Una canzone dei King Harvest

E ballare al chiaro di luna tutti contenti

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Il Post ha raccolto le canzoni diventate famose per pochi pezzetti strausati sui social network.
Ieri nella trafelatezza non ho citato un rotondo anniversario – vent’anni – del disco in cui c’era la canzone d’amore più bella del millennio.
Oggi invece compie 80 anni Graham Nash, autore di quattro gran canzoni almeno. Intanto anche tutto il quartetto ha chiesto di rimuovere le sue canzoni da Spotify.
Allora: io vi sono grato per le molte mail di solidarietà ricevute oggi sia rispetto alla mia disgrazia romana di ieri, sia rispetto alla presunta frustrazione da indifferenza alla newsletter. Un po’ scherzavo, ma mi avete fatto sentire orrendamente fishing for compliments e rassicurazioni, migliorando il mio umore nei confronti dell’umanità e peggiorando quello nei confronti di me stesso. Ma a questo punto sospenderei lo stream of consciousness e pure l’abuso di formulazioni anglofone, e rientriamo nei ranghi di una dignitosa appartenenza allo stesso club di musicofili.

Ecco, però prima devo pure dire due cose rispetto alla mia esibita insofferenza per Sanremo, perché forse l’ho esibita troppo e perché ha generato qualche incomprensione: non è che ritenga Sanremo o il guardarlo particolarmente abietto, o peggio di molto altro che passano i conventi. Ho guardato Sanremo per decenni, ho molti amici Sanremo. Ma erano decenni in cui si guardava Sanremo perché era brutto, mediocre, mal scritto, sciatto, con canzoni quasi tutte scarse, e c’era un divertimento accessorio legato a tutto questo e un compiacimento nell’abbandonarsi alla sua leggera povertà: un guilty pleasure, tipo mangiare porcherie sapendo che sono porcherie. Ora questa cosa mi pare sia finita e Sanremo ha avuto un revisionismo che lo celebra come un grande, apprezzabile e condiviso spettacolo, da giudicare con coinvolgimento e gravità. Tipo l’inno nazionale, o il Presidente della Repubblica, rispettabili in quanto tale. E dentro un solco autocompiaciuto e criminale che è lo stesso che ha voluto sostenere a un certo punto che i film di Alvaro Vitali andassero rivalutati, per dirne una (con la complicità imperdonabile della famosa battuta di Fantozzi). Non ho insomma niente in contrario a guardare, commentare, e divertirsi di una cosa brutta e mediocre in tutti i suoi aspetti, né ad accettare che esista, ci mancherebbe: basta che sullo sfondo ci sia questa consapevolezza, che invece mi sembra si sia perduta, e pure con un alibi di anticonformismo che suona vetusto e infantile. In prima pagina su Repubblica – in prima pagina – c’era due giorni fa la “gag Amadeus-Fiorello” più insulsa e povera che si possa immaginare, e lo dico – come tutti – da fan di Fiorello. Una serata del festival è sopravvalutata pregiudizialmente, ma se fosse un varietà in cui ci imbattessimo per caso sulla tv svizzera cambiando i canali, passeremmo oltre annoiati. La celebrazione della bassa qualità, insomma, e la rinuncia all’idea che esistano modi di fare le cose migliori di altre, è una di quelle cose che mi fa borbottare davanti alla tv, e quindi per evitare questa ulteriore sanzione del mio rincoglionimento, non guardo Sanremo, e mi astengo dal legittimare questo standard. Not in my name. Poi sticazzi, eh, mica vogliamo parlarne seriamente: era solo perché qualcuno ha chiesto come mai insistessi tanto: stamascherza’, tra una settimana è finito tutto, come ogni anno, e che sarà mai.

Dancing in the moonlight
King Harvest

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Non la sentivo da tantissimo e mi è riapparsa in tutta la sua allegria in una scena del film di George Clooney (quando partono per la scampagnata al bowling), quello “carino” di cui avevo detto due settimane fa. Canzone fricchettona, che parla assai lievemente di ballare al chiaro di luna tutti contenti e che ci vogliamo bene, e si potrebbe immaginare pure che ci sia stato del consumo.

We like our fun and we never fight
You can’t dance and stay uptight
It’s a supernatural delight
Everybody was dancin’ in the moonlight

In realtà il suo autore, Sherman Kelly, la scrisse dopo essere stato pestato violentemente da una gang criminale durante una vacanza ai Caraibi, e volle immaginarsi un mondo migliore. Uscì nel 1972 dopo che in una prima versione era stata pubblicata nel 1970 dalla prima band di Kelly, senza grandi attenzioni. Invece divenne poi il solo grande successo dei King Harvest, band newyorkese in cui Kelly aveva suonato per qualche tempo, e che durò qualche anno prima di sciogliersi per scarsi risultati. Ma cinquant’anni dopo la canzonetta allegra è ancora lì, if you know what I mean.

Dancin’ in the moonlight
Everybody’s feelin’ warm and right
It’s such a fine and natural sight
Everybody’s dancin’ in the moonlight

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