Non c’è più posto in NBA per Enes Kanter
Il cestista turco, oppositore di Erdogan e attivista, è rimasto senza squadra e difficilmente ne troverà un’altra: per alcuni c’entrano anche le sue critiche alla Cina
Lo scorso 14 febbraio il giocatore turco di NBA Enes Kanter è stato ceduto dai Boston Celtics agli Houston Rockets insieme ad altri due compagni. Poco dopo averlo scambiato, però, i Rockets hanno deciso di escluderlo dalla rosa, lasciandolo senza squadra a stagione ormai inoltrata. Fin lì, in 35 partite giocate con Boston, Kanter aveva tenuto una media di 11,7 minuti a partita con 3,7 punti, 4,6 rimbalzi e una percentuale al tiro del 52,6: numeri che, uniti a quelli più sostanziosi della stagione precedente trascorsa a Portland, avrebbero potuto tenerlo ancora tra le squadre di medio-alto rendimento, perlomeno come rimpiazzo.
Kanter era all’undicesima stagione in NBA e a 29 anni avrebbe potuto aggiungere ancora qualcosa, ma dopo essere rimasto senza squadra molto probabilmente non avrà un’altra opportunità. Secondo alcune indiscrezioni potrebbe presto firmare un contratto con una squadra greca. Ritornerebbe così in Europa a tredici anni dalla sua ultima partita con il Fenerbahce, la squadra turca con cui si guadagnò la chiamata in NBA.
Secondo opinioni diffuse nell’ambiente, in quella che sembra la fine della sua carriera in NBA hanno influito molto le posizioni politiche espresse negli ultimi anni, anche in partita, diventate via via sempre più problematiche da gestire per la lega, soprattutto quando hanno riguardato la Cina: a ottobre, per esempio, i Boston Celtics erano stati oscurati dalle trasmissioni cinesi per le scarpe a sostegno dell’indipendenza del Tibet che Kanter aveva indossato in partita.
Tutto iniziò cinque anni fa, quando la Turchia emise un mandato d’arresto nei suoi confronti nell’ambito delle operazioni repressive portate avanti dal governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan in seguito al fallito colpo di stato attribuito al religioso Fethullah Gulen, ritenuto una sorta di guida spirituale dalla famiglia di Kanter. La Turchia gli revocò il passaporto ed emise il mandato d’arresto dopo averlo indicato come uno tra i tanti presunti favoreggiatori del fallito colpo di stato.
La vicenda ebbe ripercussioni anche sulla sua famiglia, e le ha tuttora. Il padre di Kanter è stato condannato sommariamente a quindici anni di carcere, i suoi fratelli da allora non riescono a trovare un impiego e non possono lasciare la Turchia. Il fratello minore, anche lui cestista, è stato invece espulso dalle nazionali turche e vive in Spagna. Kanter è rimasto da apolide negli Stati Uniti, dove ha continuato a ricevere minacce.
Nonostante questo, ha continuato a criticare il governo turco in ogni occasione buona, e non si è fermato lì. Ha iniziato anche a contestare pubblicamente altri regimi internazionali, da quello saudita a quello cinese, particolarmente bersagliato: ha indossato scarpe con i colori del Tibet, pubblicato vignette contro il presidente Xi Jinping, denunciato la repressione della minoranza uigura e definito le recenti Olimpiadi invernali di Pechino come «le Olimpiadi del genocidio».
Fin quando le critiche riguardavano la Turchia, ha scritto il Washington Post, per la NBA Kanter non rappresentava più di tanto un problema. Quando però è stata tirata in mezzo la Cina, le cose sono cambiate radicalmente. La Cina è infatti il primo mercato della NBA al di fuori degli Stati Uniti, e di recente ascolti e interazioni online hanno superato addirittura quelli degli stati americani. In concomitanza con il recente calo degli ascolti statunitensi, la NBA sta puntando molto sulla sua presenza all’estero, e questo riguarda principalmente la Cina.
L’importanza del mercato cinese si era vista già nel 2019, quando Daryl Morey, allora general manager degli Houston Rockets — la squadra che ha escluso Kanter — aveva scritto un messaggio di solidarietà ai manifestanti di Hong Kong, causando un incidente diplomatico. I Rockets erano stati infatti la squadra del cestista cinese più famoso di sempre, Yao Ming, e per questo erano tra le squadre più popolari nel paese. Dopo il messaggio di Morey, il network Tencent e la televisione pubblica cinese smisero di trasmettere le partite di Houston per oltre un anno e riabilitarono la squadra soltanto dopo il trasferimento di Morey ai Philadelphia 76ers (che da allora vengono oscurati).
La vicenda fece nascere un caso nazionale negli Stati Uniti in cui venne coinvolta la politica e anche altri famosi sportivi. Soltanto tra il 2019 e il 2020 questo provocò alla NBA una perdita di oltre 400 milioni di dollari per i mancati incassi dal mercato cinese, peraltro in un periodo non così positivo negli altri mercati tradizionali. Da allora la lega si era impegnata a ricucire i rapporti con la Cina e a evitare altre situazioni simili, da un lato; dall’altro si trova ancora a dover gestire critiche che negli Stati Uniti le arrivano da un po’ tutte le parti, per come avrebbe assecondato le richieste cinesi.
Per questi motivi, è opinione diffusa che la presenza di Kanter abbia assunto sempre più i tratti di un rischio troppo grosso da gestire, cosa che avrebbe accentuato le sue carenze tecniche, specialmente quelle difensive. Di recente lo stesso giocatore aveva rilevato che alcuni suoi compagni a Boston gli avevano anticipato l’esclusione, dicendogli: «Sai che ti sosteniamo e pregheremo per te, ma non possiamo essere così espliciti».
Nel frattempo Kanter ha ricevuto la cittadinanza americana, ha cambiato nome in Enes Freedom e viene coinvolto spesso da iniziative del Partito Repubblicano, i cui membri sono stati fra i maggiori critici della linea adottata dalla NBA nei confronti della Cina in questi mesi. Il 16 febbraio è stato anche candidato simbolicamente al Premio Nobel per la Pace da alcuni parlamentari norvegesi. Due giorni dopo ha scritto: «La Cina non può invadere gli Stati Uniti, la loro strategia è di invaderli dall’interno. Lentamente stanno prendendo il controllo di Wall Street, delle università, delle aziende tecnologiche, dello sport e del cinema. La Cina non punta me, ma i vostri diritti. Io sono solo in mezzo».
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