Il presidente tunisino contro l’indipendenza del sistema giudiziario
Kais Saied scioglierà il Consiglio superiore della magistratura: è accusato da tempo di voler smantellare la democrazia nel paese
Domenica il presidente tunisino Kais Saied ha annunciato lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura, l’organo creato nel 2016 per garantire l’indipendenza del sistema giudiziario in Tunisia (è simile al nostro Consiglio superiore della magistratura, il CSM). Saied, che da oltre un anno sta progressivamente smantellando le istituzioni democratiche tunisine, ha accusato i giudici di essere corrotti e non imparziali, e ha detto che l’organo «appartiene al passato».
Youssef Bouzakher, il giudice a capo del Consiglio, ha accusato Saied di agire illegalmente, e ha aggiunto che lui e gli altri giudici continueranno a svolgere il proprio lavoro regolarmente.
Le politiche di Saied, considerate autoritarie da molti, sono responsabili della più grave crisi politica attraversata dalla Tunisia dai tempi della primavera araba, nel 2011, quando enormi proteste antigovernative portarono alla fine dell’allora regime autoritario di Ben Ali.
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A fine luglio Saied aveva rimosso il primo ministro, il terzo nel giro di un anno, e aveva sospeso i lavori del parlamento, con una mossa che i suoi oppositori avevano definito un «colpo di stato». Circa un mese dopo, ad agosto, aveva esteso la sospensione dei lavori in parlamento «fino a nuovo avviso», e a settembre aveva firmato un provvedimento che gli permetteva di governare per decreto, ignorando i limiti imposti dall’attuale Costituzione e senza dover passare per il parlamento.
A dicembre, infine, Saied aveva annunciato un referendum per votare una nuova Costituzione, che dovrebbe sostituire quella entrata in vigore nel 2014 dopo la primavera araba, e nuove elezioni per rinnovare il parlamento: il referendum è stato fissato per luglio del 2022, le elezioni per dicembre.
La crisi politica che sta attraversando la Tunisia era iniziata in realtà anni fa, ancora prima dell’arrivo di Saied, per cause strutturali che riguardano le condizioni piuttosto precarie con cui il paese era uscito dalla primavera araba. A differenza di altri stati coinvolti nelle proteste, la Tunisia era riuscita a sviluppare un governo democratico, che era stato guardato come modello da diversi paesi arabi (nel 2014 l’Economist aveva scelto proprio la Tunisia come paese dell’anno, perché aveva dato «speranza a una regione disgraziata e a un mondo inquieto»). Era però una democrazia molto fragile e instabile, come si sarebbe poi visto negli anni a seguire.
Dal 2011 a oggi si sono succeduti ben nove primi ministri, ma nessuno dei governi è riuscito a fare le riforme di cui il paese ha bisogno, e negli anni i problemi si sono accumulati. Saied, un professore di diritto costituzionale poco noto prima di candidarsi nel 2019, vinse le elezioni presidenziali promettendo di risolvere questi problemi e di liberare il paese dalla corruzione e dall’inefficienza della classe politica.
Da quando è presidente, Saied ha progressivamente rafforzato e allargato i propri poteri, approfittando dell’incapacità dei politici al governo. Si è presentato come “l’uomo dell’ordine”, determinato a cambiare profondamente la struttura della democrazia in Tunisia per renderla più efficiente. Lo ha fatto in particolare durante la pandemia, rafforzando il proprio ruolo e limitando quello degli altri poteri dello stato, il legislativo e il giudiziario. Per questo da tempo sempre più analisti e osservatori stanno parlando di deterioramento del sistema democratico, e anche di “colpo di stato”.