La Corte Costituzionale ha respinto il referendum sulla cannabis
Il presidente Amato ha detto che sarebbe incompatibile con gli obblighi internazionali dell'Italia, e che il quesito aveva problemi di formulazione
La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il referendum cosiddetto sulla cannabis legale, che proponeva di depenalizzare la coltivazione e di eliminare il carcere per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis, con eccezione dell’associazione finalizzata al traffico illecito. Lo ha detto il presidente della Corte Giuliano Amato mercoledì sera, in una conferenza in cui ha anche annunciato che uno dei due referendum sulla giustizia sui quali ancora si attendeva il parere della Corte Costituzionale è stato approvato (quello sulla valutazione dei magistrati) e l’altro no (quello sulla responsabilità civile dei magistrati).
Parlando del quesito sulla cannabis, Amato ha detto che le ragioni della decisione sono due: anzitutto il referendum, se approvato, avrebbe portato a una «violazione degli obblighi internazionali dell’Italia», perché avrebbe consentito la coltivazione anche di «droghe pesanti». La prima parte del quesito, ha detto Amato, prevederebbe infatti che tra le attività penalmente punite scompaia la coltivazione di piante «che includono papavero, coca… insomma, includono le cosiddette droghe pesanti». In questo modo, l’Italia violerebbe «obblighi internazionali plurimi» che sono «un limite indiscutibile dei referendum».
Come si legge sul sito del comitato per il referendum, il quesito propone effettivamente «di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi pianta», non soltanto della cannabis. Il comitato specificava però che «la cannabis è l’unica sostanza che non richiede ulteriori passaggi prima di essere consumata» e che se il referendum fosse passato «la detenzione di piante, foglie e fiori a fini di spaccio e le attività di fabbricazione, estrazione e raffinazione, necessarie ad esempio alla cocaina e l’eroina» avrebbero continuato «a essere punite».
La seconda ragione per respingere il referendum è che il quesito proposto aveva problemi di formulazione, che secondo la Corte avrebbero provocato una «inidoneità allo scopo»: in pratica, il quesito referendario non avrebbe consentito una depenalizzazione completa, perché trascurava di eliminare alcune parti del codice che sarebbero entrate in conflitto tra loro.
Oltre al referendum sulla cannabis, è stato dichiarato inammissibile il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, che prevedeva che il magistrato pagasse di tasca propria l’eventuale risarcimento per l’errore giudiziario commesso.
È stato invece accettato il referendum che vuole introdurre la possibilità che negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati possano votare anche i membri non togati (ovvero gli avvocati), oltre a quelli già approvati nel pomeriggio.
Durante la conferenza stampa, Amato è anche tornato sulla decisione presa martedì di respingere il cosiddetto referendum sull’eutanasia. Ha detto che gran parte delle reazioni negative alla decisione della Corte sarebbero state provocate da un fraintendimento tra «eutanasia», di cui il referendum non si occupava, e «omicidio del consenziente», che era il vero argomento del referendum. Secondo Amato, il referendum non avrebbe legittimato l’eutanasia, ma avrebbe legittimato l’omicidio del consenziente «ben al di là dei casi per i quali ci si aspetta che l’eutanasia possa aver luogo».
In pratica, secondo la Corte, il referendum non avrebbe consentito soltanto l’eutanasia delle persone sofferenti o dei malati terminali, ma di chiunque avesse dato il consenso all’iniezione letale, legittimando casi «che stanno fuori dal mondo eutanasico», ha detto Amato.