Le differenze tra la rielezione di Napolitano e quella di Mattarella
Entrambe sono state commentate con gravità e preoccupazione, ma questa volta il «fallimento» è attribuito a tutti i partiti
Proprio come accaduto nove anni fa, sabato pomeriggio leader politici e parlamentari hanno chiesto al presidente della Repubblica – oggi Sergio Mattarella, allora Giorgio Napolitano – di rimanere per un altro mandato. E proprio come nove anni fa, il presidente uscente ha accettato controvoglia: Napolitano prendendosi qualche ora per pensarci, Mattarella dicendo subito di sì (secondo i retroscena ha semplicemente precisato che aveva altri piani).
Le analogie tra i due cosiddetti “bis”, avvenuti nel giro di un decennio e in circostanze paragonabili, sono molte, ma ci sono anche alcune differenze sostanziali: la prima delle quali è il significato politico particolarmente preoccupante che viene attribuito a quello di Mattarella.
Il 18 aprile 2013, quando i 1.007 membri della seduta comune del Parlamento (i cosiddetti “grandi elettori”) si riunirono per eleggere il successore di Napolitano, c’erano da poco state le elezioni politiche, le prime in cui il Movimento 5 Stelle era riuscito a portare in Parlamento un gran numero di eletti, che all’epoca erano molto più battaglieri e compatti rispetto a oggi. La situazione politica era bloccata, nessuno aveva la maggioranza e il Partito Democratico, guidato da Pierluigi Bersani, aveva avuto un risultato deludente pur risultando il primo partito.
Mettere insieme un governo era quindi complicato e i partiti arrivarono alle elezioni per il Quirinale di aprile già molto provati da mesi di campagna elettorale e da settimane di trattative andate a vuoto (le famigerate consultazioni in streaming tra Bersani e il Movimento 5 Stelle erano avvenute alla fine di marzo). Nonostante l’apparente debolezza, il centrosinistra aveva comunque un buon numero di grandi elettori, di poco inferiore ai 504 necessari per eleggere il presidente dal quarto scrutinio in poi.
Ci si aspettava quindi un’iniziativa dal centrosinistra, il quale prima tentò di eleggere con il centrodestra l’ex presidente del Senato Franco Marini, fallendo, e poi decise di candidare autonomamente l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, andando però incontro a un’ulteriore disfatta: Prodi non ottenne nemmeno 400 voti, perdendone un centinaio (quelli solitamente chiamati “i 101 franchi tiratori”) tra vari pezzi rivali del PD, che si sarebbero rinfacciati per anni quel fallimento.
In ogni caso, dopo il fallimento dei tentativi del centrosinistra, i partiti non riuscirono a trovare nessun accordo. Il Movimento 5 Stelle non aveva intenzione di rinunciare alla candidatura del giurista Stefano Rodotà, scelto attraverso una consultazione online, per cui votò sempre fino al quinto scrutinio.
L’unica via di uscita per i partiti era andare da Napolitano a chiedergli di restare, in quella che venne definita una «lunga processione» di leader e presidenti di Regione al Quirinale. Casualmente, le parole che disse allora Bersani sono simili a quelle che ha detto l’attuale segretario Enrico Letta sulla rielezione di Mattarella: «L’elezione di Giorgio Napolitano è un risultato davvero eccellente che però non può oscurare il problema politico emerso in questi giorni e le difficoltà che si sono incontrate».
Bersani si dimise per la disfatta sul voto per Prodi. Letta, che invece è sostanzialmente il leader politico uscito meglio dalla scorsa settimana, si è invece detto felice della rielezione. Ma ha aggiunto che «tutta questa felicità non copre la difficoltà di arrivare fino a qua», parlando di un «sistema politico bloccato».
La maggiore differenza tra il bis di Napolitano e quello di Mattarella sta probabilmente qui. Nel 2013 le responsabilità vennero addossate più che altro al centrosinistra, che era quasi autonomo nelle elezioni avendo oltre 490 voti. Nove anni dopo, il centrodestra ne aveva qualche decina in meno, e quindi non poteva davvero agire da solo. Quasi tutti i commentatori e le commentatrici stanno sottolineando infatti come la rielezione di Mattarella sia una «sconfitta» di tutti i partiti e indichi un problema dell’intero sistema politico, non solo di una parte.
È vero che già nel 2013 in molti parlarono di crisi sistemica, e ci fu chi notò un problema comune a tutti i partiti, soprattutto dopo il discorso di insediamento in cui Napolitano, con toni duri e categorici, sgridò di fatto i parlamentari che gli stavano di fronte, mentre loro applaudivano: «Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana», disse.
Ma è anche vero che in parte quella prima anomalia venne spiegata dalle circostanze di quel preciso momento, dalla divisione interna al centrosinistra – in cui si stava affermando la figura di Matteo Renzi – e dall’impatto inaspettato del Movimento 5 Stelle, che aveva interrotto anni di bipolarismo cambiando gli equilibri politici nel sistema politico italiano, e rendendo assai più difficile costruire le maggioranze. In nove anni, durante i quali quel terzo polo politico ha fatto prima un governo con la destra, poi con il centrosinistra e infine con destra e sinistra, gran parte di questi problemi sono evidentemente rimasti.
Nel caso della rielezione di Mattarella, la confusione e le difficoltà sono state trasversali e hanno riguardato tutti i partiti, dal centrodestra passando per il Movimento 5 Stelle e il centrosinistra. Si è andati avanti per sette scrutini senza che emergesse una strategia chiara e di fatto l’unica candidatura vera è stata quella del centrodestra per la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, fallita in partenza e che alla fine è riuscita a ottenere solamente 382 voti.
Inoltre, in molti hanno fatto notare come il consenso per Mattarella sia cresciuto di votazione in votazione in maniera apparentemente spontanea, in quella che è stata definita una “pressione dal basso” dei parlamentari – specialmente nel M5S – che hanno fatto pressione sui leader politici perché ricorressero alla soluzione più conservativa, che a parole quasi tutti volevano evitare.
La soluzione allo stallo delle trattative insomma non è sembrata tanto un’iniziativa dei leader politici, quanto dei parlamentari e del presidente del Consiglio Mario Draghi che sabato mattina, alla cerimonia di giuramento del nuovo giudice della Corte costituzionale Filippo Patroni Griffi, ha incontrato Mattarella facendo da intermediario per sbloccare la situazione.
Nonostante siano stati i leader politici i protagonisti mediatici della scorsa settimana, il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento, e centinaia di parlamentari in quest’occasione hanno subordinato la questione di individuare un 13esimo rappresentante dell’unità nazionale alla più contingente esigenza di preservare la legislatura e il governo evitando le elezioni anticipate. Un’altra grossa differenza tra il 2013 e il 2022 sta qui: allora le Camere erano appena state rinnovate, mentre questa volta probabilmente qualsiasi risultato diverso dalla rielezione di Mattarella avrebbe portato al loro scioglimento, dopo una crisi del governo Draghi. È stato più volte ricordato come centinaia di grandi elettori, per perdita di consensi dei loro partiti e per la prevista riduzione del numero dei parlamentari, hanno votato soltanto per mantenere in piedi l’attuale governo.
La rielezione di Mattarella è poi diversa da quella di Napolitano, banalmente, anche perché è la seconda, e non può più quindi essere spiegata e giustificata come un’eccezione straordinaria. Inoltre non è la prima volta che in questa legislatura una crisi politica viene interpretata come una crisi di tutto il sistema: era già successo all’indomani delle elezioni del 2018, quando ci vollero quasi tre mesi per formare un governo. Ma è un argomento che è stato tirato fuori spesso anche nelle crisi di governo successive (e in quelle precedenti).
Come ha scritto il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana nell’editoriale in prima pagina di domenica, intitolato “Le macerie dei partiti”, «sappiamo tutti quanto Mattarella abbia cercato di evitare il bis. Le ragioni che lo portavano ad escludere un secondo mandato erano fondate, dal punto di vista dell’assetto costituzionale e politico. Con altrettanta franchezza si deve però dire che questa nuova situazione di eccezionalità ha un solo ed esclusivo responsabile: il sistema dei partiti».
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