Migliaia di tonnellate di rifiuti esportati illegalmente in Tunisia sono tornati in Italia
Dopo una disputa che andava avanti dal 2020 oltre 200 container sono arrivati a Salerno, ma la vicenda ancora deve concludersi
Circa 8mila tonnellate di rifiuti che nel 2020 erano state trasferite illegalmente dall’Italia alla Tunisia e che da allora erano rimaste in gran parte stipate in container nel porto di Sousse, nella Tunisia orientale, sono rientrate in Italia. Dopo una disputa diplomatica e legale durata mesi la nave Martina A, della compagnia turca Arkas, con a bordo 213 container carichi di rifiuti, è infine ripartita dalla Tunisia e domenica sera è attraccata al porto di Salerno. Da lì i rifiuti saranno portati nell’area militare di Persano, nel comune di Serre, dove secondo la regione Campania resteranno tra i quattro e i sei mesi in attesa di una soluzione definitiva.
È una vicenda che ha coinvolto i governi di Italia e Tunisia e che continuerà a essere oggetto di controversie, perché sul destino dei rifiuti ci sono ancora discussioni e proteste. Si tratta di rifiuti indifferenziati, e quindi difficilmente riciclabili o valorizzabili, la cui esportazione è vietata dalla legislazione tunisina e dalle convenzioni internazionali. Ciononostante, nel 2020 un accordo tra una società italiana e una tunisina per l’esportazione dei rifiuti aveva ottenuto l’autorizzazione della Regione Campania, per motivi ancora oggetto di indagini: si sa però che il normale protocollo per questo genere di trasporti non era stato rispettato.
Dal 2020 ci sono state lunghe e difficili trattative tra il governo italiano e la regione Campania da una parte e il governo tunisino dall’altra. Quest’ultimo chiedeva che i rifiuti tornassero in Italia e che venissero pagate tutte le spese dovute ai mesi di permanenza nel porto tunisino. Secondo stime di associazioni ambientaliste, il deposito nel porto di Sousse sarebbe costato circa 26mila euro al giorno. A chiedere un risarcimento danni di 10 milioni di euro alla Regione Campania, al ministero dell’Ambiente italiano e alla società Sra (Sviluppo risorse ambientali) che inviò i rifiuti in Tunisia è anche la Arkas, società incaricata del trasporto e del noleggio dei container. Secondo l’atto di citazione dei legali di Arkas, «la Regione Campania è responsabile per avere ritardato le procedure di rientro in Italia dei rifiuti sia prima sia dopo le segnalazioni delle competenti autorità tunisine».
La rete Tunisie Verte, che riunisce diverse organizzazioni ambientaliste del paese nordafricano e che ha documentato con un video il carico dei container per il ritorno in Italia, ha annunciato il 7 febbraio il raggiungimento di un accordo tra Italia e Tunisia. Sarebbe stato firmato dopo incontri tra il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e il presidente del Consiglio tunisino Kais Saied e tra il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca e l’ambasciata tunisina a Roma. In una nota, il governo tunisino ha spiegato che l’accordo «rappresenta il completamento del processo di consultazione tra Tunisia e Italia, che risale al 2020».
L’accordo definisce «gli impegni che competono a ciascuna delle parti in merito al rimpatrio in Italia, in primo luogo, di 213 contenitori di rifiuti, attualmente stoccati presso il porto di Sousse. Proseguiranno in seguito le consultazioni, per la finalizzazione della restituzione dei rifiuti italiani rimanenti situati in un magazzino a Mourredine a seguito di un incendio». Secondo alcuni giornali tunisini, come riportato dal quotidiano Domani, nell’intesa tra Tunisia e Italia rientrerebbero anche accordi che riguardano le politiche migratorie e investimenti dell’Italia in alcuni settori strategici tunisini come quello dell’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti. Su questi punti però non c’è nessuna conferma.
La notizia dei 282 container di rifiuti esportati illegalmente dall’Italia alla Tunisia fu data il 2 novembre 2020 dall’emittente privata tunisina El Hiwar Ettounsi. Secondo la sua ricostruzione, i container erano stati bloccati dall’agenzia delle dogane tunisina perché i rifiuti non erano conformi agli accordi internazionali. Contemporaneamente, il governo tunisino annunciò l’apertura di un’inchiesta che portò in breve a numerosi arresti. Un mese dopo la trasmissione dell’inchiesta venne arrestato per corruzione il ministro dell’Ambiente tunisino Mustapha Larou, mentre 25 funzionari del ministero furono denunciati e alcuni di loro arrestati. Fu indagata anche Beya Ben Abdelbaki, la console tunisina a Napoli.
L’indagine tunisina accertò che i container arrivati da Salerno erano classificati con il codice europeo di «rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani», ma che in realtà si trattava di rifiuti indifferenziati e materiale sanitario definito pericoloso secondo l’articolo 9 della Convenzione di Basilea del 1989. Il trasferimento dei container dall’Italia alla Tunisia violava anche la convenzione di Bamako che regola la modalità di esportazione di rifiuti urbani.
A verificare il contenuto dei container di rifiuti dovrebbero essere i rappresentanti della Convenzione di Basilea, in gergo definiti focal point, che devono analizzare la documentazione, verificare il contenuto dei carichi e poi, se tutto risulta in regola, autorizzare la spedizione. Nel caso dei container partiti dall’Italia verso la Tunisia, la procedura non venne però rispettata. I rappresentanti italiani invece di rivolgersi al focal point tunisino si rivolsero all’Api, Agenzia per la promozione dell’industria di Sousse (Api Sousse), che non ha nessuna competenza in materia. Eppure, solo nel 2019 la Regione Campania aveva rilasciato autorizzazioni all’esportazione per oltre 500mila tonnellate di rifiuti: le procedure quindi dovevano essere ben note.
La spedizione dei container avvenne dopo un accordo tra la società italiana Sra, Sviluppo risorse ambientali, e la Soreplast tunisina, al prezzo di 48 euro per ogni tonnellata importata. Stando a inchieste giornalistiche tunisine, dall’Italia sarebbero stati esportati in Tunisia prima 70 container con circa 1.900 tonnellate di rifiuti che vennero depositati nell’impianto della Soreplast di Moureddine, dove si sviluppò un incendio a fine 2020. Gli altri container furono invece depositati nel porto di Sousse, in attesa di essere smistati.
Secondo l’indagine della magistratura tunisina, la Soreplast sarebbe una società fantasma fondata nel 2009 da Mohamed Moncef Noureddin, appartenente a una importante famiglia tunisina molto legata al regime dell’ex presidente Ben Ali. Nel 2012 la Soreplast venne multata per aver falsificato documenti e smise di operare per poi riprendere le attività nel 2019 con i contratti con la Sra. Secondo le indagini tunisine, la Soreplast rilasciò dichiarazioni false sul contenuto della spedizione chiedendo solo un’autorizzazione per lo smaltimento temporaneo di imballaggi in plastica, non pericolosi da riciclare, coprendo così il vero contenuto della spedizione. Mohamed Moncef Noureddin si è finora sottratto alle autorità tunisine.
La Sra ha sempre affermato di aver agito nel pieno rispetto della legge. A tutte le richieste della regione Campania perché fosse la società stessa a occuparsi del rientro in Italia dei rifiuti di Sousse, la Sra ha opposto un rifiuto. In una nota del 15 gennaio l’avvocato della società, Francesco Saverio Dambrosio dichiarò che il rifiuto era dovuto a tre considerazioni:
«In primo luogo perché è stata proprio la Regione Campania, per il tramite del suo ufficio competente al rilascio delle autorizzazioni alle spedizioni transnazionali di rifiuti, ad individuare di sua iniziativa l’omologo ufficio dello Stato della Tunisia ritenuto competente a rilasciare l’autorizzazione alla importazione. In secondo luogo, perché se organi ed uffici pubblici tunisini hanno fraudolentemente indotto in errore la Regione Campania, così determinando traffico illecito di rifiuti, di tanto ne deve rispondere lo Stato della Tunisia. In terzo luogo, perché il ministero dell’ambiente è stato preventivamente informato delle procedure autorizzative alle spedizioni e non ha mai manifestato controindicazioni o chiesto chiarimenti».
In pratica, la Sra dice che è stata la regione Campania a commettere l’errore rivolgendosi all’ente tunisino sbagliato e che i rifiuti non erano né tossici, né pericolosi ed erano accompagnati da tutta la documentazione necessaria. La regione Campania sostiene invece che sarebbero stati i documenti falsi a far cadere in errore i tecnici.
Sulla vicenda in Italia stanno indagando due direzioni distrettuali antimafia: quella di Salerno, porto da cui è partito il carico di rifiuti, e quella di Potenza, competente per il Vallo di Diano dove ha appunto sede la Sviluppo risorse ambientali.
A pagare per il trasporto e lo stoccaggio dei rifiuti sarà una società pubblica, la Ecoambiente di Salerno, che poi dovrà rivalersi sulla Sra che ha però già affermato più volte di non aver alcuna intenzione di accollarsi i costi della vicenda. Inoltre, si sono aperte due altre questioni. Gli amministratori della zona di Persano hanno protestato sia per l’arrivo dei rifiuti sia per non essere stati coinvolti nella decisione finale. Fulvio Bonavitacola, vice presidente della Regione Campania, ha detto al giornale L’Occhio di Salerno: «Non abbiamo scelto un’area amena o un’area che ha criticità ambientali: 6mila tonnellate di rifiuti per pochi mesi non creano problemi alla comunità locale: non vi sono problemi di miasmi e neanche di esalazioni. Idem per la viabilità, visto che si tratta di una zona militare. Seimila tonnellate sono una quantità banale».
L’altra questione riguarda la caratterizzazione dei rifiuti, e cioè la loro classificazione. La Sra aveva chiesto che avvenisse in Tunisia alla presenza dei loro periti. Alla richiesta si erano uniti rappresentanti dell’opposizione alla giunta De Luca. Secondo alcuni esponenti politici campani, anche deputati, il rientro a Salerno di quei container sarebbe avvenuto senza il rispetto delle norme italiane in materia di circolazione dei rifiuti, che prevedono possa avvenire solo dopo loro caratterizzazione, classificazione e analisi. Secondo questa tesi quindi in Italia potrebbero essere arrivati e arrivare in futuro rifiuti pericolosi e cancerogeni, in virtù del fatto che gli stessi, nel frattempo, abbiano potuto cambiare composizione fisica e chimica. Il presidente della regione Campania De Luca ha risposto rivendicando «la decisione di dare una mano all’Italia oltre che alla Tunisia, unico paese arabo con una costituzione che garantisce le donne e i diritti civili a tutti e nel quale è presente un’imprenditoria italiana e campana importante».
– Leggi anche: I nostri rifiuti continuano a riempire le discariche in Africa