L’energia della Valle dell’Inferno
A Larderello si sfrutta la geotermia da oltre due secoli: ancora oggi è un riferimento internazionale per la produzione di energie rinnovabili
di Claudio Caprara
Questa tappa è stata suggerita da ENEL Green Power
Larderello è un nome allegro che ricorda i libri delle scuole elementari. Non è neppure un comune. È solo una frazione del comune di Pomarance, poco più di cinquemila abitanti in provincia di Pisa.
È famoso perché si trova al centro di un’area dove si sviluppano fenomeni di origine vulcanica: benché sia un posto minuscolo, è la capitale mondiale della geotermia.
La pentola a pressione
Al Museo della Geotermia, nel Palazzo de’ Larderel, al centro del paese, abbiamo incontrato Romina Taccone, responsabile del supporto tecnico Geotermia di Enel Green Power. Ci ha spiegato in che cosa consiste l’utilizzo del vapore e la produzione geotermica di energia.
«Per farmi capire meglio uso l’esempio della pentola a pressione: il fondo della “pentola” naturale è uno strato impermeabile, così come il coperchio della pentola, che a sua volta non lascia passare liquidi o gas. Sotto abbiamo il fornello che è costituito dal magma superficiale, che riscalda, e all’interno di questa pentola a pressione naturale c’è l’acqua, che per il grande calore fornito diventa vapore. Il nostro compito di operatori del settore è di “coltivare” quel vapore, estrarlo facendo dei fori e convogliarlo verso la centrale geotermica».
Questo ciclo è potenzialmente eterno.
«Non finisce mai – spiega Taccone – perché dopo aver generato energia nella centrale, il vapore si condensa, ritorna allo stato liquido, e viene iniettato di nuovo nel sottosuolo dove, attraverso un foro, torna nella “pentola a pressione” naturale e riprende il suo ciclo di produzione di energia».
L’acqua è il vettore di energia, mentre il “fornello”, cioè il magma, non si spegne mai.
«L’intervento umano, con la reiniezione di acqua, garantisce che la “pentola naturale” sia sempre piena». È un metodo teoricamente perfetto, e rappresenta uno degli esempi più chiari di cosa sia una fonte rinnovabile di energia.
Allora perché non risolviamo la crisi dell’energia in questo modo? Perché non lo facciamo ovunque?
«Non si può fare dappertutto, perché il magma che produce il calore in certe zone è più vicino alla crosta terrestre. Le condizioni termiche che troviamo nei dintorni di Larderello sono l’ideale», spiega Riccardo Clementi, giornalista e scrittore che si occupa dei rapporti con i media toscani per Enel Green Power.
«Il fluido geotermico è vicino ed è raggiungibile con le tecnologie di perforazione che abbiamo a disposizione», precisa Taccone. Attualmente stiamo parlando di una profondità finale di circa 4.000 metri.
«Le temperature del vapore a quella profondità sono considerevoli. In alcuni pozzi di questa zona arriviamo ai 3o0 gradi di calore. È una condizione davvero particolare: meglio di noi stanno solo in Islanda, dove hanno temperature elevate e hanno identificato il magma a soli duemila metri».
La Valle del Diavolo
Larderello, fin dall’antichità, era un luogo termale e curativo molto importante. Sia gli etruschi che i romani conoscevano la zona per le acque curative e depurative.
Una leggenda narra che la madre di Dante fosse originaria di questa zona e lui, da bambino, abbia passato del tempo qui, passeggiando tra i fumi del vapore e le pietre incandescenti.
Una conferma verrebbe da una citazione che il poeta ne fa nelle Rime:
Versan le vene le fummifere acque
per li vapor’ che la terra ha nel ventre,
che d’abisso li tira suso in alto;
onde cammino al bel giorno mi piacque
che ora è fatto rivo, e sarà mentre
che durerà del verno il grande assalto;
la terra fa un suol che par di smalto,
e l’acqua morta si converte in vetro
Da queste parti sono convinti che il suo Inferno sia ispirato ai panorami di questa zona.
Nel 1472, dopo la “Guerra delle Allumiere” tra Firenze e Volterra, questo territorio passò sotto il dominio dei Medici, che lo frequentarono per godere delle acque termali, per curarsi (la gotta, soprattutto) e temprare il fisico.
I fiorentini sfruttarono in modo intensivo i materiali nel territorio, contenenti boro, per quasi due secoli. Ciò accompagnò uno sviluppo dell’industria tessile – il borace ha un potere sbiancante – tale da renderla un’eccellenza europea.
In seguito i minerali che stavano in superficie furono esauriti, e per più di un secolo questa zona visse un periodo misero. Prima del 1818, quando incominciò l’attività geotermica per la scoperta dell’acido borico.
La zona veniva chiamata “Valle del diavolo”. E non è difficile indovinare il motivo.
Francesco de Larderel
Il 1800 è caratterizzato dallo sviluppo chimico di quest’area. François Jacques de Larderel arrivò in Toscana al seguito dell’esercito napoleonico e si trasferì a Livorno dove cominciò la sua attività di “chincagliere”.
Evidentemente era una persona con un notevole senso degli affari, tanto che capì presto le potenzialità che poteva offrire l’estrazione del boro. Il boro si estrae dal borace, e si raffina con un procedimento che comporta una lavorazione ad alte temperature.
Nei primi anni dell’industria chimica veniva utilizzato per la fabbricazione di vetri colorati, di strumenti ottici e per la produzione di pentole in ferro smaltato e stoviglie di ceramica.
Nel 1816 de Larderel diede vita a una nuova società di produzione dell’acido borico, che poteva essere ottenuto da chiunque grazie al calore prodotto dalla combustione della legna degli alberi abbattuti nelle colline circostanti.
Fu inizialmente un’impresa di successo, tanto che il mercato dell’acido borico prodotto a Montecerboli (Larderello non esisteva ancora) invase il mercato francese.
De Larderel capì prima degli altri che il processo così com’era non poteva essere sostenibile a causa dell’esaurimento dei boschi, e attese le difficoltà dei suoi concorrenti e dei titolari delle concessioni di estrazione. Riuscì ad acquisire tutte le attività estrattive della zona a prezzi bassi e di lì a poco cominciò a utilizzare il calore ceduto dal vapore geotermico per la raffinazione del boro.
L’operazione funzionò. Si trovò a essere il solo operatore sul mercato e nel 1827, grazie alla sua innovazione, i prezzi di estrazione del boro dal borace si abbassarono enormemente.
A de Larderel, a proposito delle prospettive del suo business, venne attribuita questa frase: «produrre allo infinito come la moderna Inghilterra costuma».
La produzione aumentò considerevolmente e allo stesso tempo crebbe notevolmente la commercializzazione di questo ambito prodotto. Fu la fortuna dell’imprenditore ma anche quella del territorio che, non a caso, prese il nome di Larderello.
Il Novecento
Dall’inizio del ‘900 il mercato cambiò. Proseguì la produzione di composti chimici per l’industria farmaceutica e la cosmetica.
Il boro era utilizzato per tanti processi. L’ampio spettro di utilizzo (sanitario, di supporto alla conservazione, per la lavorazione), faceva del boro una risorsa molto ricercata in tutto il mondo in via di sviluppo.
Rapidamente, però, la percentuale di acido borico che si poteva estrarre dai pozzi diminuì e di conseguenza divenne sempre meno remunerativo investire su questa attività.
In quel periodo si sviluppò il paese/fabbrica di Larderello.
A dirigere la società era arrivato il Principe Piero Ginori Conti, che aveva sposato un’erede di de Larderel. Ginori Conti aveva in mente forti innovazioni rivolte alla produzione di energia.
Il 4 luglio del 1904 ci fu il primo esperimento che mirava a produrre energia elettrica utilizzando il vapore dei soffioni boraciferi. Il vapore in uscita fu inizialmente convogliato per far girare un motore collegato a una dinamo, alla quale furono allacciate cinque lampadine di bassa potenza. Le lampadine si accesero.
Fu una nuova rivoluzione.
Nel giro di pochi anni si arrivò alla realizzazione della prima centrale geotermica del mondo e nel 1916 fu attivata la prima linea elettrica alimentata da energia geotermica.
Nel 1944, con lo sbarco alleato in Sicilia e la ritirata tedesca dall’Italia, Larderello divenne un obiettivo sensibile e tutte le centrali e gli impianti di produzione chimica della regione boracifera furono distrutti: sia il fronte alleato sia i nazisti ebbero particolari attenzioni a questo territorio, che divenne una zona molto bersagliata dai bombardamenti angloamericani e un’area minata dai nazisti in ritirata.
Nel dopoguerra, con la ricostruzione delle centrali, la geotermia divenne una risorsa statale particolarmente preziosa.
Del fronte alleato facevano parte anche i soldati neozelandesi. Alcuni loro ufficiali erano ingegneri che, rendendosi conto del livello avanzato delle ricerche e delle tecnologie italiane, tornarono per conoscere il funzionamento della geotermia di Larderello e per imparare come veniva prodotta l’energia elettrica con questa, per loro nuova, fonte energetica.
Fu anche attraverso l’esportazione delle conoscenze che la geotermia fu conosciuta anche fuori dalla Toscana e le tecniche sperimentate qui furono applicate nel resto del mondo.
I cervelli della geotermia
Il Parco delle Fumarole di Sasso Pisano nel territorio del comune di Castelnuovo Val di Cecina è caratterizzato da cumuli di minerali dai colori chiari e da pozze ribollenti di fango grigiastro.
Parliamo con Riccardo Clementi con un piccolo geyser alle spalle.
«Qui siamo in un parco naturale di “manifestazioni naturali geotermiche”, nel mezzo delle colline metallifere dell’alta Val di Cecina, al confine tra le province di Pisa, di Siena e di Grosseto», ci spiega lo scrittore.
Ci racconta che da qui passa un percorso di “trekking geotermico” che arriva al parco delle Biancane di Monterotondo Marittimo e consente di vedere tutte le manifestazioni naturali della geotermia della zona.
Larderello è il luogo da cui è cominciata la geotermia e mantiene la sua centralità.
«Di fatto è ancora il cuore e il cervello della geotermia, – sottolinea Clementi – tutto lo sviluppo tecnologico e sostenibile della risorsa è ancora qui. Enel Green Power gestisce la produzione di energia geotermica toscana e lo fa anche in altre zone del mondo: in Sud America e negli Stati Uniti, e rappresenta un riferimento internazionale da un punto di vista scientifico. Qui vengono rappresentanti di enti e organizzazioni scientifiche da diverse parti del pianeta. La stessa Associazione internazionale della geotermia recentemente ha svolto un viaggio di aggiornamento in queste aree».
Oggi in questo fazzoletto di terra ci sono 34 centrali, con 37 gruppi di produzione e una generazione di energia elettrica tra i 750 e gli 800 megawatt di potenza.
La produzione annua è di circa 6 miliardi di chilowattora (che corrisponde al consumo di circa 2 milioni di famiglie). In Toscana non c’è tutta questa popolazione, quindi l’energia viene immessa nella rete nazionale.
Si valuta che circa il 34% del fabbisogno elettrico regionale sia di generazione geotermica.
«Il vapore non finisce mai, – insiste Clementi – la risorsa e la fonte rinnovabile è il calore. C’è il magma che è a disposizione, nel sottosuolo, nel cuore della terra che in queste aree è più vicino alla crosta terrestre e che funziona un po’ da fornello, come se scaldasse continuamente delle rocce impermeabili sopra le quali passa dell’acqua, del fluido geotermico, dei vapori ad alta temperatura e sopra le quali vi sono altre rocce. Con l’attività di perforazione andiamo ad estrarre questo vapore, e ne sfruttiamo l’alta temperatura per produrre energia elettrica in un impianto con turbine a vapore. Poi lo raffreddiamo ulteriormente nelle torri di raffreddamento, dove condensa, torna acqua liquida che viene iniettata di nuovo nel sottosuolo. Per questo si chiama “coltivazione” geotermica: è l’attività necessaria a mantenere in equilibrio il ciclo che in teoria è rinnovabile ed eterno, nel senso che il magma, e il calore che cede, durano fin quando durerà il nostro pianeta».
I camini che spuntano nelle colline metallifere ricordano quelli delle centrali nucleari. Non sono esteticamente rassicuranti. Qualche polemica c’è stata.
«C’è da parte nostra un’attenzione a inserire l’impianto nel contesto paesaggistico. Intorno alle centrali vengono sviluppati dei percorsi turistici che magari terminano in un belvedere. L’obiettivo è creare intorno alla geotermia un elemento di turismo sostenibile perché la geotermia non è solo energia elettrica. Garantisce il riscaldamento a migliaia di abitazioni della zona, ci sono aziende che la utilizzano per molte attività…».
Le torri di nuova generazione, inevitabilmente, si vedono spuntare dai boschi, e sono a “tiraggio forzato”.
Ciò significa che l’aria è convogliata verso l’alto tramite delle pale di un ventilatore: hanno un impatto visivo meno violento rispetto alle vecchie, ma si utilizza una minima quota di energia elettrica per farle funzionare.
Ci sono anche torri dismesse, abbandonate perché sostituite da altre più moderne ed efficienti. La sezione di una di queste è diventata un teatro.
La geotermia come arte
Fabio Sartori lavora da più di 35 anni nella zona di Larderello, impiegato in Enel Green Power.
«Ho sempre avuto l’abitudine di andare a lavorare molto presto la mattina e spesso mi è capitato di tornare a casa tardi. Quindi ho scelto spesso di fermarmi, prima di arrivare in ufficio o prima di tornare a casa, a fare delle foto nelle zone delle biancane. La luce dell’alba o del tramonto è la migliore per fotografare».
A Sartori la passione per le foto è arrivata tardi, attorno al 2000, quando si è appassionato alla fotografia digitale. Poi è cresciuta col tempo.
Un poco alla volta ha capito che le sue opere avevano qualcosa che andava oltre la soddisfazione personale e un po’ per gioco ha cominciato a mandare alcuni suoi scatti ai concorsi nazionali e internazionali.
Camminando per le biancane, che si chiamano così per via dei minerali che assumono un colore chiaro per la reazione chimica dei carbonati che si trasformano in gessi, si passa accanto ai vapori e ai fumi che escono dal terreno in forma naturale.
Gli odori sono pungenti.
Sartori precisa che nelle torri questi odori – o meglio questa puzza – non si sente più. «Da diverso tempo all’interno delle torri questi odori sono stati abbattuti, e quello che in passato era uno dei maggiori fastidi per la popolazione oggi è stato risolto».
Nelle sue fotografie Sartori gioca con le infiorescenze dello zolfo, con i dettagli degli impianti, con la particolare vegetazione che cresce in queste conformazioni naturali.
La fotografia macro è una delle sue specialità e lui scatta senza mai usare il cavalletto.
Grazie a questa sua attività Sartori ha ottenuto diversi importanti riconoscimenti nelle rassegne della fotografia naturalistica al “The Prix de la Photographie, Paris“, al “Tokyo International Foto Awards“, al “Luminar Bug Photography Awards“, agli “International Photography Awards“, al “Moscow International Foto Awards” e a diversi altri.
Sartori, al di là del teorico dialogo con la natura che vuole rappresentare attraverso la fotografia, sta lavorando anche per rappresentare il lavoro umano nelle torri e l’attività dei suoi colleghi negli impianti geotermici.
«Non sono molto attratto dai ritratti, ma mi interessa una fotografia che sia anche parte di un impegno sociale. Una giornalista del Tirreno ha avuto la disgrazia di perdere un figlio in un incidente sul lavoro e per ricordarlo organizza ogni anno un premio fotografico. Io ho partecipato per diversi anni, due o tre volte ho vinto il premio. Rappresentare in fotografia le difficoltà, le competenze, le avvertenze a cui si attengono le persone che lavorano con me, mi pare una cosa importante».
Molte fotografie in questo articolo sono di Fabio Sartori. Lo ringraziamo per averci concesso di pubblicarle.
Vapori di birra
«Mentre tante piccole aziende sono nate e poi si sono adattate alle energie rinnovabili, noi siamo nati con già l’idea di sfruttare le energie rinnovabili. Sto parlando dell’energia geotermica che nel nostro territorio è pulita, sostenibile e totalmente rinnovabile». Edo Volpi ha deciso che accanto all’acqua, al malto, all’orzo e al luppolo, nel birrificio “Vapori di Birra” di Sasso Pisano debba starci anche l’energia proveniente dal sottosuolo della sua terra.
Dal 2013 la birreria è un riferimento per chi si cimenta nelle camminate nella Val di Cecina e si tratta, anche in questo caso, di un’attività unica nel suo genere.
La birra deve bollire e ha quindi bisogno di calore.
«A noi arriva il vapore a circa 220°, e tramite uno scambiatore impostato a 136° produce acqua surriscaldata. Questa è inserita in un circuito chiuso, quindi non c’è nessuna emissione di vapore, e questa è tutta l’energia che noi utilizziamo. Un birrificio normale per ogni ettolitro di birra prodotto emette nell’atmosfera 2 chilogrammi di anidride carbonica, noi zero. Se consideriamo che lo scorso anno abbiamo prodotto 40 mila litri di birra, vuol dire che abbiamo evitato di disperdere nell’ambiente 8000 chilogrammi di CO2».
Il birrificio, peraltro, fa parte della Comunità del cibo a energie rinnovabili.
È la prima Comunità del cibo ad energia pulita e da fonti rinnovabili che opera nel settore agroalimentare: promuove i metodi di produzione con energia da fonti rinnovabili, è composta da 39 aziende, non tutte produttrici, e imprese artigiane che hanno come priorità la sostenibilità ambientale e l’utilizzo di energia prodotta con geotermia, fotovoltaico o biomasse.
Il futuro della geotermia
Il settore della geotermia è in continua evoluzione. «In particolare – spiega Clementi – c’è sempre maggiore attenzione agli standard ambientali. Maggiore efficienza significa produrre, con la stessa quantità di vapore, una maggiore quantità di energia elettrica da immettere nella rete. Anche a livello impiantistico ci sono attività di sperimentazione. Un esempio sono le torri di raffreddamento ibride, o torri a secco. Cioè si sta arrivando a processi di raffreddamento del vapore che permetteranno di eliminare anche i piccoli pennacchi di vapore acqueo che oggi si vedono ancora».
Anche sull’estrazione dai pozzi è in atto un’evoluzione.
«Sia per la fase di perforazione che per quella di estrazione si sta arrivando a processi più sostenibili e con un ridotto impatto sul territorio. A Larderello è stata inventata la geotermia, ma ancora oggi continua a reinventarsi. La gestione italiana della complessità tecnologica della geotermia può fare scuola nel mondo in termini di innovazione. Oggi si tratta di un elemento molto importante che richiede la transizione ecologica come chiave per il futuro del pianeta».
Nei territori geotermici, 9 comuni sono già completamente riscaldati sfruttando le risorse del sottosuolo per un totale di circa diecimila utenze, e diverse attività artigianali della zona, in particolare quelle che hanno bisogno di molto calore come caseifici, serre, ma anche un salumificio, utilizzano la geotermia per abbattere i costi energetici ed essere ambientalmente sostenibili.
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