Cosa fu il Bloody Sunday, 50 anni fa
La storia della strage in cui morirono 14 persone uccise dai soldati britannici durante una manifestazione pacifica a Derry, in Irlanda del Nord
La marcia pacifica che domenica attraverserà la città di Derry, in Irlanda del Nord, percorrerà le stesse strade scelte cinquant’anni fa, il 30 gennaio 1972, dai manifestanti attaccati dai soldati del Primo Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico. Fu una delle peggiori stragi di civili dei cosiddetti “Troubles”, cioè del periodo di violenze tra indipendentisti nordirlandesi e unionisti britannici che si concluse solo nel 1998.
A Derry, i militari britannici uccisero tredici persone e ne ferirono a morte un’altra.
All’epoca i manifestanti protestavano contro una legge speciale emanata dal governo irlandese unionista – cioè favorevole all’appartenenza dell’Irlanda al Regno Unito, contrariamente agli indipendentisti – secondo cui bastava l’approvazione del ministero dell’Interno dell’Irlanda del Nord per arrestare gli oppositori senza processo e a tempo indefinito.
Mercoledì scorso il primo ministro britannico Boris Johnson ha parlato del Bloody Sunday come «uno dei giorni più bui della nostra storia» e ha detto che bisogna «imparare dal passato, riconciliare e costruire un futuro prospero e condiviso».
I soldati avevano l’ordine di disperdere la folla, ma improvvisamente iniziarono a spararle contro colpendo 26 persone, di cui cinque alla schiena mentre cercavano di scappare. In seguito i soldati raccontarono di aver sentito colpi d’arma da fuoco provenienti dai manifestanti, ma le loro dichiarazioni furono contraddette da quelle di molti testimoni che dissero di non aver visto armi tra i partecipanti al corteo.
La strage acuì enormemente il clima di tensione tra gli unionisti e gli indipendentisti, cresciuto dalla fine degli anni Sessanta in Irlanda del Nord. In particolare il Bloody Sunday favorì l’ascesa dei terroristi separatisti dell’IRA, che ottennero grande sostegno da parte della popolazione. Una prima inchiesta, aperta nelle settimane seguenti dall’allora primo ministro britannico Edward Heath, prosciolse le autorità e i soldati britannici da ogni colpa, ma venne in seguito considerata un insabbiamento di quanto accaduto.
Nel gennaio del 1998 l’allora premier Tony Blair annunciò l’apertura di una nuova inchiesta – affidata a Lord Saville of Newdigate – basata su nuove prove e testimonianze. Le indagini durarono dodici anni e costarono 250 milioni di euro. Il rapporto, lungo 5mila pagine, è stato presentato il 15 giugno del 2010 e ha stabilito che tutte le persone uccise erano disarmate, tranne un ragazzino, Gerard Donaghey, che probabilmente aveva con sé alcune bombe carta.
Nessun manifestante aveva aggredito in alcun modo i soldati, che spararono dunque per primi senza alcuna provocazione e senza neanche avvisare la folla. Dopo la pubblicazione del rapporto il primo ministro britannico David Cameron si è scusato pubblicamente con le persone uccise e i loro familiari per il comportamento del Regno Unito, dicendo che «l’attacco dei soldati ai manifestanti è stato ingiustificato e ingiustificabile» e che «nessuno dei morti e dei feriti poteva essere considerato una minaccia».