I droni militari hanno cambiato il corso della guerra anche in Etiopia
Sono stati dati al governo etiope da Turchia, Iran, Emirati Arabi Uniti e Cina, e come in altri casi sono stati determinanti
A dicembre c’è stata una svolta importante nella guerra che in Etiopia va avanti da oltre un anno e mezzo tra governo centrale e separatisti della regione del Tigrè, nel nord del paese: dopo settimane in cui i separatisti erano riusciti a guadagnare terreno, arrivando vicino alla capitale Addis Abeba, l’esercito del governo etiope ha ripreso il controllo di una serie di città e territori, costringendo i separatisti alla ritirata.
Secondo diverse ricostruzioni, a ribaltare l’andamento della guerra è stato l’utilizzo massiccio di droni da parte del primo ministro etiope Abiy Ahmed. Droni che gli erano stati venduti, per diversi motivi, da Turchia, Iran, Cina ed Emirati Arabi Uniti.
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In una guerra i droni sono molto efficaci per motivi piuttosto semplici da immaginare: sono un’arma precisa anche per colpire obiettivi distanti, possono essere pilotati da lontano, senza una persona che rischi la vita per guidarli, sono più difficili da individuare e bloccare e possono restare per tante ore in aria. I droni sono anche molto meno costosi di altre armi, come ad esempio carri armati o mezzi aerei di altro tipo, e possono essere usati anche da eserciti più piccoli e con meno disponibilità.
In Etiopia, i droni hanno permesso all’esercito etiope di colpire facilmente e rapidamente numerosi obiettivi sia militari che civili, costringendo nel giro di qualche giorno le milizie del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF) a retrocedere di circa 435 chilometri: è gran parte del territorio che i separatisti avevano conquistato nell’arco di mesi.
Dei droni Ahmed ha fatto un uso intenso: un comandante delle milizie tigrine intervistato dal New York Times ha detto che arrivavano a essercene anche dieci in cielo nello stesso momento. «Eravamo obiettivi facili», ha aggiunto.
Sono state uccise decine di persone, e Ahmed ha continuato a usarli anche nelle settimane successive: in un attacco compiuto a inizio gennaio con un missile lanciato da un drone sono state uccise 58 persone. In totale, nella guerra in Etiopia, le persone uccise coi droni sono state più di 300, secondo Politico.
I droni usati a dicembre erano stati venduti all’esercito etiope da Turchia, Emirati Arabi Uniti, Iran e Cina, interessati per motivi diversi a farglieli avere.
Per la Turchia, per esempio, l’esportazione di droni è ormai un’importante fonte di reddito. I droni turchi sono particolarmente sofisticati e la Turchia li ha venduti, tra gli altri, a Marocco, Tunisia e Libia. In Etiopia sono stati determinanti.
Un modello in particolare, il Bayraktar TB2, è stato particolarmente efficace negli attacchi di dicembre: è un tipo di drone prodotto dall’azienda del genero del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, e fu decisivo anche nella vittoria dell’Azerbaijan, alleato della Turchia, nella guerra combattuta contro l’Armenia in Nagorno-Karabakh tra settembre e novembre del 2020. Anche in quel caso, benché l’esercito armeno avesse vinto gli scontri degli anni precedenti e fosse noto per essere più avanzato, l’utilizzo di droni da parte dell’Azerbaijan contribuì a rovesciare il risultato del conflitto.
Secondo Reuters il Bayraktar TB2 è uno dei droni più efficaci attualmente in commercio.
Ma ci sono anche altri motivi per cui vari paesi hanno venduto i propri droni all’Etiopia, come ad esempio testare nuova tecnologia militare in una guerra che si svolge altrove per studiarne l’efficacia. Parlando della vendita di droni all’Etiopia, Peter W. Singer, esperto dell’utilizzo di droni in guerra, l’ha definita «una combinazione di guerra e laboratorio di battaglia».
Nel caso degli Emirati Arabi Uniti, poi, la vendita di droni all’Etiopia era motivata anche dalla volontà di sostenere uno stretto alleato, Abiy Ahmed.
L’uso dei droni in guerra non è una cosa nuova: i primi a usarli in modo massiccio furono gli Stati Uniti durante la cosiddetta “guerra al terrore”, intrapresa dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, compiuti da al Qaida. Negli anni il loro sviluppo tecnologico è progredito e sono nati anche dibattiti etici sulla legittimità del loro utilizzo, legati tra le altre cose alla difficoltà di stabilire con chiarezza le responsabilità di chi li usa.
Recentemente, però, è diventato sempre più chiaro quanto i droni possano influenzare il corso di una guerra o addirittura determinarne l’esito. Anche per questo, l’integrazione dei droni nelle forze militari di tutto il mondo è uno degli obiettivi principali di molti governi, come dimostra la crescita costante di investimenti nel settore.
Questo non significa necessariamente che i droni garantiscano in ogni occasione la supremazia militare. Come ha ricordato Singer al New York Times, «gli Stati Uniti avevano i droni in Afghanistan, ma i talebani sono riusciti a resistere per 20 anni». Anche il risultato della guerra in Etiopia non è scontato: i droni a disposizione di Ahmed sono poche decine, e benché costituiscano una grave minaccia per le forze tigrine potrebbero non essere sufficienti da soli per vincere la guerra.