Perché le recensioni non servono ai lettori
Lo spiega Sandro Ferri, fondatore della casa editrice E/O, nel suo nuovo libro dedicato a meccanismi e storture dell'editoria
La casa editrice E/O ha da poco pubblicato L’editore presuntuoso, un libro in cui il fondatore Sandro Ferri racconta la sua quarantennale esperienza nel mondo dell’editoria, mettendo insieme aneddoti, ricordi, riflessioni e critiche sui suoi meccanismi e funzionamenti. Ferri – che nel 2011 aveva già dedicato al tema I ferri dell’editore – contrappone un presente dominato dal marketing, dalla ricerca del bestseller e dalle vendite su Amazon a un mondo, in parte scomparso, animato dalla figura dell'”editore-soggetto”, che non pubblica seguendo il mercato ma cercando di imporre «il proprio gusto, le proprie scelte, la propria personalità».
L’analisi delle storture del presente è alternata dal racconto un po’ nostalgico della storia della casa editrice, nata nel 1979 e diretta insieme alla moglie Sandra Ozzola con l’idea di pubblicare autori dell’Est europeo: dalla scoperta della scrittrice tedesca Christa Wolf, ai grandi buchi nel fatturato fino ai primi successi commerciali (Amabili resti di Alice Sebold e L’eleganza del riccio di Muriel Barbery), dalla necessità di cambiare linea editoriale dopo la caduta del muro di Berlino alla fondazione di Europa Editions negli Stati Uniti, fino all’arrivo delle bozze con le prime 60 pagine di L’amica geniale di Elena Ferrante.
– Leggi anche: La storia di E/O
Di seguito il capitolo in cui Ferri parla di giornali e premi letterari e del perché non sono in grado di orientare i lettori nella sterminata offerta editoriale.
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I giornali e i premi letterari dovrebbero essere gli arbitri della competizione letteraria. Con le recensioni e con l’assegnazione di premi dovrebbero aiutare i lettori a orientarsi nella foresta dei libri pubblicati. Dovrebbero aiutare a distinguere tra le spinte del marketing e il valore delle opere. Aiutare la qualità, l’originalità, l’autenticità a farsi strada in un mondo affollato di troppe proposte.
A me non pare che svolgano questo compito al meglio. Ci sono ovviamente le eccezioni, a volte alcuni di loro affrontano la missione con coscienza. Ma il bilancio complessivo è fallimentare.
Possiamo dirlo con una certa sicurezza perché sono i lettori stessi a non ricorrere all’aiuto di giornali e premi per decidere cosa leggeranno. Vari sondaggi indicano che le recensioni e i premi sono tra i motivi meno scelti dai lettori per arrivare a un libro. Prima ci sono il passaparola, il consiglio di un’amica o di un amico, il suggerimento del libraio, il titolo, la copertina, i percorsi personali. Il pubblico non legge quasi più, o legge distrattamente, gli inserti letterari dei giornali, non si fida dei giudizi che vengono espressi. Come editore posso testimoniare che anche grandi recensioni piene di elogi producono solo poche decine di copie vendute in più. Segno che pochissimi lettori si sono fatti influenzare dalla recensione, ammesso pure che l’abbiano letta.
Perché allora il notevole investimento dei gruppi mediatici in corposi inserti letterari? Perché mobilitare tanti giornalisti, scrittrici, saggisti, per riempire decine di pagine che solo poche persone leggeranno? Credo che la ragione risieda, oltre che nel cercare di attrarre risorse pubblicitarie, nell’obiettivo di coinvolgere almeno la nicchia dei professionisti del settore: gli editori, i collaboratori delle case editrici e degli eventi letterari, gli stessi autori, i professori universitari, ovvero alcune migliaia, forse decine di migliaia di persone che hanno qualche relazione professionale con il mondo dei libri. Ma è un dato di fatto che i milioni di lettori che esistono in Italia restano tagliati fuori. (Nonostante l’Italia sia un paese dove si legge relativamente poco, ce ne sono comunque 30 milioni, e di questi 5 milioni sono lettori forti, ovvero che leggono almeno un libro al mese, secondo i dati dell’AIE.)
Puntare su una nicchia di lettori autoreferenziali (che acquistano e sfogliano l’inserto letterario per trovare riferimenti a se stessi o a propri conoscenti) invece che sull’ampio pubblico dei lettori è ovviamente più facile. Sarebbe molto più difficile trattare temi capaci di coinvolgere i lettori “comuni”, far scrivere recensori autorevoli e obiettivi, attrarre l’attenzione di un pubblico che, sebbene ami leggere, fatica a “decodificare” le recensioni e soprattutto non si fida di chi le scrive.
Ci sono un paio (sì, solo un paio) di “istituzioni” in Italia capaci di mobilitare un pubblico più vasto, ma che spingono in direzioni quasi opposte. La prima è il Premio Strega, i cui piccoli intrighi e pettegolezzi muovono la curiosità di un numero di lettori più alto del solito. Inoltre il fatto di essere un premio “antico”, vinto pure da scrittrici e scrittori importanti, il fatto di essere capace di creare un certo battage attorno al processo di selezione e poi di eliminazione dei candidati, lo hanno dotato di una discreta potenza di fuoco. Il vincitore dello Strega vende alla fine oltre centomila copie (non sempre, ma spesso), il che lo mantiene per mesi ai primissimi posti delle classifiche dei bestseller. Parliamo comunque di centomila copie o poco più: non sono un granché se si pensa che nel nostro paese ci sono cinque milioni di lettori forti, ma sono comunque abbastanza per mobilitare i grandi editori e spingerli a spendere somme importanti nella speranza di portare a casa il premio.
Un’altra “istituzione” che riesce a coinvolgere alcune centinaia di migliaia di lettori, ma che è molto diversa dal Premio Strega, è il Salone del Libro di Torino. Al Salone non ci sono gare, né un vincitore. Anzi, il pubblico (che paga un biglietto) viene invitato a sciamare tra gli stand degli editori e tra le centinaia di eventi e incontri in programma per apprezzare la diversità delle voci e il pluralismo culturale del mondo editoriale. La gente viene e partecipa perché c’è un clima di festa, ma anche e soprattutto perché può scegliere in autonomia: cosa comprare, quale incontro seguire, da quale autrice o autore farsi firmare una copia del libro. Al Salone c’è un’aria “democratica”, non la sensazione di trovarsi in un territorio dominato da conventicole.
E tuttavia, neppure queste due importanti istituzioni culturali riescono a svolgere fino in fondo la funzione di aiutare davvero i lettori nelle loro decisioni. Lo Strega perché la scelta del vincitore viene percepita (giustamente) come il punto di arrivo di pressioni e intrallazzi editoriali. Il Salone di Torino perché, semplicemente, rinuncia a incaricarsi di questa missione, puntando piuttosto alla partecipazione e alla libertà di scelta del pubblico.
Il lettore resta quindi solo e disorientato di fronte all’enorme offerta editoriale.
Ma sarebbe davvero così difficile svolgere il ruolo di informatori obiettivi sulla produzione libraria? Risposta sicuramente complessa. Io mi limito a portare la mia testimonianza di oltre quarant’anni di lavoro editoriale. In questo non brevissimo lasso di tempo avrò visto quattro, forse cinque giornalisti o critici varcare la soglia del nostro ufficio, oppure invitarmi nel loro, per capire il perché delle nostre scelte, per indagare cosa c’è dietro una linea e un progetto editoriali. Mi ha sempre stupito l’assenza di curiosità di tanti giornalisti. Come mi ha sempre colpito il conformismo di tante redazioni giornalistiche. Non mi è successo quasi mai di assistere alla scena di un responsabile delle pagine sui libri che chiedeva lumi su un autore sconosciuto e che assegnava la recensione di quell’opera a un suo collaboratore. Nel 90% dei casi, ad accaparrarsi l’interesse dei giornali sono stati sempre i soliti nomi famosi o, in alternativa, lo scandalo, il caso clamoroso.
Forse i giornalisti culturali non credono che gli editori, quantomeno certi editori, abbiano un ruolo determinante nella produzione letteraria. Non credono cioè agli editori-soggetto, forse con pochissime eccezioni (di solito storicamente terminatesi). Beh, io penso che sbagliano. E ripenso ad alcuni critici che ci seguirono nei primi anni…
(© Edizioni E/O)