L’ossessione per il football di Sean McVay
Allena i Los Angeles Rams, è il più giovane ad aver portato una squadra al Super Bowl e vive il suo lavoro molto intensamente, aiutato da una memoria eccezionale
Per arrivare a giocare il Super Bowl del 13 febbraio nel loro stadio a Los Angeles, a fine gennaio i Rams hanno dovuto battere i San Francisco 49ers in una partita che ha messo di fronte due degli allenatori più giovani e interessanti della NFL, Sean McVay e Kyle Shanahan.
L’allenatore di Los Angeles, Sean McVay, non è soltanto il più giovane in carica, ma lo è anche nella storia moderna del campionato. Ha da poco compiuto 36 anni ed è alla sua prima esperienza da capo allenatore, iniziata a Los Angeles cinque anni fa. Da allora i benefici che ha portato ai Rams hanno ispirato le scelte di altre squadre del campionato, che di recente si sono affidate ad allenatori giovani e con idee di gioco particolarmente offensive come le sue. È il caso per esempio di Matt LaFleur, ex coordinatore offensivo dei Rams, dal 2019 allenatore dei Green Bay Packers.
McVay è stato descritto come un grande comunicatore il cui gioco offensivo riesce a esaltare anche quarterback di seconda fascia, come lo era inizialmente Matthew Stafford, ingaggiato quest’anno e protagonista della miglior stagione della sua carriera, a 33 anni. McVay è solito provare sempre la via di attacco più aggressiva e immediata, e per questo preferisce giocatori che sappiano improvvisare e gestire l’incertezza.
Ha una grande capacità di analizzare le situazioni e chiamare le giocate giuste nei momenti giusti. In questo, la sua ossessione per il football gli ha dato una grossa mano, e giustifica in parte la sua carriera così precoce. Nel 2018 il giornalista sportivo Bryant Gumbel, di HBO, incuriosito dalle voci sulla sua memoria fotografica, lo mise alla prova. Gli chiese di ricordare alcune azioni cruciali della stagione precedente, e McVay le ricostruì tutte alla perfezione.
Non è così raro che un allenatore ad alti livelli conosca così bene le giocate fatte dalle sue squadre, ma McVay venne messo alla prova altre volte e ci si accorse che la sua memoria andava ben oltre le stagioni precedenti, arrivando fino ai tempi delle scuole superiori. Gli chiesero di ricostruire situazioni di gioco di quando era assistente dei Washington Redskins, alcuni anni prima, e le indovinò. Gli fecero vedere dei fermi immagine di azioni di quando aveva diciassette anni, e di descriverle nella loro evoluzione: le fece con tutte, con tanto di dettagli.
Parlandone disse: «Queste sono cose che noi allenatori ripercorriamo sempre, specialmente quando si tratta di giocate rilevanti». E aggiunse, un po’ ironicamente: «Non ho una vita oltre all’amore per il football. Non scherzo quando dico che non ricordo davvero nient’altro».
McVay portò i Rams al Super Bowl alla sua seconda stagione in carica, dopo diciassette anni di assenza, diventando il più giovane allenatore a giocare la finale del campionato. Lo fece grazie a una stagione regolare conclusa con tredici vittorie su sedici partite, dopo essere subentrato l’anno precedente per volere della proprietà di Stan Kroenke (che tra le altre cose possiede la squadra di calcio dell’Arsenal). I Rams puntarono su di lui per gestire l’ingresso in prima squadra di nuovo giovane quarterback, Jared Goff (poi declassato e infine rimpiazzato con Stafford), e rimettere in sesto un gruppo che, oltre alle difficoltà mostrate in precedenza, aveva dovuto affrontare un complicato trasferimento da St. Louis a Los Angeles.
Tuttora la squadra si allena in un centro sportivo provvisorio, e soltanto l’anno scorso ha smesso di giocare al vecchio Coliseum di Los Angeles per trasferirsi nel nuovo SoFi Stadium di Inglewood. Nonostante questo, il football a Los Angeles non ha ancora attecchito come in altre zone degli Stati Uniti. I Rams stanno cercando di rimediare, e in questa stagione hanno potuto mettere insieme una delle rose più forti del campionato, almeno sulla carta: l’ultimo rinforzo avuto da McVay è stato il ricevitore Odell Beckham Jr., uno dei migliori in circolazione e fra i più famosi sportivi d’America.
Nei primi tempi ai Rams, in molti notarono in particolare il modo in cui McVay viveva le partite, completamente preso dal gioco fino a ignorare quello che gli succedeva attorno, cosa che può spiegare l’efficacia della sua memoria. Per evitare di farlo scontrare con gli arbitri a bordo campo, a un suo assistente era stato dato l’incarico di seguirlo e spostarlo di forza quando stava per avvicinarsi a un arbitro.
Sean McVay has his own "Get Back Coach" to keep him on the sidelines during the game 😂
(via @NFLFilms)pic.twitter.com/pIzh1kLWvS
— ESPN (@espn) January 21, 2019
La sua carriera in NFL e più in generale nel football fu aiutata da una famiglia già inserita in quel mondo. Suo nonno John fu allenatore dei New York Giants e poi general manager dei San Francisco 49ers nel loro periodo d’oro. McVay iniziò a lavorare in NFL come assistente ai Tampa Bay Buccaneers allenati da Jon Gruden, il coach che lo scorso ottobre è stato licenziato dai Las Vegas Raiders in seguito a uno scandalo legato a email razziste e omofobe inviate nel corso degli anni. Il padre di Gruden, Jim, era stato introdotto a sua volta nel football da John McVay. Negli anni Settanta, Jim Gruden, da assistente all’Università dell’Indiana, assunse il figlio di John McVay, ovvero il padre di Sean.
Questo intreccio familiare è continuato fino a qualche anno fa ai Washington Redskins, dove McVay iniziò da assistente dei tight end — uno dei principali ruoli offensivi — nel 2010 fino ad arrivare a coordinatore dell’attacco. Lo assunse inizialmente Mike Shanahan, padre dell’attuale allenatore dei San Francisco 49ers, e poi proseguì ritrovandosi come allenatore il fratello minore di Jon Gruden, Jay.
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