Se la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica formalmente conferma l’assetto istituzionale e politico precedente, preservando in teoria il governo di Mario Draghi e la maggioranza che lo sostiene, in realtà i partiti e le coalizioni escono cambiati dalle tese trattative di questa settimana, che potrebbero avere conseguenze anche profonde sugli equilibri politici. Siamo in quella fase in cui ovunque vengono annunciate rotture e scissioni, quindi tutto va preso un po’ con le pinze e va ricordato che più volte nel recente passato alcuni sommovimenti politici erano stati interpretati come segnali di imminenti ribaltamenti, anche se poi non avevano avuto grosse conseguenze.
Quasi niente di quello che è successo negli ultimi giorni, poi, è emerso all’improvviso: si tratta di conseguenze di vecchie rivalità, di rapporti e relazioni già logori, di tattiche e strategie avviate in precedenza, di processi insomma che esistevano anche prima e che in questi giorni si sono acuiti. In alcuni casi forse portando a conseguenze nette e irreversibili, in molti altri probabilmente senza che ne seguano grossi ribaltamenti.
Partito Democratico
Da anni considerato il partito litigioso e diviso in correnti per antonomasia, nel corso di queste elezioni è stato invece sorprendentemente unito, o almeno è riuscito a dare quell’impressione. È uno dei motivi per cui il suo segretario Enrico Letta è descritto in queste ore come uno dei “vincitori”, anche se – come ricordano in molti – il suo obiettivo era di far eleggere Mario Draghi. Ma da settimane ripeteva che ipoteticamente la rielezione di Mattarella sarebbe stata la soluzione perfetta.
Le cronache di questi giorni hanno parlato di correnti del PD che perseguivano obiettivi e interessi diversi, ma sembra che nel momento più caotico delle trattative i principali dirigenti abbiano agito con lo stesso obiettivo, e non risultano trame interne particolarmente machiavelliche. In particolare, il partito ha reagito in fretta e con decisione in un momento potenzialmente critico: quando venerdì sera Matteo Salvini e Giuseppe Conte, i leader di Lega e Movimento 5 Stelle, si sono intestati l’iniziativa di eleggere al Quirinale il capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni. La leadership del PD non ha gradito quegli annunci non concordati, e ha lavorato per spostare altrove l’inerzia delle trattative.
Letta ha poi lavorato in modo apparentemente allineato con il leader di Italia Viva Matteo Renzi, storico rivale da quando i due si alternarono alla presidenza del Consiglio nel 2014. Da tempo Renzi era descritto ormai in combutta con il centrodestra, ma l’ultima settimana ha ridimensionato questa lettura. È stata solida anche l’intesa con Liberi e Uguali, il piccolo partito di sinistra di Roberto Speranza. Invece è uscita molto azzoppata la coalizione con il M5S, partito con il quale Letta, seguendo la strategia avviata dal suo predecessore Nicola Zingaretti, aveva costruito un’alleanza politica.
Movimento 5 Stelle
Da mesi, in realtà da anni, si raccontano le crescenti divisioni nel partito, che in questa legislatura è stato sempre al governo con tre maggioranze diverse, una con la destra, una con il centrosinistra e una con destra e sinistra a sostegno dell’antica nemesi Mario Draghi. Quell’ultimo passaggio aveva provocato la prima ufficiale scissione – con la nascita del partito di dissidenti Alternativa c’è – che però potrebbe facilmente non essere l’ultima.
Il leader del partito Giuseppe Conte ha avuto enormi difficoltà nelle trattative. I suoi oltre 200 parlamentari erano la delegazione più numerosa, ma sono divisi in correnti e si sono mossi autonomamente e liberamente e portando avanti interessi diversi, accomunati dalla volontà di evitare elezioni anticipate. Conte è sempre stato consapevole che non avrebbero votato compattamente per nessun presidente della Repubblica a parte Mattarella, e per questo non ha mai potuto prendere iniziative né sostenere quelle degli alleati del PD. Secondo alcuni retroscena ha anche parlato con Salvini della possibilità di eleggere qualcuno da soli, come l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini o Elisabetta Belloni, cosa che avrebbe di certo rotto l’alleanza con il centrosinistra.
Conte non ha saputo insomma mantenere la leadership sui parlamentari e anzi ha visto aumentare l’influenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l’altro più importante dirigente del M5S, che in questa elezione è rimasto più in disparte ma è stato descritto come piuttosto allineato e leale con il PD. Il rapporto e le gerarchie tra Conte e Di Maio andranno evidentemente chiariti nelle prossime settimane.
Lega
Matteo Salvini, e di conseguenza il suo partito, sono praticamente all’unanimità ritenuti i principali sconfitti di questa settimana. Il segretario della Lega fin da lunedì ha assunto la guida delle trattative per conto del centrodestra, ma ha infilato una serie di errori strategici e politici che oggi gli vengono imputati con severità e che probabilmente indeboliscono pesantemente il suo credito e la sua leadership nella coalizione. Dalle esitazioni sulla candidatura di Silvio Berlusconi ai tre candidati “bruciati” in partenza – Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio –, dal disastroso voto fallito sulla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati fino al tentativo di intestarsi la candidatura di Belloni, Salvini ha sbagliato un po’ tutte le cose che ha provato.
Il centrodestra aveva probabilmente qualche voto in più della coalizione tra centrosinistra e Movimento 5 Stelle, e avrebbe forse potuto eleggere un presidente se non della propria parte politica perlomeno conservatore, dopo che quel tipo di iniziativa per diverse volte consecutive era spettata al centrosinistra. Ma non ci è riuscito, e queste responsabilità sono attribuite a Salvini.
Sabato è emerso come il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, uno dei più autorevoli e rispettati dirigenti della Lega, stia pensando o abbia perlomeno pensato di dimettersi, cosa che complicherebbe ancora di più la situazione di Salvini, facendogli perdere il suo uomo più importante al governo. Giorgetti era un grande sostenitore del trasferimento di Draghi al Quirinale, e i retroscena lo descrivono come sconsolato dall’esito delle trattative, e logorato dalle tensioni tra i ministri. Dicono inoltre che Giorgetti e gli influenti presidenti di regione leghisti – Zaia del Veneto, Fedriga del Friuli Venezia Giulia e Fontana della Lombardia – siano sempre più insoddisfatti della leadership di Salvini, quantomeno per i risultati deludenti.
Fratelli d’Italia
Questo perché in questi giorni hanno raggiunto il loro massimo le iniziative e le strategie di Giorgia Meloni e del suo partito Fratelli d’Italia per sottrarre a Salvini e alla Lega la leadership del centrodestra, peraltro in un momento reso propizio dal sostanziale ritiro di Berlusconi, sempre più anziano e ostacolato dai problemi di salute. È il picco di un processo cominciato molto tempo fa, soprattutto da quando la Lega sostiene il governo Draghi e Fratelli d’Italia è all’opposizione (e quindi di fatto la coalizione è già divisa).
Meloni in queste elezioni non ha ottenuto nessuno dei due risultati che auspicava, cioè un presidente della Repubblica che fosse Draghi oppure che provenisse dal centrodestra, e le elezioni anticipate. Da questo punto di vista è uscita anche lei sconfitta. Però ha probabilmente aumentato i suoi già ampi consensi popolari a discapito di Salvini, e sicuramente ha dimostrato più coerenza di fronte agli elettori della destra e fermezza politica all’interno della coalizione.
Quando Fratelli d’Italia ha scelto il suo ex deputato Guido Crosetto come candidato di bandiera al terzo scrutinio, ha raccolto 114 voti, 51 in più dei 63 su cui contava la sua delegazione parlamentare. All’ottavo scrutinio, quando quasi tutti gli altri partiti hanno votato Mattarella, il suo altro candidato di bandiera Carlo Nordio, ex magistrato, ha preso 90 voti. Diversi commentatori lo hanno interpretato come un segno del fatto che ci sono dei parlamentari, probabilmente nella Lega, che sono ormai vicini a un passaggio a Fratelli d’Italia.
Meloni in queste ore sta dando durissime interviste contro Salvini, accusandolo di aver compromesso la possibilità del centrodestra di eleggere un suo presidente e di essere stato incoerente votando Mattarella. Al Corriere, rispondendo alla domanda se il suo partito è ancora alleato di Salvini e Berlusconi, ha detto: «In questo momento no». È ovviamente un’iperbole, e non è per nulla detto che la coalizione di centrodestra si divida, tantomeno che finisca l’alleanza tra Lega e Fratelli d’Italia, cosa che sembra davvero improbabile. Ma secondo Meloni, «va rifondata». E lei deve assumerne la guida, nei suoi evidenti piani.
Meloni vorrebbe che il centrodestra vincesse le elezioni del 2023, che Fratelli d’Italia fosse il partito più votato e che le venisse così assegnato l’incarico di presidente del Consiglio. Ma questi giorni, se da una parte forse hanno accresciuto le sue possibilità di diventare leader della destra, hanno anche indebolito la coalizione.
Forza Italia
È diventata infatti più evidente la distanza tra Forza Italia, partito più moderato ed europeista, e gli alleati più estremisti e sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia. Con Berlusconi sempre più escluso dalla vita politica, i leader di Forza Italia rimasti sono ancora più vicini al centro di lui, come l’ex presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani e le ministre Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. E in queste trattative per il Quirinale Forza Italia è stata sempre allineata a Cambiamo di Giovanni Toti, a sua volta una forza di centro.
Forza Italia è uscita malconcia da queste elezioni, specialmente quando è stato evidente che è stata la principale forza del centrodestra a sabotare l’elezione di Casellati, che fondò il partito e da sempre è vicinissima a Berlusconi. Ma molti parlamentari di Forza Italia non volevano rompere l’alleanza di governo, perché non volevano le elezioni anticipate (si dice poi che ci siano vecchie e diffuse antipatie interne nei confronti di Casellati).
Forza Italia è il partito meno rilevante in termini di voti per il centrodestra, ma potrebbe comunque fare la differenza tra il raggiungimento della maggioranza per governare alle politiche del 2023: dipenderà tutto da quale legge elettorale approveranno i partiti. Dopo la mossa di Salvini per candidare Belloni, dicono i retroscena, Berlusconi ha dato mandato ai suoi dirigenti di sganciarsi da Lega e Fratelli d’Italia e trattare da soli con il centro e con il PD. Occorrerà vedere come evolverà questa divisione.