Al Senato degli Stati Uniti i Democratici non avranno la maggioranza per un po’
A causa del ricovero in ospedale di un senatore, la cui assenza potrebbe diventare un grosso problema per il partito di Joe Biden
La scorsa settimana Ben Ray Luján, senatore Democratico statunitense eletto nello stato del New Mexico, ha avuto un ictus ed è stato ricoverato in ospedale. Al momento le sue condizioni sono stabili ma per un suo recupero potrebbero volerci dalle quattro alle sei settimane. Luján non è un politico particolarmente rilevante, eppure la sua assenza potrebbe rivelarsi decisiva in diverse votazioni.
Il motivo è che al Senato Democratici e Repubblicani hanno 50 seggi a testa, ma in caso di parità – e solo in caso di parità – vale anche il voto della vicepresidente Kamala Harris, Democratica, che presiede l’aula. Con l’assenza di Luján, quindi, i Democratici avranno a disposizione per almeno un mese solo 49 voti, contro i 50 dei Repubblicani, e non potranno ricorrere al voto di Harris per sbloccare la parità.
L’assenza di Luján potrebbe complicare l’approvazione di leggi importanti promosse dai Democratici, che comunque già prima avevano parecchie difficoltà a ottenere dei successi al Senato.
Il caso forse più emblematico è quello della riforma Build Back Better, che contiene diverse misure che Biden aveva promesso in campagna elettorale, quasi tutte di stampo progressista, fra cui un’espansione della copertura sanitaria ai più poveri, il rinnovo dei sussidi per le famiglie con figli e nuovi fondi per le case popolari. Già da settimane la Build Back Better non aveva i numeri per essere approvata con il voto favorevole dei soli Democratici, perché due membri del partito, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, avevano detto che non l’avrebbero votata.
La mancanza del voto di Luján, quindi, potrebbe rendere ancora più complicata una situazione che comunque era già critica.
È probabile che riguardo alla Build Back Better i Repubblicani decideranno di mettere in pratica quello che nel gergo della politica americana si chiama filibustering. Questa pratica, molto comune al Senato, concede all’opposizione la possibilità di fare ostruzionismo a tempo indefinito a meno che la maggioranza non trovi 60 voti: questo implica che le leggi possano essere approvate solo in presenza di un qualche tipo di accordo bipartisan.
Nel caso si faccia ricorso al filibustering, quindi, l’assenza di Luján comporterà che ai Democratici serviranno 11 voti in più invece dei normali 10 per arrivare a 60.
– Leggi anche: La riforma più ambiziosa di Joe Biden non ha più i voti necessari in Senato
L’assenza di Luján potrebbe pesare anche in un altro voto molto importante, per il quale ci si aspetta una forte opposizione dei Repubblicani: la nomina del giudice della Corte Suprema che dovrà prendere il posto di Stephen Breyer, che pochi giorni fa aveva annunciato la sua intenzione di andare in pensione.
Il nome del candidato o della candidata, presentato dal presidente Biden, dovrà essere ratificato dalla Commissione giustizia del Senato (di cui Luján non fa parte) e poi votato dal Senato. Nel caso della nomina dei giudici della Corte Suprema, l’opposizione non può fare ricorso al filibustering, quindi ai Democratici basterà la maggioranza semplice di 51 voti. Biden ha detto di voler procedere con la nomina entro la fine di febbraio, e al momento non è chiaro se Luján sarà dimesso e pronto per votare o meno per allora: se voterà, allora i Democratici avranno 50 voti e potranno contare sul voto addizionale della vicepresidente Harris, altrimenti avranno 49 voti e dovranno trovare due voti tra i Repubblicani.
Su altre questioni l’assenza di Luján sembra invece meno problematica. È il caso del rifinanziamento delle attività degli enti federali per evitare il cosiddetto “shutdown”, cioè la parziale chiusura del governo, che va approvato entro il 18 febbraio. In votazioni di questo tipo succede spesso che si raggiungano accordi tra Democratici e Repubblicani, e che il partito di maggioranza riesca a raccogliere molti voti in più di quelli necessari (l’ultimo rifinanziamento, votato lo scorso dicembre al Senato, era passato con una maggioranza di 69 voti).