C’è un “momento MeToo” tra gli ebrei ultraortodossi
Lo ha scritto il New York Times parlando delle reazioni a uno scandalo per abusi sessuali contro un noto autore di libri per bambini
Lo scorso novembre un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz ha raccontato che un noto e popolare autore di libri per bambini, l’ebreo ultraortodosso Chaim Walder, aveva abusato per anni di bambine e ragazzine. La vicenda ha avuto un’enorme risonanza in Israele, con giornali e attivisti e attiviste che hanno preso pubblicamente posizione contro gli abusi sessuali compiuti all’interno della comunità ebraica ortodossa. Gli abusi hanno anche creato divisioni all’interno della comunità: tra i componenti più liberali che hanno denunciato Walder e altri, tendenzialmente più conservatori, che lo hanno difeso, soprattutto dopo che lui si è suicidato a seguito delle accuse.
Proteste e discussioni di questo tipo sono rare nella comunità ebraica ultraortodossa israeliana, e per questo sono state accostate al movimento femminista #MeToo.
In Israele Walder era conosciutissimo: parlando di lui, il New York Times ha scritto che era «un carismatico misto tra un guaritore dell’anima, un modello di comportamento e una star». La vicenda dei suoi abusi ha avuto particolare risonanza anche perché solo qualche settimana prima era stato denunciato per abusi su minori anche Yehuda Meshi-Zahav, altro importante esponente della comunità ebraica ultraortodossa israeliana, fondatore di una nota ong di volontariato e vincitore di un Premio Israele, l’onorificenza più alta dello stato israeliano per meriti culturali.
I due casi hanno attirato l’attenzione su un problema radicato, e di cui in realtà si parla da molto: gli abusi sessuali all’interno della comunità ebraica ultraortodossa e, soprattutto, il fatto che emergono e vengono denunciati molto raramente.
Oltre a scrivere libri per bambini molto letti e venduti in Israele – ne aveva pubblicati circa 80 – Walder aveva fondato il Centro per il bambino e la famiglia di Bnei Brak, città a est di Tel Aviv abitata soprattutto da ebrei ultraortodossi, in cui viveva e lavorava. Gestiva il centro per conto del comune, interveniva spesso su radio e giornali su temi come educazione e pedagogia, e nel 2003 il governo gli aveva assegnato un premio per le sue attività con i bambini.
L’inchiesta di Haaretz sui suoi abusi era stata pubblicata a metà novembre, e aveva provocato reazioni molto dure. Le bambine e ragazze che avevano raccontato la propria esperienza a Haaretz erano state ascoltate a fine dicembre anche da un tribunale rabbinico, che aveva preso pubblicamente posizione contro Walder, definendo i suoi abusi come atti contrari alla Torah, il testo sacro per gli ebrei, e gravi quanto un omicidio. Il tribunale aveva detto anche che gli abusi emersi erano probabilmente solo alcuni di quelli compiuti da Walder nel corso degli anni, e lo aveva invitato a pentirsi. Anche la polizia aveva aperto un’indagine contro di lui.
Lo scorso 27 dicembre Walder, che aveva 53 anni, si è ucciso sulla tomba di suo figlio con un colpo di pistola, lasciando un biglietto in cui si definiva innocente e protestava contro i rabbini che avevano preso posizione contro di lui.
Lo scandalo sugli abusi sessuali di Walder ha continuato a provocare grandi reazioni anche dopo il suo suicidio, dividendo, di fatto, la comunità ebraica ortodossa sulla posizione da assumere nei suoi confronti. A partire dagli stessi rabbini: alcuni di loro avevano inizialmente difeso Walder e accusato chi lo condannava di stare infrangendo l’ingiunzione della Torah contro il pettegolezzo (il rekhilut, o lashon hara). Altri rabbini avevano invece pubblicamente preso posizione contro Walder, due di loro chiedendo anche che venisse interrotta la vendita e la distribuzione dei suoi libri.
Anche le pubblicazioni ortodosse si erano divise: alcuni giornali alludevano solo vagamente alle proteste contro gli abusi, definendole «la rivolta» e non dicendo praticamente nulla delle accuse rivolte a Walder. Il sito d’informazione online ultraortodosso Mishpacha, invece, ha scritto un lungo articolo contro la stampa ultraortodossa che ignorava l’accaduto e, più in generale, ha accusato la stessa comunità ultraortodossa di accettare una specie di legge non scritta del silenzio su abusi sessuali e violenze al suo interno. Anche Yanki Farber, corrispondente del sito ultraortodosso Behadrei Haredim, ha dedicato al caso un articolo molto duro.
In occasione del funerale di Walder, poi, alcuni attivisti hanno distribuito circa un milione di volantini ai membri della comunità ultraortodossa per condannare gli abusi sessuali compiuti al suo interno.
Una degli attivisti, Avigayil Heilbronn, ha fondato sei anni fa un movimento contro gli abusi sessuali in Israele chiamato “Lo Tishtok”, cioè “Non rimarrai in silenzio”, che da tre anni lavora con Magen, un centro di aiuto per chi ha subìto abusi e che ha offerto sostegno a molte delle bambine e ragazze che hanno accusato Walder, e prima di lui Meshi-Zahav. Heilbronn è un’attivista proveniente dal mondo ultraortodosso che da anni si dedica agli abusi sessuali compiuti al suo interno. Si definisce una haredi (la parola che in ebraico indica gli ebrei ultraortodossi, haredim al plurale) “moderna” e femminista.
Descrivendo le reazioni al caso di Walder all’interno della comunità ultraortodossa, Heilbronn ha detto al New York Times che sono «una cosa storica», perché per quanto la comunità ultraortodossa non sia un blocco monolitico e sia a sua volta diversificata al proprio interno, le divisioni su questo tema sono piuttosto inedite.
Ad accostare le reazioni al caso Walder al movimento #MeToo è stato anche Israel Cohen, un noto commentatore ultraortodosso che vive a Bnei Brak. Cohen ha però anche detto che, perché si possa davvero parlare di una nuova sensibilità rispetto agli abusi compiuti all’interno della comunità ebraica ultraortodossa, le reazioni dovrebbero essere di più e nascere al centro delle sue istituzioni – tra i rabbini e nei partiti politici, per esempio – più che tra frange comunque marginali di attivisti. Gli ebrei ultraortodossi sono circa il 12 per cento della popolazione d’Israele: parliamo di 1,2 milioni di persone.
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