unito, aveva invece previsto un gruppo per il vaccino e uno per il placebo con lo stesso numero di partecipanti. In questo caso l’efficacia riscontrata del vaccino era stata dell’89,7 per cento, molto simile a quella ottenuta nell’altro test.
Gli effetti avversi riscontrati dopo la somministrazione sono trascurabili e di breve durata: tra i più comuni, sono stati segnalati dolore nel punto di iniezione, stanchezza, dolore muscolare o mal di testa. Effetti avversi simili possono verificarsi anche con gli altri vaccini finora autorizzati, durano poche ore o al massimo qualche giorno e non lasciano conseguenze; in molti casi chi riceve il vaccino non riscontra nessun effetto avverso.
Nei primi due giorni di somministrazione, in tutta Italia sulle pagine dei giornali locali si leggono titoli come “flop Novavax”, “debutto tiepido”, “Novavax non sfonda”. Ieri a Napoli, nonostante circa 200mila persone risultino non ancora vaccinate, soltanto otto persone si sono presentate al centro vaccinale allestito alla Mostra d’Oltremare e 16 alla Fagianeria di Capodimonte. Ciro Verdoliva, direttore generale della Asl Napoli 1, spera che le adesioni crescano nel fine settimana. «Sabato e domenica saranno la vera cartina tornasole per capire se l’introduzione di un nuovo vaccino stimolerà anche chi a tutt’oggi non ha ancora deciso di fare la prima dose di vaccino», ha detto.
Anche in molte altre province e regioni si attendeva un’adesione più significativa. Nel primo giorno di prenotazioni, in Toscana ne sono arrivate 400, in Liguria 360, ma i numeri sono piuttosto bassi anche in grandi regioni come Lombardia, in Emilia-Romagna, Piemonte e Sicilia. Secondo i dati diffusi dalla struttura commissariale, la regione che ha somministrato più dosi del vaccino Novavax è il Lazio, dove ne sono state inoculate 999 dosi. In questa infografica si possono osservare tutte le dosi somministrate finora nelle regioni.
In generale, nelle ultime settimane c’è stato un netto calo delle somministrazioni giornaliere e non solo delle prime dosi. L’andamento dipende prevalentemente dal fatto che la maggior parte della popolazione italiana ha già ricevuto il vaccino e una quota piuttosto significativa ha già ricevuto la terza dose. Nonostante le misure restrittive introdotte dal governo, come l’obbligo vaccinale, mancano tuttavia moltissime persone che a questo punto difficilmente aderiranno alla campagna vaccinale.
Il rallentamento delle somministrazioni porterà molte aziende sanitarie a riorganizzare i centri vaccinali con la chiusura di alcuni punti che erano stati allestiti nei mesi scorsi per rispondere a un numero più alto di richieste e che ora non servono più. La nuova organizzazione è affidata sempre alle regioni e alle aziende sanitarie, che decidono quali centri dismettere e quali mantenere sulla base delle prenotazioni e delle richieste del territorio.