Questa guerra ha cambiato la politica estera della Germania
In pochi giorni il governo tedesco ha messo in discussione dottrine politiche vecchie di decenni, a partire dall'antimilitarismo
Tra le varie conseguenze inaspettate della guerra in Ucraina c’è anche il radicale cambio di approccio della Germania. Fino a pochi giorni fa era uno dei paesi più recalcitranti a prendere posizioni dure contro la Russia, da cui dipende moltissimo per i propri rifornimenti energetici: tra le altre cose, si era opposta all’imposizione delle sanzioni più pesanti e si era rifiutata di inviare armi in Ucraina. Nel corso dell’ultima settimana, però, il governo tedesco sembra aver cambiato idea praticamente su tutto: si è unito alle durissime sanzioni decise dagli altri paesi europei, ha deciso di inviare armi letali all’Ucraina e di autorizzare altri paesi a farlo, e si è anche mostrato disponibile a rivalutare l’uso degli impianti nucleari, di cui la Germania era impegnata a disfarsi da anni.
Non sono questioni isolate o slegate tra loro: in pochi giorni la Germania sembra aver cambiato o ripensato molti dei princìpi che hanno guidato la sua politica estera degli ultimi trent’anni.
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«L’inversione a U nella politica estera» della Germania, come l’ha definita il New York Times, si è vista in una serie di decisioni prese dal governo tedesco a partire da lunedì scorso, quando il presidente russo Vladimir Putin ha avviato l’invasione dell’Ucraina.
Per prima cosa la Germania ha deciso di non autorizzare il gasdotto Nord Stream 2, costruito negli ultimi anni per portare il gas russo in Germania e nel resto dell’Europa: negli ultimi anni la costruzione del gasdotto era stata al centro di varie dispute, ma la Germania aveva continuato a difenderla e a sostenerla con convinzione. Con l’inizio della crisi al confine ucraino il nuovo governo tedesco aveva assunto posizioni più caute e c’erano stati ritardi nell’attivazione dell’infrastruttura. Ma la decisione ferma di non autorizzarne l’utilizzo è arrivata soltanto dopo il riconoscimento da parte delle Russia dei territori separatisti del Donbass, nell’Ucraina orientale.
Poi è arrivato l’ordine di Putin di iniziare l’invasione su larga scala dell’Ucraina, definita un «momento 1939 [data d’inizio della Seconda guerra mondiale]» da Sudha David-Wilp, analista del centro studi German Marshall Fund: nei giorni immediatamente successivi, e man mano che il conflitto procedeva, la Germania ha progressivamente ripensato varie sue politiche tradizionali.
Si è unita per esempio alla decisione degli altri paesi europei di escludere dal sistema SWIFT (quello che permette molte transazioni internazionali) alcune banche russe. Dell’esclusione – una delle sanzioni più dure decise fin qui a seguito dell’invasione in Ucraina – si era parlato moltissimo nei giorni precedenti, anche per l’iniziale opposizione della Germania ad attuarla: opposizione apertamente ribadita anche il giorno stesso dell’invasione, e abbandonata due giorni dopo.
La Germania, poi – ed è una delle decisioni più sorprendenti e storiche – ha annunciato l’invio di 1.000 armi anticarro e 500 missili terra-aria in Ucraina e ha autorizzato l’invio di armi tedesche in Ucraina da parte di altri paesi: all’invio di armi in Ucraina il governo tedesco si era fermamente opposto fino a un mese fa, quando la crisi era già arrivata quasi al culmine: «sono anni che la Germania non sostiene l’esportazione di armi letali», aveva detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz vietando all’Estonia di inviare nove obici (pezzi di artiglieria) tedeschi in Ucraina.
Domenica il governo tedesco ha anche annunciato un enorme investimento, da circa 100 miliardi di euro, in spese militari: ha portato la sua spesa per la difesa a oltre il 2 per cento del PIL, raggiungendo così gli standard che la NATO chiedeva da tempo, e rispetto ai quali la Germania si era sempre mantenuta sotto la soglia. Scholz ha annunciato l’aumento della spesa militare durante una seduta speciale del parlamento tedesco, in cui ha detto che «il 24 febbraio del 2022 [giorno dell’invasione russa dell’Ucraina] è stato un punto di svolta storico nella storia del nostro continente»: sono parole che secondo la politologa Daniela Schwarzer, di Open Society Foundations, hanno «riposizionato strategicamente» la Germania, che dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva sempre mantenuto una posizione fortemente antimilitarista.
La portata della decisione di Scholz sugli investimenti militari è difficile da sottovalutare: per decenni, la Germania è stata una delle poche potenze economiche del mondo prive di un forte esercito, ed è stata storicamente riluttante a partecipare alle missioni militari all’estero. Questa politica tradizionale, che dura da tantissimo tempo, sembra cambiata nel giro di pochi giorni.
La Germania, infine, ha anche fatto capire di volersi rendere meno dipendente dal gas russo, che costituisce più della metà di tutto quello usato in Germania e che è considerato il motivo principale dell’iniziale cautela del governo tedesco nei confronti della Russia.
Questa settimana Scholz ha detto che la Germania si attiverà per costruire due terminal per ricevere e gestire il gas naturale liquefatto (in pratica metano in forma liquida, a bassissima temperatura), dato che al momento non ne ha (sarà comunque un processo lungo e costoso e tutt’altro che immediato).
Il governo tedesco si è anche mostrato più possibilista verso l’utilizzo dell’energia nucleare, di cui la Germania, dopo il disastro di Fukushima, aveva deciso di volersi liberare. Se fino a poche settimane fa il governo tedesco sembrava convinto di smantellare tutti i suoi impianti nucleari, domenica, rispondendo a un giornalista tedesco, il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia Robert Habeck ha detto, seppur molto cautamente, che «non esclude» di rinviare lo smantellamento degli impianti ancora funzionanti.
Anche questo è sorprendente: la dipendenza dal gas russo (così come altre scelte fatte dal governo tedesco) è stata per anni una scelta politica ben precisa, volta ad avvicinare sempre di più la Russia all’Europa e a creare un legame di interdipendenza che, secondo i piani, doveva incoraggiare condizioni di pace e stabilità. Le dichiarazioni del governo tedesco fanno capire quanto la guerra in corso – risultato assolutamente contrario a quello sperato – stia spingendo la Germania a rivalutare in profondità queste sue posizioni.
Le decisioni prese dalla Germania nel corso dell’ultima settimana riguardano infatti ambiti e questioni su cui la cautela – e in certi casi il rifiuto categorico, come nel caso dell’invio di armi o dell’energia nucleare – non si era limitata alla sola crisi ucraina ma era frutto di un indirizzo politico di lungo termine, quello della cosiddetta Ostpolitik: cioè la politica estera tedesca degli ultimi trent’anni basata sull’apertura del governo federale tedesco verso i paesi dell’Europa orientale. Fu ideata da Willy Brandt, cancelliere tedesco dal 1969 al 1974, e poi perseguita dai suoi successori.
È una linea politica che la Germania sembra aver quanto meno sospeso, e il punto di svolta è stato proprio la guerra in Ucraina. Come ha scritto il New York Times, «ci sono volute un’invasione di uno stato sovrano nelle vicinanze, le minacce di attacchi nucleari [ci si riferisce qui all’ordine di Putin di mettere in allerta le forze di deterrenza russe], le immagini di civili che affrontano i carri armati russi e un’ondata di vergogna da parte dei paesi alleati per scuotere la fede pluridecennale della Germania in una politica estera avversa alle soluzioni militari, nata dai crimini compiuti dal Terzo Reich».
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