Cosa non ha funzionato in queste Olimpiadi
Da tempo i Giochi sono circondati da tensioni e la pandemia ha complicato tutto, ma a Pechino c’è stato anche altro
La percezione del successo di un’edizione dei Giochi olimpici, estiva o invernale, è sempre piuttosto soggettiva e può cambiare molto da paese a paese. Le ultime Olimpiadi estive di Tokyo, per esempio, non sono state un evento così memorabile per il paese ospitante, il Giappone, tra rinvii, eventi chiusi al pubblico, proteste di piazza e un terzo posto nel medagliere; lo sono state invece per l’Italia, dove nonostante il fuso orario verranno ricordate a lungo per i risultati storici ottenuti dai suoi atleti.
Le Olimpiadi invernali di Pechino si sono svolte in una situazione simile, fortemente influenzata dalle restrizioni per la pandemia, ma anche da una sensazione di desolazione nelle sedi delle gare, specialmente quelle in montagna, e da tensioni geopolitiche che hanno circondato i Giochi dall’inizio alla fine. Ci sono inoltre paesi, come gli Stati Uniti, in cui tra boicottaggi diplomatici e risultati deludenti queste Olimpiadi sono state fra le meno seguite di sempre.
Proprio a causa dei vari boicottaggi diplomatici, i Giochi di Pechino sono iniziati in assenza di molti rappresentanti dei paesi occidentali, dagli Stati Uniti a Nuova Zelanda, Australia, Canada e Regno Unito.
Alla cerimonia d’apertura l’ospite di gran lunga più importante è stato il presidente russo Vladimir Putin, che aveva approfittato dell’occasione per incontrarsi con il presidente cinese Xi Jinping. Insieme avevano rimarcato l’alleanza strategica tra Russia e Cina in opposizione all’Occidente e alla NATO, con la minaccia della guerra in Ucraina sullo sfondo. Eppure Putin, così come gli altri rappresentanti russi, non avrebbero potuto partecipare alla cerimonia come sanzione per gli scandali legati al doping che hanno coinvolto la Russia negli ultimi anni. Le sanzioni sono state però aggirate dagli inviti concessi direttamente dalle autorità cinesi.
Diverse associazioni per i diritti umani le avevano definite “Olimpiadi del genocidio” già prima del loro inizio, a causa della repressione che il governo esercita da tempo sulla popolazione di etnia uigura nella regione occidentale dello Xinjiang. Secondo l’ONU, in quella regione, dove il governo cinese esercita un severissimo controllo su ogni espressione di tipo sociale, culturale e politica, almeno un milione di persone è stato imprigionato in campi di rieducazione.
La situazione nello Xinjiang era stata tra i motivi dei boicottaggi diplomatici, oltre che del basso profilo adottato da molti degli sponsor principali dei Giochi, specialmente quelli americani, presenti ma senza troppi sfarzi. Coca-Cola e Procter & Gamble, per esempio, non hanno organizzato le loro solite grandi campagne pubblicitarie.
Alcuni passaggi della cerimonia d’apertura erano stati inoltre interpretati come una provocazione politica nei confronti dell’Occidente: è il caso della decisione di far accendere il braciere olimpico a due atlete, fra cui Dinigeer Yilamujiang, una fondista proveniente proprio dalla provincia dello Xinjiang.
Ci sono state poi numerose questioni legate alle sedi degli eventi. Le “bolle” di Yanqing e Zhangjiakou — dove si sono tenute le gare di sci alpino, sci di fondo, scivolamento e freestyle — sono state quelle più problematiche. Questi centri sono stati infatti costruiti dal nulla in zone con temperature molto basse, ma anche aride e senza neve, condizioni che hanno reso particolarmente dure le superfici, peraltro “sporcate” dalla sabbia portata dal vento in quella zona di montagne rocciose.
Le piste dello sci alpino sono state di fatto sconosciute ai partecipanti non cinesi fino a pochi giorni dall’inizio delle gare, tanto che Yanqing è stata soprannominata “la montagna dei misteri”. Diversi atleti si sono inoltre lamentati della banalità dei tracciati, un problema ricorrente nelle piste costruite appositamente per le Olimpiadi, come quelle di quattro anni fa in Corea del Sud.
Nell’arco della durata della manifestazione, le zone montuose sedi dei Giochi non hanno mai visto neve abbondante, se non quella artificiale, realizzata con circa 2 milioni di metri cubi di acqua, l’equivalente contenuto da 800 piscine olimpioniche. Gran parte dell’acqua utilizzata era stata conservata dagli anni precedenti — secondo gli esperti a discapito delle falde locali già ampiamente sfruttate — e altra invece è stata presa in corso d’opera da quella ad uso della popolazione locale.
Il risultato è stato un’atmosfera ancora più strana di quella che circondò gran parte delle gare di Pyeongchang, che ebbero a loro volta diversi problemi. Lingue di neve tra montagne brulle e rossastre, enormi impianti, come quello dello scivolamento di Zhangjiakou, completamente isolati dai centri urbani, e altri ricavati in luoghi insoliti. È il caso della struttura per il freestyle e il salto con gli sci, costruita all’interno dell’ex acciaieria Shougang nei dintorni di Pechino, un’area riqualificata di recente dove però sono rimaste torri, capannoni e ciminiere in disuso.
I dati su ascolti e interazioni sono ancora parziali. Quelli circolati finora in Italia, però, hanno anticipato un netto aumento rispetto all’edizione di quattro anni fa. Discovery, il network che le ha trasmesse interamente in Italia tramite Eurosport e Discovery+, ha registrato aumenti significativi su tutti i fronti, dall’audience al numero di nuovi abbonamenti, probabilmente spinti anche dalle buone prestazioni degli atleti italiani, per cui è già l’Olimpiade con più medaglie complessive dopo Lillehammer 1994. Lo stesso però non è successo negli Stati Uniti, in un mercato solitamente molto rilevante per i Giochi olimpici.
In America le Olimpiadi di Pechino sono state definite “distopiche”, sia per le particolarità dei luoghi in cui sono state ospitate sia per le rigide restrizioni adottate dal paese nell’ambito della “strategia zero-COVID”, che ha di fatto separato dal resto del paese tutto quello che riguardava i Giochi. La cerimonia d’apertura è stata vista da appena 16 milioni di persone, addirittura il 43 per cento in meno rispetto a quattro anni fa: circa un terzo di quelle che domenica 13 febbraio hanno seguito il Super Bowl, la cui concomitanza non ha di certo aiutato.
Nello scarso seguito avuto dalle Olimpiadi negli Stati Uniti hanno pesato i rapporti con la Cina, da tempo complicati — come evidenziato dal boicottaggio diplomatico — e più di recente messi alla prova dall’allineamento di quest’ultima con la Russia. In un editoriale del New York Times, Lindsay Crouse ha scritto: «L’attrazione principale dei Giochi è sempre stata l’ispirazione, la ricerca di sogni impossibili. A due anni dall’inizio di una pandemia, quando tanti dei nostri sogni sono stati accantonati, questi Giochi non stanno fornendo quel tipo di ispirazione. Invece di mostrare il meglio di ciò che l’umanità può fare, queste Olimpiadi sembrano riflettere quello che non possiamo».
Due delle storie che rimarranno dei Giochi olimpici di Pechino sono in effetti piuttosto negative. Una, che riguarda di più gli Stati Uniti, è quella di Mikaela Shiffrin, la più forte sciatrice della sua generazione, che a 26 anni doveva vincere tutto e invece non ha vinto nemmeno una medaglia, sbagliando clamorosamente anche le sue prove preferite. L’altra riguarda tutti ed è quella della pattinatrice russa Kamila Valieva, che a quindici anni è stata coinvolta suo malgrado in un caso di doping che ne ha influenzato le prestazioni tanto da farla crollare nella prova decisiva del concorso individuale, dove avrebbe dovuto vincere l’oro e invece ha perso tutto. Anche il presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach, si è detto «disturbato» dalla vicenda.
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