A che punto è la vicenda degli italiani arrestati in Francia per reati di violenza politica
Le richieste di estradizione dello scorso aprile non hanno finora avuto seguito, i tribunali francesi dicono che manca la documentazione necessaria
I dieci italiani che erano stati arrestati lo scorso aprile in Francia, per condanne legate a reati di violenza politica risalenti agli anni Settanta e Ottanta, non sono finora stati estradati in Italia come era stato richiesto dal governo italiano. Tutti erano stati scarcerati poche ore dopo gli arresti, che avevano avuto grandi attenzioni sui media italiani, e le udienze per le estradizioni sono state più volte rinviate.
Nei giorni scorsi c’è stato uno sviluppo che riguarda una delle dieci persone coinvolte, il 73enne Luigi Bergamin, ex militante del gruppo Proletari armati per il comunismo, che era stato condannato in Italia a 16 anni e 11 mesi di carcere. Da tempo era in corso una contesa giuridica sull’eventualità che il reato fosse stato prescritto per le leggi italiane, ma la Corte di Cassazione nei giorni scorsi ha stabilito di no e quindi la richiesta di estradizione mantiene il suo fondamento. Probabilmente però ci saranno altri ricorsi e altri passaggi.
L’arresto delle dieci persone (sette furono fermate il 28 aprile, tre si costituirono nei giorni successivi) era stato annunciato con grande enfasi in Italia. Dalle notizie riportate nei giorni che seguirono l’arresto dei latitanti era sembrato che l’estradizione sarebbe stata praticamente immediata e che la notizia implicasse un ribaltamento delle consuetudini decennali di asilo da parte della Francia, ottenuto con insistenza da parte del governo italiano. Ma dopo la grande attenzione iniziale e le liberazioni immediate, degli sviluppi non si era più saputo quasi nulla, se non con brevi e sporadiche notizie che parlavano, appunto, di rinvii e di documentazioni incomplete.
Quella delle autorità francesi era stata una decisione che di fatto aveva concluso quella che viene chiamata dottrina Mitterrand, seguendo la quale, dal 1985 in poi, la Francia aveva assicurato l’asilo a persone indagate o condannate per atti criminali di ispirazione politica. L’asilo veniva concesso a patto che i ricercati avessero rinunciato a ogni forma di violenza. La dottrina Mitterrand non fu mai un testo scritto e ufficiale ma si basò sull’ opinione diffusa in Francia che i processi condotti in Italia nei confronti di quegli imputati per quei reati avessero avuto una natura emergenziale e si fossero svolti senza sufficienti garanzie, e sulle indicazioni dell’allora presidente francese che le esplicitò in una serie di discorsi nel 1985. Il 1° febbraio a Rennes disse: «Rifiuto di considerare a priori come terroristi attivi e pericolosi degli uomini che sono arrivati, soprattutto dall’Italia, molto tempo prima che ricoprissi questa carica. E che si sono raggruppati qua e là, nella periferia parigina, pentiti… a metà, del tutto… non lo so, ma fuori dai giochi».
Il 22 febbraio, incontrando il presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi, Mitterrand disse: «Abbiamo circa 300 italiani rifugiati in Francia dal 1976 e che da quando sono qui si sono pentiti e la nostra polizia non ha nulla da rimproverare loro. Ci sono anche una trentina di italiani pericolosi, ma si tratta di clandestini. Bisogna quindi, innanzitutto, ritrovarli. In seguito, verranno estradati solo se verrà dimostrato che hanno commesso crimini violenti. Se i giudici italiani ci trasmetteranno dei dossier seri, che provano l’esistenza di violenze, e se la giustizia francese emetterà un parere positivo, allora accetteremo l’estradizione».
La dottrina Mitterrand era stata mantenuta a lungo da tutti i governi francesi. Un cambiamento, dopo molti segnali, era avvenuto invece con la presidenza di Emmanuel Macron. Dopo gli arresti del 28 aprile 2021, il ministro della Giustizia francese Eric Dupont-Moretti, disse: «Spero che questa decisione permetterà all’Italia di voltare pagina in una storia impregnata di sangue e lacrime».
La disputa giuridica intorno al caso di Bergamin riguardava la definizione di «delinquente abituale». Bergamin era stato condannato nel 1991 in via definitiva per concorso morale nell’omicidio, avvenuto nel 1978, del maresciallo Antonio Santoro, e per quello dell’agente della Digos Andrea Campagna (il delitto era legato all’omicidio di Pierluigi Torregiani, di cui si è tornato a parlare in questi giorni dopo l’uscita del film Ero in guerra ma non lo sapevo). Per il secondo reato era già passata la scadenza della prescrizione mentre per il concorso morale nell’omicidio di Campagna la prescrizione sarebbe intervenuta l’8 aprile 2021. Ma il 30 marzo, una settimana prima, la pubblico ministero Adriana Blasco aveva chiesto al Tribunale di sorveglianza di riconoscere Bergamin come «delinquente abituale». Secondo il dizionario giuridico il delinquente abituale è un «soggetto che persiste nel compimento di attività criminose, le quali sottolineano una materiale attitudine a commettere reati e che per questo versa in uno status specifico di pericolosità sociale, definibile presunta o ritenuta dal giudice». Il riconoscimento di questo status porta alla sospensione della prescrizione. «Nella richiesta inviata al Tribunale di sorveglianza» ha spiegato al Post l’avvocato di Bergamin, Giovanni Ceola, «era appunto sottolineato il fatto che dopo l’8 aprile sarebbe intervenuta la prescrizione. Appare evidente che si trattasse solo di un escamotage e che in realtà non ci fosse nessun elemento per considerare il mio assistito “delinquente abituale”».
Ceola aveva fatto ricorso sostenendo che il provvedimento avrebbe potuto bloccare la prescrizione solo una volta passato in giudicato, ma dopo che la Corte d’Assise si era inizialmente pronunciata in favore della difesa, la Corte di Cassazione ha dato ragione alla pubblico ministero Blasco. Dice ancora l’avvocato Ceola: «Viene definita delinquente abituale una persona che ha commesso l’ultimo reato oltre 40 anni fa, quando aveva meno di 30 anni. Va ricordato anche che al processo per quei fatti a Bergamin vennero concesse le attenuanti in quanto fu riconosciuto come dissociato di fatto dall’organizzazione di cui aveva fatto parte. Allora concessero le attenuanti e ora lo definiscono delinquente abituale».
Secondo la legale francese di Bergamin, Irène Terrel, «non si può tornare su una prescrizione che era già acquisita. Non esiste la retroattività. Trovo questa decisione scandalosa. Ha prevalso la ragione di Stato che ha superato il principio di giustizia. È inaccettabile». È possibile che quando verrà discussa la richiesta di estradizione il tribunale francese prenda in considerazione queste contraddizioni e l’eventualità che non siano compatibili con il proprio ordinamento.
L’11 gennaio, nell’aula della Chambre de l’Instruction a Parigi, si erano svolte le udienze per le altre nove persone arrestate il 28 aprile scorso. Ancora una volta la presidente del tribunale aveva deciso di rinviare le udienze a date comprese tra marzo e aprile giudicando incomplete le documentazioni arrivate dall’Italia. Era già accaduto a settembre, quando la Corte aveva chiesto all’Italia ulteriori complementi di informazione sulle richieste di estradizione. Queste decisioni, ha detto Terrel, «confermano le carenze nei dossier di estradizione presentati dall’Italia».
Le altre nove persone per cui è stata avanzata domanda di estradizione sono Enzo Calvitti, 66 anni, ex appartenente alle Brigate rosse, considerato uno dei capi della colonna romana. Deve scontare 18 anni e sette mesi di reclusione per associazione sovversiva, banda armata, ricettazione di armi, associazione con finalità di terrorismo. Giovanni Alimonti, anche lui ex brigatista, 66 anni, ha una condanna a 11 anni e sei mesi per tentato omicidio, associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo. C’è poi Roberta Cappelli, 66 anni, anche lei un tempo nelle Brigate rosse, condannata all’ergastolo con un anno di isolamento diurno. È stata riconosciuta colpevole degli omicidi del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, ucciso l’ultimo dell’anno del 1980, dell’agente di Polizia Michele Granato (9 settembre del 1979) e del vice questore Sebastiano Vinci (19 giugno 1981).
Marina Petrella, 67 anni, era stata condannata all’ergastolo per l’omicidio del generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi, per il sequestro del giudice Giovanni D’Urso, avvenuto a Roma il 12 dicembre del 1980, e per quello dell’assessore regionale della Democrazia Cristiana Ciro Cirillo, avvenuto a Torre del Greco il 27 aprile del 1981 e nel quale furono uccisi due membri della scorta. Era già stata arrestata in Francia nel 2007 dopo una richiesta di estradizione da parte dell’Italia. In carcere le venne diagnosticato un grave stato depressivo incompatibile con la detenzione con gravi conseguenze sulla sua salute. Nel 2008 l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy annullò il decreto di estradizione per ragioni umanitarie.
Sergio Tornaghi, 63 anni, è un ex militante delle Brigate rosse, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale dell’azienda Ercole Marelli. Narciso Manenti, 64 anni, è invece un ex esponente dei Nuclei armati per il contropotere territoriale, ed è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Guerrieri, ucciso a Bergamo il 13 marzo 1979. Maurizio Di Marzio, 61 anni, ex membro delle Brigate rosse, deve scontare 15 anni per l’attentato nel 1981 al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento di Roma, Enzo Retrosi, e per il tentato sequestro del vicecapo della Digos di Roma, Nicola Simone, il 6 gennaio 1982.
Raffaele Ventura, 69 anni, conosciuto come Coz, è un ex esponente di Autonomia Operaia a Milano e ha condanne che ammontano a vent’anni di reclusione. Fu riconosciuto tra i responsabili in concorso morale per l’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra, avvenuto nel maggio del 1977 in via De Amicis, a Milano, durante una manifestazione.
Giorgio Pietrostefani, 78 anni, tra i fondatori del movimento Lotta Continua, deve infine scontare una pena residua di 14 anni e 2 mesi per essere stato ritenuto mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972, al termine di una serie di processi molto contestati. Le sue condizioni di vulnerabilità e i rischi conseguenti a un trapianto di fegato e a successivi altri interventi avranno probabilmente rilevanza nella decisione, da parte del tribunale francese, sulla sua estradizione. Per nessuno dei dieci la discussione sulla possibile estradizione in Italia è di fatto ancora iniziata.