La tardiva crisi dei giornali giapponesi
Nel paese che vende più quotidiani di tutti l'informazione online è stata trascurata, ma i guai stanno arrivando anche lì
Con diversi anni di ritardo rispetto al resto del mondo, la crisi del business dei giornali è diventata attuale anche in Giappone, paese che continua ad avere i quotidiani con la più alta tiratura al mondo e un tasso di fedeltà dei lettori all’edizione cartacea molto alto. Yomiuri Shimbun e Asahi Shimbun restano i due quotidiani con maggiore diffusione al mondo con ampio distacco e nel 2021 le copie dei quotidiani vendute giornalmente erano oltre 33 milioni. I numeri e le proporzioni (319 copie ogni 1000 persone) sono ancora invidiabili: in Italia, che ha quasi la metà degli abitanti del Giappone, le vendite dei quotidiani certificate nel 2021 non arrivavano a 1 milione e 400 mila (circa 23 copie ogni 1000 persone).
Ma anche in Giappone gli ultimi dati confermano una perdita di lettori superiore al 5 per cento ogni anno, in una tendenza ormai consolidata da più di un decennio. I grandi numeri di partenza avevano permesso alle principali aziende giornalistiche di assorbire il restringimento del mercato senza particolari contraccolpi. Allo stesso tempo, però, la riconversione verso edizioni e modelli di business digitali è stata rinviata, quando non rifiutata, per “difendere” i proventi delle copie cartacee. Oggi le maggiori testate giapponesi sono quindi minoritarie nel mercato delle notizie online, dominato per lo più dai network televisivi e da Yahoo! News, la percentuale di lettori che paga per notizie online è fra le più basse al mondo, e ancora nel 2019 la parte di ricavi provenienti dal digitale era stimata intorno al 2 per cento.
Le peculiarità dell’industria giornalistica giapponese si stanno trasformando da punti di forza in debolezze. E la tardiva o mancata transizione rischia di diventare un problema difficile da affrontare. Come succede in Occidente, le persone sotto i quarant’anni che dichiarano di informarsi attraverso i giornali sono una quota sempre minore. In Giappone, secondo un’indagine Wan-Ifra (World association of news publishers) il 92 per cento di lettori predilige ancora le notizie su carta, ma la percentuale scende al 32 fra gli adolescenti, secondo un sondaggio della Nippon Foundation.
Il grande successo dei quotidiani nel paese ha radici storiche e culturali: l’alto tasso di alfabetizzazione della popolazione sin dai tempi pre-moderni ha sempre garantito successo e diffusione ai testi scritti. Il modello di vendita e distribuzione dei quotidiani nella sua quasi totalità si basa sugli abbonamenti: nel 2021 il 95 per cento delle copie era consegnata giornalmente a casa, con una rete di distribuzione che ha coinvolto centomila studenti in lavori part-time. Fino a una decina di anni fa era comune che ogni famiglia fosse abbonata anche a più di un quotidiano. Oggi risulta abbonata a un quotidiano più di una famiglia su due, mentre le testate maggiori – Yomiuri Shimbun, Asahi Shimbun ma anche Mainichi Shimbun – continuano ad avere edizioni del mattino e della sera.
Le redazioni, che possono avere anche 2000 giornalisti dipendenti, sono strutture caratterizzate da una forte stabilità e da poco rinnovamento interno, con i giornalisti che svolgono all’interno della stessa azienda l’intera carriera professionale, dall’apprendistato alla pensione. Le risorse umane dedicate al digitale sono molto limitate: il Mainichi Shimbun, ad esempio, ha introdotto la sua edizione online solo nel 2015 e gli abbonamenti digitali hanno lo stesso prezzo di quelli cartacei, risultando fra i più cari al mondo e quindi poco popolari.
I quotidiani giapponesi, sia quelli nazionali sia i regionali, hanno anche una serie di problemi “storici” che sono stati affrontati solo in parte. I grandi numeri delle tirature, ancora oggi superiori per le due maggiori testate ai 5 milioni di copie quotidiane, sono stati più volte messi in discussione. Sotto osservazione e mai davvero superata è la pratica dell’“oshigami”, cioè l’ordine da parte di intermediari e rivenditori locali di un numero di copie anche consistentemente superiore a quelle poi effettivamente vendute. L’“oshigami” andrebbe oltre le necessità della distribuzione (una quota di copie non vendute, il “reso”, è naturale per i giornali di tutto il mondo) e sarebbe funzionale solo alla competizione fra le testate.
La stampa giapponese è inoltre caratterizzata dalla presenza dei “kisha club” (club dei reporter), istituzioni chiuse che raccolgono i membri delle testate più autorevoli e che garantiscono l’accesso alle fonti ufficiali. Ogni istituzione, dai ministeri ai governi locali alla Borsa, fa riferimento a uno specifico “kisha club”, con cui ha contatti continui ed esclusivi. I membri si incontrano di persona, anche quotidianamente o con cadenze fisse, e alcuni enti prevedono nei propri uffici delle sale dedicate ai “kisha club”. Solo dal 2009 le conferenze stampa ufficiali sono state aperte a tutta la stampa, compresa quella straniera: prima potevano essere limitate ai membri del club. La pratica, che negli ultimi vent’anni è stata criticata da più parti e sta vedendo alcuni timidi interventi volti ad arginarla, da una parte riduce l’accesso alle notizie a chi non è parte del club, dall’altra provoca una contiguità pericolosa fra i giornalisti e le istituzioni che dovrebbero raccontare e sorvegliare.
Nel paese la percezione dei giornali come “cani da guardia” sui poteri è fra le più basse al mondo, nonostante l’ampio pubblico di cui i quotidiani dispongono rappresenti una riserva potenzialmente molto spendibile. Le aziende giornalistiche inoltre riflettono i limiti della società giapponese riguardo alla parità di genere (il Giappone è 120° su 156 paesi nelle classifiche del rispetto dell’uguaglianza di genere secondo il World Economic Forum). Le donne all’interno delle redazioni sono largamente in minoranza e ancora più rare nei posti direttivi. In controtendenza rispetto all’immagine ipertecnologica del paese la classe giornalistica giapponese ha competenze digitali spesso ridotte, che si riflettono in scarsa innovazione dei quotidiani.
Oltre il 50 per cento dei lettori online si informa attraverso Yahoo! News, mentre imprese straniere come BuzzFeed, HuffPost e Business Insider hanno riempito il vuoto lasciato sul web dalle testate nazionali. L’erosione dei ricavi dalle fonti tradizionali (circa il 60 per cento da vendite e abbonamenti, 20 per cento dalla pubblicità) sta portando anche le testate più tradizionaliste a cercarne di nuove, con particolare attenzione sugli eventi, non solo culturali ma anche sportivi. La transizione è vissuta con più difficoltà dalle testate più tradizionali e autorevoli, come l’Asahi Shimbun, ma la curva di discesa delle copie vendute la rende necessaria. All’interno di un panorama mondiale in cui tutte le maggiori testate cercano modelli di business che completino quelli della vendita in edicola e dei ricavi pubblicitari, la stampa giapponese comincia a muoversi in grande ritardo, rischiando così di dilapidare il vantaggio economico che possedeva grazie alle peculiarità del suo mercato.