Chi sono e che ruolo hanno gli oligarchi russi
Per vent'anni si sono arricchiti grazie a Putin e lo hanno influenzato nelle scelte, ma dopo le sanzioni la loro fedeltà sembra scricchiolare
Il presidente russo Vladimir Putin viene rappresentato spesso come un dittatore o comunque un leader autoritario, ma in realtà condivide una parte di potere con i cosiddetti oligarchi russi, ossia un piccolo gruppo di privati cittadini che negli anni hanno accumulato enormi ricchezze e che intrattengono stretti rapporti con la presidenza, influenzandone le scelte politiche.
Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso giovedì, si è parlato molto degli oligarchi innanzitutto perché sono stati tra i più colpiti dalle sanzioni occidentali, e poi perché da alcune ricostruzioni, da prendere con cautela, sembra che tra loro si stia creando un certo dissenso nei confronti di Putin e della guerra che ha iniziato.
Il termine “oligarchia” deriva dal greco e indica un regime in cui il governo sia in mano a poche persone. Era una forma di governo molto diffusa nelle antiche città greche, ma già allora era disprezzata dai filosofi Platone e Aristotele, per via del fatto che era basata sulla ricchezza degli individui piuttosto che su meriti o doti particolari.
Terminata l’epoca delle città greche, però, l’oligarchia rimase per secoli una forma di governo perlopiù teorica, almeno in Occidente, studiata semplicemente dal punto di vista accademico, fino alla fine del secolo scorso. Fu proprio nella Russia post-sovietica che si creò il contesto ideale per l’affermazione di un’élite ricchissima che poi avrebbe formato l’oligarchia russa.
Quando l’Unione Sovietica si dissolse, nel 1991, il presidente russo Boris Yeltsin accelerò il processo di apertura al capitalismo occidentale che era stato cautamente iniziato dall’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov, creando però forti squilibri. Yeltsin fu finanziato da un primo gruppo di giovani uomini d’affari. In cambio del proprio sostegno economico, questi uomini riuscirono ad avvantaggiarsi della situazione politica ed economica, allora in continua evoluzione: quando il governo russo decise di privatizzare le enormi aziende pubbliche sovietiche, alcuni di questi finanziatori poterono acquistarle a prezzi bassi e rivenderle una volta smembrate.
Dopo la dissoluzione del regime sovietico, insomma, certi uomini, partiti dalla finanza, diventarono enormemente ricchi in poco tempo, e successivamente diversificarono i loro business dall’energia allo sport passando per il settore metallurgico e i media.
Negli ultimi vent’anni, però, l’oligarchia si è trasformata con l’ascesa di Putin. All’inizio, dato che gli oligarchi avevano una pessima fama in Russia per i modi con cui si erano arricchiti, Putin si schierò pubblicamente contro di loro. Ma poi non fece nulla per cambiare i rapporti di potere, semplicemente sostituì i vecchi oligarchi con altri, più fidati, ed escluse dai vantaggi economici quelli che invece lo avversavano. Nella nuova oligarchia entrarono a far parte per esempio numerosi ex colleghi di Putin ai tempi in cui era membro del KGB, il servizio segreto sovietico.
Tra Putin e i nuovi oligarchi – che formalmente non fanno parte del governo né di altre istituzioni pubbliche – si è instaurato un rapporto interdipendente, perché, come disse l’ex primo ministro russo Michail Kasyanov nel 2014 parlando con il New York Times, «loro dipendono da lui, e lui dipende da loro». Da una parte gli oligarchi garantiscono a Putin stabilità e fedeltà, dall’altra Putin permette loro di espandere i propri affari e proprietà.
È un rapporto che Putin stesso ha ammesso in un’intervista data al Financial Times, in cui disse che gli oligarchi sono «quelli che usano la propria prossimità con le autorità per ottenere grandi profitti». Del resto anche Putin, negli oltre vent’anni in cui è stato al potere, è riuscito ad arricchirsi moltissimo.
Nonostante questo rapporto di interdipendenza, sembra che l’oligarchia sia tutt’altro che compatta nel sostenere Putin nell’invasione dell’Ucraina. Infatti le ricchezze degli oligarchi, che hanno tutti patrimoni miliardari, risiedono in larga parte fuori dalla Russia, perciò verosimilmente subiranno pesanti conseguenze dovute alle sanzioni europee e statunitensi. E per questo stanno esprimendo in modi obliqui contrarietà nei confronti di Putin.
Per esempio Oleg Deripaska, fondatore di uno dei gruppi industriali più grandi della Russia, ha pubblicato un post su Telegram in cui ha auspicato che si arrivi a un accordo di pace «il prima possibile». Successivamente ha diffuso un comunicato che, indirettamente, criticava la gestione economica del governo di Putin: «È necessario cambiare la politica economica, bisogna porre fine a tutto questo capitalismo di stato».
Secondo l’agenzia di stampa Reuters un altro oligarca, Mikhail Fridman, avrebbe scritto una lettera ai suoi sottoposti in cui ha definito la guerra in Ucraina «una crisi che costerà molte vite e danneggerà due paesi fratelli per centinaia di anni».
Anche alcune mosse dell’oligarca Roman Abramovich sono state interpretate come segnali di preoccupazione nei confronti della guerra e delle sanzioni occidentali. Nel weekend Abramovich ha annunciato che lascerà l’amministrazione della squadra di calcio inglese del Chelsea, ma non la proprietà. Nel comunicato non c’era un esplicito riferimento alla situazione in Ucraina, ma secondo un suo portavoce Abramovich avrebbe partecipato all’incontro di lunedì tra le delegazioni russa e ucraina che si è tenuto al confine tra Ucraina e Bielorussia.
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