50 chilometri di documenti gestiti da un robot
Dentro all'archivio di Milano c'è di tutto, e a trovare i faldoni è un macchinario soprannominato Eustorgio intorno al quale ci sono grandi progetti
di Mario Macchioni
Il quartiere periferico di Niguarda, all’estremo nord di Milano, è noto soprattutto per l’imponente ospedale, ma anche per essere stato un quartiere operaio, ancora oggi con una forte connotazione popolare. Tutto intorno a via Racconigi, a meno di un chilometro dalla fermata della metro Bicocca, i palazzi alti e squadrati si confondono con il cielo grigio di febbraio, la cui omogeneità cromatica è interrotta da una serie di murales colorati dipinti su un lungo muro di cinta che circonda un edificio, grigio anche quello.
È un palazzo scarno e tozzo, con una pianta ampia: un tempo era un magazzino comunale, mentre oggi ospita una parte consistente dei documenti conservati dalla Cittadella degli Archivi, il polo archivistico del comune di Milano, uno dei più grandi d’Europa a essere meccanizzati. Messi in linea, impilati uno accanto all’altro, i suoi fondi documentali raggiungono i novanta chilometri, di cui oltre cinquanta gestiti da un robot. E il comune ha intenzione di ampliare la Cittadella con un piano da quasi 18 milioni di euro, che la renderà più estesa e moderna. Al completamento dovrebbe arrivare ad avere 190 chilometri di faldoni di documenti, di più di quelli dell’Archivio Centrale dello Stato, che ne ha 160.
Girando attorno al muro di cinta della Cittadella, e costeggiando via Gregorovius, si notano altri murales ben curati, e una torre alta su cui risalta un neon luminoso che segnala l’entrata del complesso, che già suggerisce quello che la Cittadella vorrebbe diventare. Oltre al neon, modellato per formare la scritta “Boccioni”, sulla sinistra ci sono due opere dell’artista milanese Ivan Tresoldi.
Come racconta il sovrintendente Francesco Martelli, la Cittadella è già adesso un ibrido tra istituto culturale e ufficio amministrativo all’avanguardia, e vorrà esserlo ancora di più in futuro. Ma è nato tutto in maniera piuttosto casuale, per via di una scelta fatta dall’amministrazione milanese addirittura nel 2007.
La giunta di allora, guidata da Letizia Moratti, approvò un progetto da 5 milioni di euro nato da un’idea del dirigente Nicola Marra per costruire un imponente e sofisticato robot che gestisse i fondi documentali del comune, riconvertendo un’ampia rimessa dove il comune mandava le auto rimosse dalla sosta vietata in giro per la città. Nel 2011 il robot – soprannominato Eustorgio, come un celebre vescovo milanese del IV secolo – fu completato, ma quell’anno il mandato di Moratti si concluse e ci fu l’avvicendamento con la giunta di sinistra di Giuliano Pisapia. «In quel momento la giunta aveva ben altri problemi a cui pensare, quindi Eustorgio rimase lì impalato tre anni» dice Martelli.
L’ufficio di Martelli rispecchia la sua personalità. Alle spalle della scrivania il muro è tappezzato da un insieme eterogeneo di opere d’arte, mentre in un angolo c’è un manichino da sartoria che espone un abito appartenuto al critico d’arte Philippe Daverio, un tre pezzi rosa, «regalo della moglie» in occasione della mostra organizzata dalla Cittadella su Daverio.
Giacca di raso turchese, fiore sul bavero e grandi occhiali da Prima Repubblica, Martelli racconta il lungo lavoro alla Cittadella negli ultimi anni. «Quando sono arrivato abbiamo dovuto inventare le procedure di archiviazione da zero, perché non c’era mai stato un robot d’archivio documentale prima, forse neanche nel mondo». Alle teche Rai di via Salaria a Roma c’è un sistema meccanizzato non molto diverso, ma preleva i supporti fisici dove sono registrate le trasmissioni, e ce n’è uno anche alla British Library, ma per i libri.
Per far funzionare Eustorgio con fluidità, Martelli e i suoi collaboratori hanno ideato un sistema di catalogazione basato sui QR code, che racchiudono tutte le informazioni necessarie relative al documento e permettono di estrarlo, scansionarlo digitalmente e mandarlo al richiedente via mail in circa quindici minuti: le richieste arrivano in continuazione, e riguardano principalmente pratiche catastali o anagrafiche.
Ogni documento immesso è stato prima selezionato dai dipendenti della Cittadella, inventariato, in certi casi ricongiunto in un faldone insieme ad altri che si trovavano altrove e poi etichettato. A quel punto viene preso in carico da Eustorgio che lo colloca su uno degli otto corridoi alti sei metri lungo i quali si muove grazie a un binario. Nella stanza dove si trova il gestionale del robot e dove arrivano i nuovi faldoni da immettere c’è un gran viavai, con gli operai addetti al controllo e i funzionari e le funzionarie che preparano le vasche di alluminio dove finiscono i documenti.
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Quando si insediò Martelli nel 2014, però, era tutto vuoto. Oltre a mancare le procedure, mancavano anche i documenti, e farli arrivare non fu facile. C’era diffidenza nei confronti di un sistema nuovo, e gli uffici pubblici, tradizionalmente restii al cambiamento, esitavano a mettere le mani nelle varie cantine e corridoi sparsi dove nei decenni i documenti si erano accumulati. Le cose cambiarono nel 2015, quando il comune chiuse gli uffici di via Pirelli 39 – quelli della torre soprannominata “Pirellino” – e Martelli si propose di accogliere tutta la documentazione, dato il vasto spazio a disposizione.
Un’altra massiccia archiviazione di documenti ci fu più o meno nello stesso periodo, quando il comune decise di non prorogare la licenza di gestione delle case popolari della città ad Aler, l’azienda regionale, prendendosene carico attraverso una società municipalizzata. Tutto l’archivio di Aler e di quelle società immobiliari private che negli anni avevano gestito l’edilizia comunale arrivò alla Cittadella: «Erano cinquemila scatoloni, stavano a Liscate in un capannone» ricorda Martelli. «Il lavoro di riorganizzazione portò le scatole a 1.300, questo per dare la dimensione del lavoro che viene fatto dopo anni di incuria. Oggi tutto quello che riguarda le case popolari a Milano passa da qua: c’è un prelievo continuo, a ritmi folli per un normale archivio storico, facciamo 3.300 estrazioni al mese».
Da allora le cose sono cambiate e ora sono le varie propaggini dell’amministrazione comunale che chiedono di poter consegnare la propria documentazione. Ci sono tra i 20 e i 25mila faldoni in attesa di essere ricevuti da Eustorgio, attualmente pieno al 70 per cento. In sostanza, il patrimonio archivistico e documentale di Milano sta venendo gradualmente messo a sistema e catalogato in un unico posto, dopo che per decenni era stato sparso in vari uffici, cantine, capannoni, corridoi. Spesso non tenendo conto dello stato di conservazione né delle norme antincendio.
In questi anni di versamenti, gli impiegati della Cittadella sono incappati in documenti assai rari e preziosi, delle «perle», come le definisce Martelli. Di recente ha fatto notizia il censimento completo degli ebrei a Milano del 1938, custodito per intero dalla Cittadella e pubblicato in occasione della Giornata della memoria. Ma ci sono molti altri esempi notevoli, come le lettere dei bambini provenienti da tutta Italia al sindaco Aniasi, inviate dopo i funerali della strage di piazza Fontana e finite in una mostra molto apprezzata nel 2019. Le lettere colpiscono per i disegni delle tombe e dei fiori, che i bambini videro seguendo i funerali in televisione, e per la cronaca infantile della cerimonia, fedele e a suo modo sobria e priva di retorica.
Altri documenti hanno messo in discussione le convinzioni di docenti universitari ed esperti, rendendo evidente il ruolo che gli archivi hanno nel trasmettere informazioni e conoscenza. È il caso della storia della Pietà Rondanini di Michelangelo, oggi custodita al museo del Castello Sforzesco. Per anni si credette che la città di Milano avesse acquistato l’opera nel 1952 grazie al contributo collettivo della cittadinanza, in quello che era stato definito il primo esempio di fundraising della storia dell’arte, architettato dalla sovrintendente alle Gallerie della Lombardia – e già direttrice della Pinacoteca di Brera – Fernanda Wittgens.
In realtà due documenti della Cittadella smentiscono questa versione. La raccolta fondi di fatto non ci fu mai, dieci illustri cittadini milanesi contribuirono per il dieci per cento della somma, ma per la parte restante fu il comune a metterci i soldi. In una lettera indirizzata al vicesindaco Ersilio Confalonieri, Wittgens scrisse: «Mi duole di non aver potuto continuare la sottoscrizione essendo venuti a mancare, per le note ragioni, l’adesione e l’entusiasmo della cittadinanza». Martelli pubblicò la scoperta sulla rivista Arte e dossier, a seguito della quale ricorda che ci fu un certo scompiglio nel mondo accademico: «Mi scrissero in tantissimi, ordinari di università, chiedendo copia della documentazione». Al Castello Sforzesco dovettero cambiare le audioguide, che riportavano la storia della raccolta fondi.
I documenti custoditi dalla Cittadella sono così tanti e così vari che si prestano a scopi diversissimi, dalla ricerca accademica alla pubblicazione di libri e saggi. Un “coffee table book” apprezzato e di successo come Ingressi di Milano di Taschen non sarebbe uscito senza poter consultare l’immensa mole di documenti catastali della Cittadella, risalendo così all’anno di costruzione e al nome degli architetti di tutti i palazzi fotografati.
Per non parlare dei tanti scopi più prosaici e concreti. «Senza una gestione razionale del patrimonio documentale, i cantieri che sono partiti con i bonus edilizi lo avrebbero fatto molto più lentamente, o non lo avrebbero fatto proprio» dice Martelli. «Con tutte le conseguenze economiche del caso: soldi in meno che girano e via dicendo».
Tutto questo lavoro di digitalizzazione, dice Martelli, è comunque un processo che avviene «a valle», soltanto dopo aver messo letteralmente le mani nei documenti – «nella polvere e nello schifo» – e avergli dato un senso. Una pubblica amministrazione come quella italiana, caratterizzata da burocrazie tortuose e alimentata da enormi quantità di documenti cartacei, non può risolvere i propri problemi solo digitalizzando, senza prima occuparsi di come razionalizzare il patrimonio documentale.
Non è un caso che il comune di Milano abbia deciso di ampliare la Cittadella investendo una cifra che può sembrare cospicua: 17 milioni e 900 mila euro. Il lungo lavoro di immissione e catalogazione dei documenti alla Cittadella ha permesso al comune di liberare immobili e spazi per un valore complessivo di 20 milioni di euro, cosa che ha reso molto chiaro il ritorno prima di tutto economico di una buona gestione degli archivi. Con l’ampliamento, verranno installati nuovi robot simili a Eustorgio che gestiranno un nuovo spazio di 2.000 metri quadrati, alto 20 metri. La capacità del nuovo archivio, che si chiamerà MIMA (Milano Metropolitan Archives) dovrebbe arrivare a 190 chilometri di documenti, rendendolo uno dei più grandi al mondo, sicuramente il più grande a essere meccanizzato.
«L’investimento del comune è una scelta dettata dall’esigenza» dice l’assessora ai Servizi Civici Gaia Romani. «E dalla volontà di ampliare la capacità attuale della Cittadella, ormai quasi satura, che ha garantito in questi anni la liberazione di spazi in altri edifici comunali e la consultazione annuale da parte di ormai oltre 20mila utenti. L’obiettivo è quello di riuscire sempre di più a mettere in sicurezza, a digitalizzare e quindi rendere fruibile alla cittadinanza il patrimonio archivistico di cui disponiamo».
L’aspetto che ha fatto la fortuna della Cittadella, sottolineato dal comune, è come ha reso più rapidi i tempi di risposta alle richieste. Mentre mostra la parte esterna della Cittadella, con i piccoli lavori di manutenzione ancora da completare e il restauro del vecchio magazzino da iniziare, Martelli racconta cosa ha in mente per il futuro: accentuare ancora di più l’identità ibrida della Cittadella, farne un centro amministrativo che sia aperto all’arte e alla cultura contemporanee.
I murales che danno su via Racconigi, parte del progetto “Muri d’Artista” a cui hanno partecipato dieci artisti e artiste, sono un esempio di questo approccio. Sono opere ispirate ad alcuni documenti notevoli della Cittadella, con tanto di targa metallica a spiegarne il significato. L’ultimo muro all’angolo è un po’ diverso, c’è un graffito più tradizionale: «È di un ragazzo che imbratta i treni» dice Martelli divertito. «Mi è venuto a cercare dicendomi che non voleva imbrattarmi i murales, e che però avrebbe voluto comunque lasciare una traccia. Allora gli ho detto “ti lascio un muro bianco e ci fai quello che vuoi”».
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