La COVID-19 aumenta il rischio di malattie cardiache
Un nuovo grande studio ha rilevato effetti nel lungo periodo, anche a un anno dall’infezione
Il più grande studio condotto finora sugli effetti della COVID-19 sul cuore ha rilevato che – a un anno di distanza dalla malattia grave – i pazienti mantengono un alto rischio di problemi cardiaci di vario tipo. La ricerca, la più completa svolta negli Stati Uniti su milioni di casi clinici, conferma le evidenze raccolte negli ultimi due anni circa gli effetti del coronavirus sul nostro organismo nel lungo periodo, spesso definiti come “long COVID”.
Per realizzare il loro studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati messi a disposizione dal Dipartimento degli Affari dei Veterani, che si occupa degli ex combattenti delle forze armate statunitensi. L’analisi ha compreso circa 154mila individui che si erano ammalati di COVID-19 tra marzo 2020 e gennaio 2021, e che erano sopravvissuti almeno per 30 giorni dall’inizio dell’infezione. Il gruppo di ricerca ha poi selezionato due gruppi di controllo per mettere a confronto i dati: uno era costituito da 5,6 milioni di ex combattenti che avevano richiesto assistenza medica, senza risultare positivi al coronavirus, e l’altro da 5,9 milioni di ex combattenti che avevano fatto altrettanto nel 2017, quando non c’era ancora la pandemia.
Nel complesso, il gruppo di ricerca ha riscontrato un aumento del rischio di almeno 20 diverse malattie cardiache e circolatorie tra le persone che avevano avuto la COVID-19 nell’anno precedente, rispetto a chi invece non l’aveva avuta.
Il rischio è risultato sensibilmente più alto tra le persone che avevano sofferto di forme gravi della malattia, che già nella fase acuta può comportare complicazioni di vario tipo a carico dell’apparato cardiocircolatorio. I ricercatori hanno comunque riscontrato un aumentato fattore di rischio anche per chi aveva sviluppato forme di COVID-19 tali da non rendere necessario un ricovero in ospedale.
In media i pazienti avevano un’età intorno ai 60 anni e il campione ha compreso quasi esclusivamente persone di sesso maschile (il 90 per cento), per le quali il coronavirus comporta qualche fattore di rischio in più rispetto alle donne. Al netto dell’età e di altre differenze, i ricercatori hanno riscontrato un aumento del rischio di problemi cardiovascolari sia tra gli anziani sia tra i giovani, tra i fumatori e chi non fuma e tra chi è obeso o normopeso.
Le persone che si erano ammalate di COVID-19 hanno fatto riscontrare un rischio più alto del 72 per cento di avere un’insufficienza cardiaca nei 12 mesi seguenti, rispetto alle persone nei gruppi di controllo che non erano risultate positive.
Gli studi basati sui casi clinici devono essere sempre considerati con qualche cautela, ma secondo vari esperti la grande quantità di pazienti compresi nell’analisi offre basi piuttosto solide e che potranno essere impiegate per nuove ricerche sul tema.
A oggi non è ancora completamente chiaro che cosa determini i danni nel lungo periodo. I ricercatori ipotizzano che un fattore possa essere l’infiammazione che il coronavirus induce nelle cellule endoteliali, il rivestimento interno dei vasi sanguigni. L’infezione virale sembra avere inoltre effetti sulla muscolatura cardiaca e in generale sul funzionamento del cuore, specialmente nel caso delle forme gravi di COVID-19 che danneggiano i polmoni. Non è inoltre escluso che il coronavirus riesca a infettare cellule in aree dove solitamente il sistema immunitario interviene con minore efficacia, trovando quindi terreno per moltiplicarsi più facilmente.
Secondo gli autori della ricerca, queste circostanze indicano che potrebbero esserci milioni di persone esposte a maggiori rischi cardiaci, con malattie croniche che potrebbero mettere ulteriormente in difficoltà i servizi sanitari, già messi a dura prova da due anni di pandemia.