In Giappone è difficile perdere qualcosa
Il paese può contare su un efficacissimo sistema di consegna e raccolta degli oggetti smarriti, ma molto dipende dagli stessi giapponesi
Nella gran parte dei casi perdere il cellulare, il portafogli oppure i documenti è un disagio notevole e dispendioso, eppure c’è un paese in cui è molto probabile che gli oggetti smarriti siano consegnati alle autorità e quindi restituiti ai legittimi proprietari. In Giappone, il processo per la consegna, la catalogazione e la richiesta di restituzione delle cose perse è uno dei più efficienti al mondo, e la quantità di oggetti ritrovati dai loro proprietari è molto superiore che in altre nazioni. Molto dipende dalla collaborazione della polizia, e da come sono fatti i giapponesi.
Il 73 per cento delle circa 545mila carte d’identità consegnate alla polizia metropolitana di Tokyo nel 2018 fu restituito alle persone che le avevano perse; sempre nello stesso anno, furono resi ai proprietari l’83 per cento dei telefoni e il 65 per cento dei portafogli smarriti e reclamati, spesso nell’arco della stessa giornata.
Yukiko, responsabile del magazzino di Tokyo dove vengono conservati gli articoli persi in città e non immediatamente reclamati (nel distretto di Iidabashi), ha detto a BBC che nel 2019 al centro che gestisce erano stati consegnati più di 4 milioni di oggetti smarriti, un record. Nella capitale giapponese, che senza contare l’area metropolitana ha quasi 14 milioni di abitanti, vengono consegnati ogni giorno alla polizia circa 7.700 oggetti: il magazzino di Iidabashi ne conserva più di 600mila, un quinto di tutti quelli trovati in tutto il Giappone.
Tra quelli che si perdono più di frequente ci sono smartphone, portafogli e documenti vari, ma anche carte di credito, abbonamenti dei mezzi pubblici e gli oggetti più disparati. Comprensibilmente, anche gli ombrelli sono tra le cose che vengono perse più di frequente, tanto che il magazzino di Tokyo ha un’area di 7mila metri quadri destinata solo a loro: soltanto l’1 per cento però viene reclamato dai proprietari, anche perché sono meno costosi e decisamente più facili da rimpiazzare rispetto a documenti e telefoni.
Igarashi ha spiegato che è facile che venga consegnato alla polizia anche il denaro contenuto nei portafogli smarriti, e in alcuni casi si parla di somme equivalenti ad alcune migliaia di euro. Nel 2019 il denaro perso dalle persone e inviato al magazzino della città era pari a 3,8 miliardi di yen (circa 29 milioni di euro). La cosa ancora più sorprendente è che di questi soldi – trovati, consegnati alla polizia e accuratamente registrati – circa 2,84 miliardi (21 milioni di euro) sono stati restituiti ai relativi proprietari.
Gran parte di questo sistema così virtuoso dipende dal fatto che in Giappone sia molto facile consegnare gli oggetti smarriti e ritrovati.
Chiunque trovi un portafoglio, un indumento o un oggetto di un altro tipo può consegnarlo in maniera piuttosto agevole alle piccole stazioni di polizia di quartiere, chiamate “koban”, in cui oltre alle attività di routine che li aiutano a mantenere uno stretto contatto con la cittadinanza gli agenti hanno il compito di catalogare e redigere i verbali di consegna delle cose perse. In Giappone queste piccole stazioni sono praticamente dappertutto: ce ne sono più di 6mila in tutto il paese e solo a Tokyo se ne contano 824, 97 ogni 100 chilometri quadrati, quasi nove volte quelle che ci sono a Londra, secondo uno studio citato da BBC.
Se il proprietario dell’oggetto smarrito non lo rivendica direttamente alla stazione di polizia di quartiere, dopo 3-4 giorni viene trasferito al magazzino centrale, dove viene catalogato e conservato. Se nessuno lo reclama entro tre mesi, la persona che lo aveva trovato può a sua volta reclamarlo, mentre se neanche questa lo rivendica diventa proprietà della città e può essere venduto in apposite aste.
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Come ha sintetizzato Bloomberg, l’abitudine di restituire qualsiasi cosa venga trovata fa parte di una cultura millenaria e in tempi recenti è stata normata da una legge del 2007 che ha recepito e modificato la precedente legislazione sulla proprietà delle cose, che risaliva al 1882. A ogni modo, questo sistema efficacissimo non potrebbe funzionare senza la cooperazione e il senso civico dei giapponesi.
Restituire gli oggetti smarriti è una cosa che viene insegnata fin dalle scuole elementari. Secondo Kazuko Behrens, psicologo alla State University di New York, in parte ha a che fare con motivazioni legate alla spiritualità nelle religioni buddista e shintoista, e in parte con un altro concetto profondamente radicato nella cultura giapponese: quello che viene chiamato “Hito no me”, “l’occhio della società”, cioè la consapevolezza che le altre persone osservano e giudicano ogni singola azione, e che perciò bisogna seguire una morale interna che porta ad avere un comportamento corretto nella gran parte dei casi.
In generale, nella società giapponese conta moltissimo come si è percepiti dagli altri: nel caso degli oggetti smarriti, si potrebbe dire che secondo questa morale bisogna riconsegnare ciò che si trova per non farsi trovare fuori posto agli occhi della società, anche quando la società (o la polizia) non sta guardando.
Per Masahiro, professore di legge dell’università di Kyoto Sangyo, questa morale conta di più di qualsiasi autorità pubblica, ed è per questo che l’atteggiamento nei confronti degli oggetti smarriti rispecchia un po’ l’immagine di una persona nella società. Secondo Tamura, intervistato da BBC, è anche per questo che salvo rare eccezioni in Giappone i tassi di criminalità non aumentano particolarmente in occasione di grandi disastri naturali, come accadrebbe invece in altri paesi se si verificassero eventi simili.
Un esperimento che mostra come tendenzialmente i giapponesi siano portati a restituire gli oggetti smarriti da altre persone
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