Le prime conseguenze delle sanzioni
L'economia della Russia è bloccata, con il rublo che continua a svalutarsi e numerose multinazionali occidentali che si ritirano dalle loro partecipazioni nelle aziende russe
Lunedì in alcune stazioni della metropolitana di Mosca si sono formate lunghe code di persone abituate a pagare il biglietto ai tornelli di accesso con Apple Pay, o con altre forme di pagamento elettronico. Le loro transazioni venivano negate a causa del blocco della banca che solitamente le gestisce, finita in una delle liste delle sanzioni economiche imposte dall’Occidente alla Russia per l’invasione dell’Ucraina. Per molti le impreviste code nella metropolitana sono state la prova più tangibile delle conseguenze delle sanzioni, insieme alle notizie sul crollo del rublo – la valuta russa – nei confronti del dollaro.
A meno di una settimana dall’avvio delle operazioni militari in Ucraina, la Russia sta affrontando enormi difficoltà nella gestione delle proprie attività economiche, tra aziende occidentali che hanno deciso di sospendere i propri affari nel paese, l’impossibilità per le compagnie aeree russe di volare sopra l’Europa e le grandi limitazioni alle banche per compiere trasferimenti di denaro e altre operazioni all’estero.
Lunedì il rublo ha perso quasi il 12 per cento del proprio valore rispetto al dollaro, arrivando a un cambio di 95 rubli per acquistare un dollaro. Alcuni drastici interventi della Banca centrale russa hanno evitato un crollo molto più marcato.
La Banca ha annunciato un aumento dei tassi d’interesse, portandoli dal 9,5 al 20 per cento in un giorno. Al tempo stesso ha vietato alle banche di accettare i disinvestimenti da parte degli investitori esteri e ha decretato la chiusura della Borsa, con le contrattazioni che saranno sospese anche martedì.
Dal fine settimana, la Banca centrale russa ha subìto pesanti limitazioni, in seguito alla decisione dell’Unione Europea e di altri paesi occidentali di bloccarne i fondi all’estero. La Banca non può accedere a buona parte dei 643 miliardi di dollari, posseduti in varie valute, accumulati nel tempo proprio per contenere eventuali problemi economici o contrastare nuove sanzioni.
I media di stato russi forniscono informazioni piuttosto parziali sui problemi economici che dovrà affrontare la Russia, ma l’andamento del rublo non è passato inosservato, considerata anche la storia di grande instabilità della valuta in tempi passati. Agli sportelli automatici per il prelievo di denaro si sono formate lunghe code di persone preoccupate dalla prospettiva di perdere i risparmi o rimanere senza contante.
Le televisioni hanno mostrato il presidente russo, Vladimir Putin, intento a gestire una riunione con alcuni funzionari del governo per valutare la situazione economica, attribuendo tutte le responsabilità all’Occidente e alle sue «bugie» sull’Ucraina.
Le sanzioni decise contro la Russia non hanno del resto molti precedenti nella storia recente dei rapporti internazionali con il paese, soprattutto in termini di condivisione da parte dei numerosi paesi che le hanno decise. Tra questi c’è anche la Svizzera, che ha abbandonato la propria tradizionale posizione neutrale aderendo alle sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea. Il governo svizzero ha disposto limitazioni per numerose banche russe e ha emesso a propria volta sanzioni contro Putin e il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov.
Le pesanti sanzioni decise dai paesi occidentali stanno avendo ripercussioni anche su alcune grandi aziende e multinazionali, costrette a interrompere i propri rapporti con la Russia o a rivederli profondamente. L’isolamento del sistema finanziario russo avrà crescenti ripercussioni nel settore industriale, a giudicare dalla crescente quantità di aziende occidentali che hanno annunciato disinvestimenti e la sospensione delle proprie attività nel paese.
Shell, una delle più grandi aziende petrolifere al mondo, ha annunciato una revisione del proprio impegno nel consorzio di società occidentali che si stava occupando del Nord Stream 2, il gasdotto che mette direttamente in comunicazione la Russia con la Germania, la cui certificazione per l’apertura è stata da poco sospesa dal governo tedesco. Nel 2017 Shell insieme ad altri partner finanziari aveva concordato un investimento di circa 950 milioni di euro per la costruzione del gasdotto, la cui gestione è sotto la responsabilità di una società sotto Gazprom, la grande azienda di idrocarburi controllata dal governo russo.
Oltre all’abbandono del progetto Nord Stream 2, Shell ha confermato di voler uscire da altre partecipazioni con Gazprom. La società ha risorse investite per circa 3 miliardi di dollari in Russia: la sospensione di buona parte delle proprie iniziative potrebbe avere pesanti conseguenze economiche per il paese. I responsabili di Shell hanno detto di avere scelto una linea così dura dopo avere assistito alle violenze in Ucraina, ma l’azienda difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti, considerato che le sanzioni riguardano anche i rapporti delle società occidentali con la Russia.
Dopo avere ricevuto forti pressioni dal governo britannico, la società petrolifera BP ha annunciato la vendita della propria partecipazione in Rosneft, grande società petrolifera controllata dal governo russo. L’iniziativa ha un valore stimato intorno ai 25 miliardi di dollari, considerato che BP ottiene da Rosneft circa un terzo del petrolio. La società per ora non ha fornito molte indicazioni su come lascerà la propria posizione.
Equinor, la grande azienda petrolifera controllata dal governo norvegese, ha sospeso i propri investimenti in Russia e ha avviato l’uscita da varie partecipazioni. Anche il governo della Norvegia ha annunciato di volere disinvestire dalla Russia tramite il proprio gigantesco fondo di investimento da 1.300 miliardi di dollari. Gli investimenti correnti saranno congelati, in attesa di un piano più articolato sull’uscita dal mercato russo.
Oltre alle società petrolifere, diverse aziende automobilistiche hanno annunciato la sospensione delle vendite e delle attività produttive in Russia. La svedese Volvo ha confermato di avere messo in pausa la produzione di automobili e camion, spiegando di non poter proseguire a causa delle sanzioni economiche. La francese Renault ha chiuso un impianto produttivo a Mosca, dicendo di avere problemi nella logistica. La tedesca Volkswagen ha interrotto la vendita delle automobili del proprio marchio Audi, citando problemi legati alla forte svalutazione del rublo.
Iniziano a esserci le prime ripercussioni anche nel settore alimentare, considerato che alcune grandi multinazionali controllano centinaia e a volte migliaia di marchi locali. Danone, la cui sede principale è in Francia, ha una forte presenza in Russia ed è al lavoro per verificare il mantenimento delle attività produttive nei propri stabilimenti. La multinazionale dà lavoro a circa 8mila persone in Russia, più altre migliaia legate all’indotto.
Carlsberg, la grande società danese proprietaria di decine di marchi di birra in tutto il mondo, ottiene circa il 10 per cento dei propri ricavi dalla Russia. Come altre multinazionali, anche Carlsberg è al lavoro per capire eventuali limiti alle proprie attività commerciali imposti dalle sanzioni. La società gestisce diversi marchi di birra russi, la cui produzione avviene localmente e per un consumo nel paese, quindi non dovrebbero rendersi necessarie sospensioni delle attività.
Secondo gli analisti, la chiusura della borsa a Mosca, il blocco delle banche e le limitazioni alle transazioni finanziarie stanno intanto rendendo praticamente impossibili gli investimenti in Russia. L’arrivo di nuovi capitali nel breve periodo non è immaginabile, così come la possibilità per i grandi investitori esteri di attingere ai loro investimenti nel paese, bloccati dalle istituzioni finanziarie russe. Il blocco dei mercati potrebbe riflettersi sull’economia della Russia con conseguenze imprevedibili, come ha ammesso la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina: «Il nostro sistema finanziario e la nostra economia sono andate a sbattere contro una situazione totalmente anomala».