In Grecia non si è mai parlato tanto di violenza di genere come ora
Per l'aumento della violenza domestica durante il lockdown, ma anche per il ruolo di una procuratrice in un caso di cronaca del 2018
In Grecia, la parola femminicidio (quando cioè una donna viene uccisa da un uomo perché si sottrae o non soddisfa le aspettative di genere) ha cominciato a essere al centro del dibattito pubblico solo da poco: a partire da un caso di cronaca del 2018, e da come fu gestito dalla procuratrice a cui era stato assegnato; e a partire dall’aumento della violenza domestica che si è verificato, in Grecia come nel resto del mondo, durante il lockdown introdotto per la pandemia.
Molte più donne hanno cominciato a parlare e a denunciare (anche donne conosciute, e grazie anche al movimento del #MeToo), i movimenti femministi hanno ripreso forza, i media hanno iniziato a occuparsi della questione in modo più sistematico e la politica istituzionale ha deciso di intervenire.
«Lasciamo che la giustizia prevalga a costo di far crollare il mondo intero»
Nel 2018 Eleni Topaloudi, una studentessa di 21 anni, venne stuprata, uccisa e gettata in mare da una scogliera dell’isola greca di Rodi. Il suo corpo venne ritrovato dalla guardia costiera. Nel 2020 i due imputati, Alexandros Lutsai e Manolis Koukouras, entrambi ventenni e “amici” della vittima, vennero condannati per omicidio e per stupro senza il riconoscimento di alcuna attenuante.
Il caso di Eleni Topaloudi fu molto seguito dall’opinione pubblica, e quando durante il processo partì il consueto meccanismo di colpevolizzazione della vittima da parte degli avvocati difensori (meccanismo chiamato anche “vittimizzazione secondaria” e che consiste nel trasferire parte della responsabilità di una violenza alla persona che l’ha subita), arrivò l’appassionato discorso della procuratrice a cui il caso era stato assegnato, Aristotelia Thogka: «Mi vengono assegnati 1500 casi al mese. Questo mi ha sconvolta. Ho sentito la voce della signora Koula (la madre della vittima, ndr) che chiedeva di conoscere la verità. Anch’io volevo la stessa cosa. La verità grida. Lasciamo che la giustizia prevalga a costo di far crollare il mondo intero».
Al tempo, un viceministro e il presidente dell’Ordine degli avvocati di Atene criticarono e attaccarono la procuratrice per non essere stata sufficientemente imparziale, ma centinaia di altri avvocati si dissociarono pubblicamente e presero le sue parti, così come l’opinione pubblica. «Le reazioni sono state senza precedenti, già mentre il processo era ancora in corso. Non era mai accaduto prima», ha raccontato Natasha Kefallinou, portavoce del Centro per i diritti di genere e l’uguaglianza Diotima, una ONG greca attiva dalla fine degli anni Ottanta.
Aristotelia Thogka riuscì a presentare alla giuria tutte le prove necessarie per sostenere la sua richiesta di pena senza circostanze attenuanti, riuscendoci. E il suo fu «un discorso storico», ha detto Kefallinou. Al tempo del caso Topaloudi, infatti, «la parola femminicidio era sconosciuta in Grecia», un paese che un’altra referente di Diotima giudica tuttora «profondamente sessista e patriarcale».
I dati delle violenze di genere
Lo scorso anno, secondo i dati della polizia greca, i casi di violenza domestica aumentarono di quasi il 60 per cento rispetto al 2020, e nel 2020, come riportato dal Guardian, i reati di questo tipo erano già triplicati rispetto al 2010.
I femminicidi furono 8 nel 2019, 10 nel 2020 e 16 nei primi dieci mesi del 2021. Nel 2021 i centri antiviolenza greci ricevettero 5.491 richieste di aiuto, rispetto alle 4.925 dell’anno precedente.
I dati del ministero greco della Giustizia mostrano come i tassi dei procedimenti giudiziari e delle condanne in base alla legge che in Grecia punisce la violenza domestica siano molto bassi: dal 2016 ad oggi in media meno di 4 uomini all’anno sono stati perseguiti e solo il 23 per cento di loro è stato condannato. Tra questi, la stragrande maggioranza ha ricevuto la sospensione della pena.
La violenza di genere nel discorso pubblico
La prevedibile eccezionalità della situazione che si è verificata durante le restrizioni ha fatto in modo che la violenza di genere non uscisse dal dibattito pubblico e ricevesse anzi molta più attenzione che in passato.
Oltre alla quantità delle violenze hanno contribuito anche le denunce pubbliche di alcune atlete e l’arrivo del movimento #MeToo in Grecia. Nel novembre del 2020, la velista Sofia Bekatorou, medaglia d’oro alle Olimpiadi del 2004 e di bronzo a quelle del 2008, raccontò che nel 1998, quando aveva 21 anni, subì una violenza sessuale da parte di un funzionario della Federazione Ellenica di Vela. Dopo un iniziale disinteresse, a gennaio 2021, molte donne cominciarono a esprimere il loro sostegno a Bekatorou e altre atlete decisero a loro volta di raccontare le violenze subite.
Diversi casi recenti di femminicidio, poi, sono stati seguiti e raccontati sia dalla stampa locale che internazionale, contribuendo a aumentare l’attenzione verso il fenomeno (lo scorso giugno, per annunciare l’epilogo di un femminicidio particolarmente seguito, la tv pubblica greca interruppe ad esempio la copertura degli Europei di calcio) e contribuendo anche a rendere evidente l’inadeguatezza del sistema giudiziario del paese, del codice penale e della polizia, per quanto riguarda la violenza domestica.
Per molto tempo, sostengono le esperte e gli esperti di violenza di genere, i tribunali, le leggi e la polizia non hanno fatto altro che incoraggiare gli abusi e scoraggiare le denunce da parte delle donne.
Tribunali, codice penale e polizia
Lo scorso luglio, si era parlato molto del caso di due agenti di polizia sospesi per non aver risposto adeguatamente alla richiesta di aiuto di una donna che aveva denunciato le violenze domestiche commesse contro un’altra donna del suo condominio, ad Atene. La chiamata al numero di emergenza era stata classificata con “priorità elevata”, ma i due agenti accorsi sul posto non erano nemmeno scesi dalla macchina. Meno di tre settimane dopo, la donna che aveva subito abusi era stata accoltellata e uccisa.
Nei più recenti casi di femminicidio, risulta che anche altre donne avessero segnalato o denunciato la loro situazione alla polizia, ma senza che venissero prese sul serio e che venissero adottati provvedimenti adeguati per la loro sicurezza.
Un altro punto debole del sistema contro la violenza di genere, dicono femministe, avvocate e giuriste, è il sistema giudiziario: «Per decenni, il sistema giudiziario greco ha mostrato clemenza nei confronti di chi abusa», ha detto al New York Times l’avvocata Clio Papapantoleon. Il codice penale greco favorisce cioè la cultura dell’impunità nei casi di violenza contro le donne: prevede riduzioni di pena in caso di “provocazione”, se l’imputato non ha precedenti penali, se successivamente mostra di essersi pentito, o se il reato è stato commesso sulla spinta di un impulso che viene giudicato improvviso (il famoso “raptus”).
Queste circostanze vengono strumentalmente chiamate in causa nei tribunali e, nella maggior parte dei casi, vengono accolte dai giudici. Non restituiscono, però, né giustizia né una reale conoscenza del fenomeno: il femminicidio è quasi sempre una morte annunciata e premeditata, è l’ultimo atto, quello definitivo, di una storia di abusi che non vengono presi in considerazione, nemmeno in presenza di una denuncia.
Ioanna Panagopoulou, avvocata che rappresenta le famiglie di diverse vittime di femminicidio, dice: «Nessuno, in tutta la mia carriera si è mai assunto la piena responsabilità di ciò che ha fatto confessando di aver pianificato l’omicidio, esattamente come poi è successo. Cercano di trovare delle scuse, di dire che è stato un crimine passionale e quindi ottengono una pena inferiore».
Tutto il sistema, spiega a sua volta Anna Razou, medica legale in un ospedale di Atene che si occupa delle donne sopravvissute alla violenza domestica, è costruito su una cultura «che dice alle donne che la violenza maschile è scusabile e che non avrà conseguenze», come conferma una legge in materia di diritto di famiglia di recente approvazione che lascia ampio margine alla custodia condivisa dei figli, anche nei casi in cui il padre abbia agito violenza domestica.
Lo scorso anno, uno dei capi del sindacato della polizia greca, Stavros Balaskas, rilasciò un’intervista televisiva su un caso di femminicidio. Caroline Crouch era stata uccisa nel maggio del 2021, ad Atene, dal marito Babis Anagnostopoulos davanti alla figlia di pochi mesi. Anagnostopoulos, inizialmente, aveva inscenato una rapina e aveva confessato il femminicidio dopo cinque settimane. Balaskas andò in televisione a dire che se Anagnostopoulos avesse confessato immediatamente avrebbe potuto ricevere una pena ridotta: «Se quest’uomo avesse chiamato la polizia nel momento in cui aveva ucciso Caroline e avesse detto: “Ho litigato con mia moglie e l’ho uccisa”, avrebbe avuto un trattamento diverso»: confermò (e suggerì, secondo qualcuno) quale fosse la strada per ottenere uno sconto di pena.
Il partito di sinistra Syriza, attualmente all’opposizione, ha proposto che il termine femminicidio venga incluso nel codice penale greco come un reato separato dagli altri e con punizioni più severe. Diversi avvocati e giuristi concordano e hanno chiesto almeno di limitare le circostanze che prevedono una riduzione della pena per i femminicidi. Il mese scorso, il procuratore della Corte suprema greca, Vasilis Pliotas, ha anche chiesto che i casi di violenza domestica vengano trattati molto più velocemente di quanto si sia fatto fino ad ora.
Nel frattempo, anche il governo e la polizia hanno deciso di occuparsi della violenza di genere in modo più sistematico.
Negli ultimi due anni è stata creata una rete di 72 commissariati di polizia in cui almeno uno o due agenti sono formati su questo specifico problema e sono state organizzate delle unità speciali di primo intervento, per ora solo ad Atene e a Salonicco. Il governo ha poi avviato una campagna di sensibilizzazione per convincere le donne a denunciare, ha istituito una linea di assistenza psicologica e legale gratuita e ha promesso che interverrà con altre iniziative. Per i movimenti femministi e le esperte di violenza di genere tutto questo è necessario, ma non sufficiente: mancano piani educativi, finanziamenti a consultori e centri antiviolenza, e interventi mirati per la prevenzione.