Perché gli studenti stanno protestando contro la maturità
Il ministero ha ripristinato le prove scritte, ma le associazioni studentesche le giudicano inadeguate dopo la pandemia e la DAD
Nei giorni scorsi in tutta Italia ci sono state proteste di studenti e studentesse molto partecipate, principalmente riguardo a due questioni: la modalità con cui verranno svolti gli esami di Stato di fine anno nelle scuole superiori, comunemente noti come esami di maturità, e l’alternanza scuola-lavoro. Le proteste si sono intensificate dopo che a fine gennaio il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi aveva deciso di riproporre l’esame tradizionale, com’era prima della pandemia, con due prove scritte e una orale. Secondo gli studenti un esame di questo tipo non tiene conto dei due anni, distribuiti su tre anni scolastici, in cui la pandemia ha costretto per lunghi periodi le classi a svolgere le lezioni con la didattica a distanza (DAD), con inevitabili conseguenze sulla loro preparazione.
Ma la questione della maturità è solo un aspetto – il più concreto e puntuale – di una gestione della scuola che viene contestata da mesi dalle associazioni studentesche attraverso occupazioni, manifestazioni e assemblee.
Negli ambienti scolastici è da settembre che si parla dell’esame di maturità e delle modalità con cui sarà svolto. Lo scorso autunno, parlando con le associazioni, il ministro Bianchi si era mostrato aperto al dialogo e alle richieste degli studenti di svolgere l’esame come nel 2021 e nel 2020, cioè con un colloquio orale diviso in parti e la discussione di un «elaborato» scritto, cioè una specie di “tesina” interdisciplinare. La questione era già allora molto sentita, tanto che a novembre alcuni studenti avevano aperto una petizione su Change.org per togliere gli scritti dalla maturità, che attualmente ha oltre 100mila firme.
Tuttavia a fine gennaio il ministero dell’Istruzione ha annunciato il ripristino delle prove scritte, che verranno selezionate e valutate dalle commissioni scolastiche interne e da un presidente di commissione esterno.
La decisione ha provocato una reazione quasi immediata. Venerdì 4 febbraio in decine di città italiane migliaia di studenti hanno organizzato manifestazioni che si sono unite a quelle che c’erano state il 28 gennaio per la morte di Lorenzo Parelli, il 18enne rimasto ucciso mentre stava svolgendo un tirocinio in una fabbrica di Udine, durante le quali alcuni manifestanti erano stati manganellati dalla polizia. La messa in discussione dell’alternanza scuola-lavoro e la richiesta di togliere gli scritti della maturità sono stati i temi principali delle proteste di venerdì, ma ci sono anche ragioni più profonde dietro alla contestazione.
«C’è un problema di coinvolgimento» dice Tommaso Biancuzzi, coordinatore nazionale del sindacato studentesco Rete degli Studenti Medi. «Il ministero continua nella sua linea, che è quella di non ascoltare gli studenti. È un problema che non è solo di metodo, ma di merito, perché scegliere di non dialogare significa imporre scelte dall’alto senza magari neanche essere mai entrati in una scuola». La modalità della decisione è il problema principale secondo tutte le associazioni.
La pensa così anche Luca Redolfi, coordinatore nazionale di un’altra associazione, l’Unione degli Studenti: «Fare una scelta così a fine gennaio è un’assurdità. L’ultima volta che abbiamo incontrato il ministro era ottobre, e ci disse che l’esame probabilmente restava lo stesso dello scorso anno, ma che ne avremmo discusso in un tavolo di lavoro specifico». Dopo quell’incontro ci sono state alcune contestazioni sempre rivolte alla gestione della scuola, e da allora secondo Redolfi il ministro non ha più voluto incontrare gli studenti. Fino alla decisione di fine gennaio, arrivata peraltro poco dopo la manifestazione del 28 con la repressione della polizia.
Ci sono poi le oggettive difficoltà didattiche e psicologiche delle maturande e dei maturandi, dice Biancuzzi: «Prima con le scuole completamente chiuse, e quindi la DAD; l’anno scorso con le riaperture e le chiusure a singhiozzo a seconda della zona; quest’anno con un virus che continua a farsi sentire e con molte classi che continuano a stare in DAD o in didattica mista».
Le conseguenze della pandemia sulla salute mentale degli adolescenti sono emerse con chiarezza dai dati di studi nazionali e internazionali, ma anche dalle testimonianze degli studenti stessi e di psichiatri, psicologi e medici del pronto soccorso. Le limitazioni alla socialità e i lunghi periodi di isolamento hanno provocato un significativo aumento di ansia e depressione nelle persone tra 12 e 18 anni, e secondo le associazioni studentesche è un fenomeno che non viene preso in considerazione dal ministero, e spesso neanche dai dirigenti scolastici.
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La discontinuità nelle lezioni in presenza e le difficoltà psicologiche hanno portato a una sorta di crisi pedagogica: soprattutto nelle prove scritte e nella produzione di testi lunghi gli studenti e le studentesse hanno accumulato grosse difficoltà, a un livello tale che l’esame di maturità tradizionale viene giudicato «inarrivabile» e inadatto a valutare un percorso scolastico così accidentato.
Di questa crisi degli studenti ha scritto su Repubblica Paolo Di Paolo, che è andato in un liceo di Napoli e ha chiesto perché l’esame scritto incute tanto timore. «Io preferisco parlare» gli ha risposto una studentessa. «Quando scrivo mi concentro troppo sulla forma, ho paura di scivolare sulle regole grammaticali, perdo di vista il contenuto, e consegno il foglio sempre con la sensazione di aver detto pochissimo rispetto a quanto avrei voluto dire».
Tra gli intellettuali e i docenti in molti hanno difeso l’importanza delle competenze scritte per chi si diploma. La professoressa di lettere Chiara Frezzotti, nel suo libro La scuola interrotta, sostiene che un esame di maturità senza la prova scritta di italiano risulti così «depotenziata» che sarebbe meglio abolire l’intero esame di Stato: «Non dimentichiamo, tra l’altro, che, nonostante le valutazioni finali della maturità [dello scorso anno, ndr] siano state in generale estremamente positive, i dati Invalsi, resi noti nel mese di luglio, fotografano una realtà completamente opposta».
Ma c’è anche chi ritiene che gli studenti abbiano ragione a chiedere di essere inclusi nel processo di valutazione. Come ha scritto Cristiano Corsini, docente di pedagogia all’Università Roma Tre, «la valutazione per essere educativa deve essere condivisa, sennò diventa una classifica meritocratica che di educativo ha davvero ben poco»; questo approccio peraltro è in linea con lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria del ministero dell’Istruzione, in cui si legge:
Lo studente ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico.
Dopo le manifestazioni del 28 gennaio e del 4 febbraio, Bianchi ha scritto una lettera a Repubblica in cui dice che «dobbiamo garantire ascolto» ai temi posti dagli studenti. Ha anche spiegato in parte le ragioni del ministero sulla maturità, scrivendo che la seconda prova – quella caratterizzante dell’istituto o del liceo – «potrà sicuramente tenere conto dei livelli educativi effettivamente raggiunti» perché sarà scelta e valutata da sei commissari interni e un presidente esterno.
Lunedì si è espresso sul tema anche il Consiglio superiore della pubblica istruzione, un organo ministeriale che garantisce rappresentanza a livello centrale alle varie componenti scolastiche sul territorio. Secondo il Consiglio – che esprime pareri facoltativi sulle politiche da seguire – sarebbe opportuno svolgere l’esame di maturità secondo le modalità dello scorso anno, per «consentire di valorizzare il percorso scolastico di tutti e di ciascuno, facendo emergere le esperienze vissute e le competenze acquisite».
Bianchi non sembra essere d’accordo con l’organo del suo ministero. Martedì si è incontrato con le Consulte degli studenti, organismi istituzionali di rappresentanza composti da studenti di tutte le province (ma slegati dalle associazioni come Rete degli Studenti Medi e Unione degli Studenti). Anche le Consulte sono contrarie all’esame di maturità tradizionale, e lo hanno fatto sapere a Bianchi, il quale però ha ribadito il suo punto di vista secondo cui i commissari interni adatteranno le prove alle esigenze e al livello di preparazione della classe.
I rappresentanti hanno quindi chiesto che nella valutazione complessiva l’esame valga in proporzione meno rispetto al percorso scolastico del triennio, proposta su cui Bianchi ha detto che rifletterà. Attualmente l’esame pesa per il 60 per cento della valutazione, i voti dell’ultimo triennio per il 40. Intanto gli studenti continueranno a manifestare: il prossimo venerdì e quelli successivi sono attese nuove manifestazioni.