Le “madri nascoste” nelle fotografie di famiglia
Nei ritratti di bambini dell'epoca vittoriana erano camuffate dietro tende o coperte e anche oggi, per motivi diversi, sono spesso assenti
di Susanna Baggio, con Alessia Mutti
Molte fotografie scattate negli Stati Uniti tra fine Ottocento e inizio Novecento erano piene di “madri nascoste”: ritraevano bambine e bambini molto piccoli in braccio o vicino alle mamme, che venivano camuffate sotto coperte, dietro tendaggi e addirittura cancellate con una passata di inchiostro. Il risultato, come racconta sul New Yorker la giornalista Lauren Collins, è spesso piuttosto goffo, con bambini che sembrano appoggiati a macchie nere, a figure senza volto o a muri e poltrone da cui spuntano mani, piedi o pezzi di testa.
Il motivo era principalmente pratico, perché all’epoca scattare una fotografia richiedeva un tempo di esposizione abbastanza lungo, dai 15 ai 30 secondi: l’unico modo di avere un ritratto di un bambino piccolo era realizzarlo facendolo tenere fermo da un genitore, di solito la madre, che poi veniva in qualche modo rimosso dall’immagine. La pratica era molto più diffusa negli Stati Uniti che in Europa, perché là le innovazioni tecnologiche avevano reso la fotografia meno costosa e quindi accessibile anche alle famiglie più modeste. In particolare, la ferrotipia, che consiste nell’imprimere immagini su lastre di metallo rivestite di emulsioni sensibili alla luce, aveva permesso la diffusione di molti studi di fotografia e di fotografi ambulanti che giravano con le loro attrezzature nelle fiere di paese.
Tra le artiste che più hanno contribuito a far conoscere il fenomeno c’è l’italiana Linda Fregni Nagler, che è nata in Svezia, lavora a Milano e nel 2013 aveva realizzato un’opera intitolata “The Hidden Mother”, presentata alla Biennale di Venezia. Nell’opera, poi acquisita dal Nouveau Musée National de Monaco, Fregni Nagler ha raccolto 997 fotografie di “madri nascoste” – per lo più ferrotipi – recuperate in una decina d’anni tra mercatini e aste online a partire da un’immagine che l’aveva incuriosita su eBay.
Fregni Nagler ha spiegato al Post che la stragrande maggioranza di queste fotografie proviene dagli Stati Uniti, mentre alcune arrivano dal Regno Unito e una anche dall’Italia: è una foto post-mortem, scattata cioè dopo la morte della persona – in questo caso una bambina – per preservarne il ricordo. La raccolta racconta chiaramente anche un altro aspetto della società del tempo: delle quasi mille fotografie, soltanto dieci ritraggono persone nere.
Fregni Nagler ha confermato che le madri nelle foto erano presenti principalmente per tenere fermi i bambini e ha aggiunto che ci sono diverse ipotesi sul perché venissero poi nascoste o cancellate.
La prima è che loro stesse non desiderassero comparire, forse per pudore. La seconda è che desiderassero ritratti dei soli figli, come se la fotografia fosse una sorta di «testimonianza in vita di quel bambino», ha ipotizzato Fregni Nagler, collegando il fenomeno all’elevato grado di mortalità infantile tra Ottocento e Novecento. Nella maggior parte dei casi, infatti, quelle fotografie erano oggetti molto piccoli, «spesso più piccoli di un breviario», e molti le portavano con sé oppure le spedivano ai parenti lontani.
Fregni Nagler ha trovato anche figure di “padri nascosti”, che si riconoscono per le mani chiaramente maschili o le barbe che spuntano dietro i bambini.
Sembra comunque che questo fenomeno non sia stato rilevante in Italia, dove a fine Ottocento i ritratti di famiglia erano molto meno diffusi che negli Stati Uniti e nella gran parte dei casi ne comprendevano tutti i membri. Fregni Nagler ha detto che esistono anche fotografie italiane in cui la madre tiene in braccio il figlio e nasconde il viso voltando le spalle alla macchina fotografica, ma ritiene che non debbano essere collegate al fenomeno americano perché sono più tarde – risalgono ai primi decenni del Novecento – e perché furono scattate già in ambito domestico.
Si è dedicata al tema anche la fotografa americana Laura Larson nella sua monografia Hidden Mother, uscita nel 2017, in cui osserva che la madre nascosta appare «in molte forme, occupando un ruolo strutturale ma visivamente periferico». Secondo Larson, che si era interessata al soggetto mentre era nel mezzo delle proprie pratiche di adozione, la forma della donna «diventa indistinguibile dall’arredo della scena», quasi come fosse parte dell’arredamento o della tappezzeria, ed è deliberatamente in secondo piano.
A partire da queste osservazioni, la giornalista Lauren Collins si è chiesta sul New Yorker se ci siano “madri nascoste” anche nelle foto di famiglia di oggi.
Mères de famille : on vous prend en photo, vous ?
— Fille d'Album (@FilledAlbum) January 3, 2022
A inizio gennaio la bibliotecaria parigina Laura Vallet aveva chiesto su Twitter: «Mères de famille: on vous prend en photo, vous?», una cosa come “madri di famiglia: voi comparite mai nelle foto?”, aprendo così un dibattito sulla presenza delle madri nelle fotografie in famiglia. Il post di Vallet, che si occupa principalmente di letteratura per l’infanzia e della critica del genere in prospettiva femminista, aveva ottenuto più di quattrocento risposte, soprattutto da parte di donne in coppie eterosessuali che si sentivano assenti dalla maggior parte delle foto di famiglia.
La stessa Vallet aveva passato in rassegna i propri album e aveva scoperto che tra le circa 450 fotografie ce n’erano molte di più dei figli insieme al padre anziché con lei o della famiglia al completo. Vallet compariva quasi sempre nelle foto di rito, come quelle con le torte di compleanno o davanti all’albero di Natale, ma non c’era quasi mai in quelle che raccontavano la vita di tutti i giorni. Suo marito era presente in un quinto delle foto, lei in una su dieci; compariva da sola in un’unica foto.
In un’intervista a Le Monde, Vallet ha spiegato che essere così poco presente nelle foto di vita familiare le procura un gran fastidio, soprattutto perché ne è profondamente coinvolta.
L’interesse attorno al post di Vallet ha aperto una discussione sulla rappresentazione delle madri nelle foto di famiglia e sulla possibilità che si tratti di una sorta di “invisibilizzazione”: un processo per cui certe categorie di persone – in questo caso le donne – vengono private in modo più o meno consapevole dall’essere legittimamente rappresentate.
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Il punto però potrebbe essere anche un altro. A lungo le macchine fotografiche sono state strumenti grossi e ingombranti maneggiati quasi esclusivamente dagli uomini mentre oggi, come spiega la fotografa e scrittrice Sara Munari al Post, «tutti fotografiamo tutto»; inoltre l’album di famiglia non è più qualcosa di privato ma «ha cambiato collocazione», trovando spazio nei social network e permettendo a tutti di condividerlo.
La ricercatrice Claudine Veuillet-Combier, psicologa dell’università di Angers, ha spiegato che se le madri sono assenti dalle foto è perché sono perlopiù loro a scattare quelle dei propri figli e delle proprie famiglie, a condividerle e a commentarle sui social network. Veuillet-Combier ha osservato che quella che viene percepita come assenza nelle foto può corrispondere a una rivendicazione di un ruolo più attivo: nelle parole di Munari, magari «manca la figura femminile, lei, la persona», ma nella fotografia «c’è tutta la sua storia perché quello che scatta racconta chi è».
Sembra concordare con questo punto di vista anche la professoressa della Columbia University Marianne Hirsch, che tra le altre cose si occupa di studi femministi e di fotografie in ambito familiare. Hirsch ha spiegato al New Yorker che il ruolo tradizionale degli uomini è sempre stato quello di essere «custodi della storia grande e importante» e quello delle donne di occuparsi di quella domestica, ma che ora i ruoli si stanno rovesciando. Secondo Hirsch l’assenza nelle foto familiari percepita da Vallet e dalle madri che hanno commentato il suo post può anzi essere una prova dell’evoluzione dei ruoli di genere anziché della loro immobilità: un indizio che «le strutture delle famiglie stanno cambiando».
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