Una canzone di Peter Gabriel, di nuovo
Ora dimenticatevi della storia
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
C’è una canzone nuova dei Red Hot Chili Peppers (non formidabile), un disco uscirà ad aprile, e Jack Frusciante è rientrato nel gruppo.
E c’è anche una canzone nuova di Arlo Parks, piacevole: lei ha 21 anni, è di Londra, è stata molto celebrata col disco dell’anno scorso e ci ha vinto il Mercury Prize.
È finita che per amore sabato ho visto un paio d’ore di Sanremo, e avrei voluto dirvi che mi sono ricreduto, ma no. Tutto scarso, tutto piatto e compiaciuto della piattezza, e soprattutto canzoni mediocri: le uniche salvabili sono quelle allegre e buffe che canticchieremo qualche settimana, ma niente che resterà in un repertorio anche molto indulgente di “belle canzoni”. Poi può essere divertente guardare Sanremo, se restano un senso della misura e una consapevolezza della sua lievità, se è una parentesi nell’ambizione al meglio (dice: “Amadeus ha portato i ragazzi a guardare la tv”. Bel colpo!): ovvero con un’ironia che mi pare si sia persa.
Siccome l’amore è grazialcielo ricambiato, il resto del sabato sera l’abbiamo passato guardando Belfast, il film di Kenneth Branagh sulla sua infanzia nordirlandese: che è bello, non speciale ma bello. Ed è pieno di canzoni, quasi tutte di Van Morrison (che è di Belfast pure lui) e alcune delle sue migliori. Poi c’è anche Everlasting love (che non è di Van Morrison) e approfitto per mettervi qui la fantastica cover degli U2 (l’ultima volta che abbiamo parlato di Van Morrison, era insieme a canzoni allegre di Sanremo, le solite coincidenze).
Per associazione, si è finiti a parlare in giro dell’Eurofestival, che a Torino sta già rendendo introvabili e costosissimi gli alloggi in quei giorni di maggio. Speriamo di finire a godercelo come il baraccone kitsch che è e non come il massimo della qualità musicale e culturale, anche quello. E lo so, nessuno lo chiama più Eurofestival: ma io l’ho sempre conosciuto così e sono anziano, e in più “Eurovision” non è il suo nome (è un’altra cosa, l’Eurovision) e ha poco senso se non ci attacchi che è un “song contest”. Un festival, insomma.
David Gray aveva in ballo delle celebrazioni del suo fantastico disco del 1999, poi la pandemia gliele ha complicate, e quindi ha ricominciato da poco una campagna di rivendita di tutto quanto, canzoni, riedizioni, tour eccetera. La settimana scorsa ha suonato in radio Please forgive me con l’orchestra della BBC.
Oggi compie 70 anni Vasco Rossi, e per chiudere il cerchio mi ricordo la prima volta che lo vidi in tv, a Sanremo: avevo diciassette anni e dopo, per qualche tempo, andai scrivendo con un pennarello VRFC sotto le sedie del liceo (spero sia in prescrizione, lo avevo già confessato anni fa). Aggiungo qui due cose su due canzoni di Vasco, una mia e una non mia, più buffa.
Home sweet home
Peter Gabriel
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Da qualche tempo sto sperimentando i cornetti surgelati da mettere in forno, per pigrizia da colazione del weekend: sanno un po’ di petrolio come molte cose del genere, ma se sei cresciuto a sofficini e latte condensato anche il petrolio finisce per avere qualcosa di familiare e maddaleno. Solo che non ho ancora imparato come gestire il fine cottura e a non farli sgonfiare spiaccicati.
La settimana scorsa a Roma ho cenato con un amico e commentavamo la desolazione serale di Roma, dovuta alle molte quarantene e alle molte prudenze: “ma è anche che la gente ha scoperto come si sta bene a casa”, ha aggiunto lui. Certo, bisogna anche vedere che casa hai. Noi coi cornetti surgelati siamo fortunati.
Call it Home Sweet Home, home sweet home
Eleven floors up in a tower block
Happy just to have a home
I’ve gone and changed the lock on our home
Nothing really worked out right, things got broke,
They stayed that way
Home sweet home è una canzone di straordinaria dolcezza notturna, con una storia terribile e deprimente di black humour. Loro due si vedono, lei resta incinta, sognano un nido, si trovano un appartamento deprimente a un undicesimo piano, niente va bene, lei si uccide col bambino, lui incassa l’assicurazione, gioca al casinò, vince e si compra una villa stupenda in campagna. Ora sta lì, da solo, casa dolce casa.
La canzone era alla fine del secondo disco di Peter Gabriel, del 1978, prodotto da Robert Fripp dei King Crimson. Il pianoforte lo suona Roy Bittan della E Street Band di Bruce Springsteen: una delle tante cose pazzesche in cui Bittan ha messo le mani pazzesche (Romeo and Juliet dei Dire Straits, la prima versione di Because the night, Total eclipse of the heart, metà delle cose di Meat Loaf, Ashes to ashes di David Bowie, Edge of seventeen di Stevie Nicks).
Ora dimenticatevi della storia, e godetevi la canzone lo stesso, e i cornetti.
– Una canzone di Peter Gabriel
– Un’altra canzone di Peter Gabriel
– Ancora una canzone di Peter Gabriel
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