Le limitazioni al turismo hanno ancora senso?
I vaccini e la fine delle ondate da omicron stanno spingendo molti paesi ad allentarle, e da marzo anche per l'Italia cambia tutto
Martedì il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato che dal primo marzo per entrare in Italia da fuori dall’Unione Europea non sarà più necessario fare un tampone, per chi è vaccinato o guarito dalla COVID-19, come avveniva già per gli arrivi dai paesi all’interno dell’Unione. L’ordinanza pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio è un passo importante per semplificare i viaggi verso l’Italia e incentivare il turismo: cambia le regole previste dalle ordinanze e dai decreti finora emanati, rendendo così possibili i viaggi dall’Italia verso tutti i paesi fuori dall’Unione Europea. Maggiori dettagli pratici saranno descritti sul sito istituzionale ViaggiareSicuri a partire dal 28 febbraio.
L’Italia non era l’unico paese ad avere imposto limitazioni per i viaggi nel corso della pandemia, con l’obiettivo di ridurre la circolazione delle persone soprattutto dalle aree con un’alta incidenza di contagi o con la presenza di particolari varianti che si ritenevano ancora poco diffuse nel nostro paese. Tuttavia, negli ultimi mesi molti governi hanno scelto di eliminare buona parte delle limitazioni per i viaggiatori in uscita, ricordando comunque che particolari restrizioni all’ingresso potrebbero essere applicate dai paesi di loro destinazione.
Elenchi e divieti
Alla fine di gennaio, il ministero della Salute aveva prorogato le ordinanze emesse nel 2021, che contenevano al loro interno un elenco di paesi verso i quali non sono consentiti i viaggi per turismo. Dal 1° marzo – e per il momento solo fino al 31 marzo – non saranno più in vigore né gli elenchi da “A” a “D” in cui le limitazioni erano minori, ma nemmeno l’elenco “E”, composto da paesi da cui era molto difficile organizzare un viaggio di svago, a prescindere dalle restrizioni che potevano essere poi presenti all’arrivo.
La nuova ordinanza chiarisce che per entrare in Italia dal prossimo mese è soltanto necessario presentare:
– il modulo online chiamato digital Passenger Locator Form (dPLF) «mediante visualizzazione dal proprio dispositivo mobile oppure in copia cartacea»;
– una certificazione – quello che per noi è il Green Pass – attestante l’avvenuta vaccinazione completa con un vaccino riconosciuto in Italia, o una guarigione da meno di sei mesi o un tampone rapido o antigenico negativo.
L’ordinanza prevede che in assenza di certificazione l’ingresso in Italia è comunque consentito, ma è disposta una quarantena presso l’indirizzo indicato nel dPLF, con l’obbligo di effettuare un tampone dopo 5 giorni per terminarla.
Tramite il sito Viaggiare Sicuri è comunque possibile accedere alle schede dei singoli paesi e verificare quali limitazioni ci siano in ingresso.
Altrove
Vari paesi dell’Unione Europea non impongono da tempo divieti di viaggio verso altri stati e nelle ultime settimane chi li prevedeva ha rivisto le proprie regole, anche in seguito al miglioramento della situazione epidemiologica dopo il picco dell’ondata da variante omicron.
La Francia ha un meccanismo di limitazioni simile a quello italiano, ma non comprende più paesi in area “rossa”, per la quale sono previsti divieti e forti limitazioni agli spostamenti. Il governo francese invita comunque chi si mette in viaggio ad accertarsi che non ci siano limitazioni all’ingresso previste dai paesi di destinazione. Germania e Regno Unito applicano un approccio simile, comunque consigliando o sconsigliando alcuni paesi a seconda delle loro condizioni legate alla COVID-19.
Blocchi e utilità
La situazione appare quindi sensibilmente diversa rispetto a quella dell’inizio della pandemia o anche solo dello scorso novembre, quando molti paesi decisero di limitare i viaggi da alcuni paesi dell’Africa meridionale, dove erano stati identificati i primi casi di variante omicron. La scelta aveva raccolto già all’epoca qualche critica, considerato che la scoperta della variante era certamente avvenuta con un ritardo di diverse settimane dall’inizio della sua diffusione, ormai già oltre i paesi africani interessati.
In generale, in due anni di pandemia, vari studi hanno messo in dubbio l’utilità delle limitazioni agli spostamenti, proprio perché vengono quasi sempre decisi quando è ormai troppo tardi e le nuove varianti hanno già superato i confini dei paesi di origine. Mettere in isolamento un’area in cui si registra un aumento considerevole dei contagi può offrire risultati positivi su scala locale, ma difficilmente ha un impatto su scale più grandi.
Una ricerca pubblicata a inizio pandemia sul Journal of Emergency Management (JEM) aveva segnalato la mancanza di prove convincenti per sostenere che i blocchi ai voli internazionali siano utili nel tenere sotto controllo la diffusione di una malattia contagiosa, e che provvedimenti di questo tipo non dovrebbero quindi essere presi. Lo studio era riferito a precedenti epidemie, comprese quelle della SARS (stretta parente della COVID-19), della MERS ed Ebola.
Un altro studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, si era invece occupato delle limitazioni ai viaggi internazionali applicate all’inizio della pandemia da coronavirus. Il gruppo di ricerca non aveva escluso che l’adozione dei blocchi avesse consentito di rallentare in qualche circostanza l’avanzamento dell’epidemia, ricordando comunque che provvedimenti di questo tipo vengono adottati insieme ad altre limitazioni a livello locale e che di conseguenza non si possono sempre fare valutazioni accurate sulla loro utilità.
Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sconsiglia i blocchi geografici: rischiano di rendere meno trasparenti i sistemi di identificazione e segnalazione delle nuove varianti. La prospettiva di subire forti limitazioni, con effetti sulle attività economiche, potrebbe indurre un paese a non segnalare la scoperta di una nuova variante, o ad annunciarla in ritardo quando ormai è ampiamente diffusa in altri paesi, con minori possibilità di subire blocchi al traffico aereo e commerciale. Ciò renderebbe molto più difficili le attività di controllo da parte dei singoli paesi, con effetti globali molto negativi.
Una versione precedente di questo articolo non teneva conto di alcune modifiche contenute nell’ordinanza del 23 febbraio.