In Perù si sono dimessi tre primi ministri in sei mesi
Il presidente Castillo, un attivista di sinistra, appare sempre più in difficoltà e si sta spostando sempre più a destra
Il primo ministro del Perù, Héctor Valer, si è dimesso sabato appena quattro giorni dopo essere stato nominato, a seguito di gravi accuse di violenza domestica. Valer era il terzo primo ministro nominato in appena sei mesi dal presidente Pedro Castillo, che ora ne dovrà nominare un quarto, amplificando così la grave situazione di instabilità politica in cui si trova il paese dopo la sua vittoria alle elezioni lo scorso luglio.
Valer era stato nominato martedì, ma poche ore dopo la sua conferma sui giornali peruviani avevano cominciato a emergere accuse molto pesanti di violenze, rivoltegli negli scorsi anni dalla figlia e dalla moglie. In un rapporto della polizia del 2016, la figlia di 29 anni dichiarò che Valer l’aveva presa a «schiaffi, pugni e calci in faccia». Valer ha negato le accuse, ma il presidente Castillo l’ha rimosso dall’incarico.
La decisione ha aggravato la situazione di completa confusione nel governo del paese, in cui si è resa evidente l’impreparazione di Castillo e del suo team. In appena sei mesi, Castillo ha fatto numerosi rimpasti di governo, ha cambiato più di 20 ministri (alcuni ministri fondamentali, come quello dell’Energia, sono stati cambiati anche tre volte) e ha fatto dimettere tre primi ministri. Il sistema peruviano è presidenziale, ma il primo ministro è una figura comunque piuttosto importante: tra le altre cose, è il principale consigliere del presidente e lo aiuta a selezionare e gestire i membri del suo governo.
Castillo, inoltre, ha cacciato il capo della polizia, si è scontrato duramente con vari ufficiali dell’esercito e ha provocato le dimissioni di molti importanti funzionari. Uno di questi, il segretario generale della presidenza Carlos Ernesto Jaico Carranza, si è dimesso la settimana scorsa pubblicando una lettera durissima in cui denuncia la «mancanza di un sistema organizzato del lavoro» e «assenza di rigore nel rispettare regolamenti e pratiche». Carranza parla anche di un «governo ombra», molto citato dai giornali peruviani, costituito da poche persone fedeli a Castillo che prenderebbero tutte le decisioni al posto del funzionari preposti.
#LoUltimo Ha renunciado Carlos Jaico, secretario de la Presidencia de la República. pic.twitter.com/5RLXXed0XH
— Christopher Acosta (@TrujiYo) February 1, 2022
Il governo di Castillo è stato anche piuttosto incoerente nelle politiche, rimangiandosi varie decisioni importanti, come quella di chiudere quattro miniere nel sud del paese, che prima è stata annunciata, ha provocato confusione e crolli economici tra le aziende coinvolte, e infine è stata ritirata.
A contribuire alla confusione tra i suoi elettori c’è il fatto che Castillo stia gradualmente sostenendo politiche sempre più conservatrici e reazionarie.
Eletto con il partito marxista Perù Libero e sulla base di un programma egualitario e di estrema sinistra, nelle prime settimane del suo governo Castillo aveva nominato un governo molto di sinistra, criticato tra le altre cose per la sua vicinanza al gruppo estremista Sendero Luminoso. Il primo primo ministro nominato da Castillo, Guido Bellido, era un esponente di Perù Libero e un politico di estrema sinistra, favorevole tra le altre cose alla nazionalizzazione di grandi varie aziende. È durato da luglio a ottobre.
La seconda prima ministra, Mirtha Vásquez, era invece un’esponente del centrosinistra e decisamente più moderata del suo predecessore. Castillo, nel frattempo, si era allontanato da Perù Libero, il partito che l’aveva fatto eleggere.
Il terzo primo ministro, Héctor Valer, era invece un ultra-conservatore e cattolico estremista che prima di unirsi a un gruppo parlamentare vicino a Castillo era entrato nel parlamento peruviano grazie a un partito di estrema destra.
Oltre alle nomine, varie altre mosse di Castillo hanno preoccupato i suoi elettori progressisti: per esempio, di recente ha annunciato un’«alleanza strategica» con Jair Bolsonaro, presidente nazionalista del Brasile, che è normalmente evitato e criticato dai leader mondiali progressisti.
D’altro canto, già prima delle elezioni Castillo aveva assunto alcune posizioni conservatrici: pur essendo un progressista in economia e sulle politiche del lavoro, si era detto contrario al diritto all’aborto, ai diritti per la comunità LGBT+ e perfino all’educazione sessuale nelle scuole, adottando su questi argomenti posizioni simili a quelle dei suoi rivali di estrema destra.