L’inchiesta sugli abusi che ha coinvolto Joseph Ratzinger
Il rapporto, che riguarda la Germania, è solo l'ultimo di una serie di indagini avviate in molti paesi, ma non in Italia
Il rapporto pubblicato il 20 gennaio in Germania sui casi di pedofilia che si sono verificati nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga e che coinvolge Joseph Ratzinger – il Papa emerito Benedetto XVI, che per cinque anni fu arcivescovo nella diocesi – sta provocando pesanti polemiche. Il rapporto, commissionato dalla stessa arcidiocesi e svolto dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, riguarda gli anni dal dopoguerra al 2019, e afferma che Ratzinger non avrebbe preso provvedimenti adeguati di fronte a quattro casi di abusi sessuali su minori avvenuti tra il 1977 e il 1982, quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga.
L’ala conservatore del mondo cattolico, a cui appartiene Ratzinger, sta cercando da giorni di difendere il papa emerito.
Il movimento cattolico Comunione e Liberazione ha parlato di «accuse infamanti». Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana dal 1991 al 2007, ha detto che le accuse sono «assurde» e che mai Ratzinger sarebbe diventato Papa «se la sua coscienza gli avesse rimproverato qualcosa».
Ma Ratzinger sta ricevendo solidarietà anche da altri pezzi del mondo cattolico. Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, ha scritto in prima pagina sull’Osservatore Romano e sul sito Vatican News che è stato proprio Papa Benedetto XVI il primo Papa a incontrare più volte le vittime di abuso durante i suoi viaggi apostolici: «È stato Benedetto XVI, anche contro l’opinione di tanti sedicenti “ratzingeriani”, a proporre, nel mezzo della bufera degli scandali in Irlanda e in Germania, il volto di una Chiesa penitenziale, che si umilia nel chiedere perdono, che prova sgomento, rimorso, dolore, compassione e vicinanza».
Nel 2010, in una lettera ai cattolici irlandesi, Benedetto XVI aveva scritto, rivolgendosi ai sacerdoti che si macchiano di abusi sessuali: «Dovrete risponderne davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti».
In molti hanno fatto notare che in quel periodo Benedetto XVI non poteva ignorare il problema, dato l’enorme numero di notizie di abusi che stavano emergendo durante il suo pontificato. Negli anni dal 2005 al 2013 scoppiarono casi in Germania, Francia, Belgio, Malta, Australia, e più in generale si consolidò la consapevolezza – anche all’interno della comunità cattolica – che la Chiesa avesse coperto per decenni violenze e abusi sessuali compiuti dal proprio clero.
Il rapporto dello studio Westpfahl Spilker Wastl che contiene le accuse a Ratzinger analizza i casi di 497 vittime – nel 60 per cento dei casi si tratta di minori – e di 235 persone responsabili di abusi. La maggioranza dei crimini sarebbe stata commessa negli anni Sessanta e Settanta. Fra i 235 sospettati, 173 erano sacerdoti. Tra le quasi 500 vittime, 247 erano di sesso maschile, nel 60 per cento dei casi tra gli 8 e i 14 anni, e 182 di sesso femminile. In una settantina di casi l’identità della vittima non è stata accertata.
Nel rapporto Ratzinger è accusato di non aver agito davanti a quattro casi di abusi avvenuti quando lui era arcivescovo. Per ora, poiché il rapporto è riservato, le accuse non sono del tutto chiare. Quel che è certo è che allegata al rapporto c’è una smentita dello stesso Ratzinger, in cui afferma di non essere stato presente a una seduta importante nel 1980 nella quale si decise di accogliere un prete accusato di abusi sessuali su minori nella diocesi di Monaco. Quella smentita ha di fatto peggiorato le cose: i legali estensori del rapporto l’hanno giudicata «poco credibile», e negli scorsi giorni Ratzinger ha ammesso di aver fornito agli investigatori informazioni false.
In una dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa Kna dal suo storico segretario, l’arcivescovo Georg Gänswein, Benedetto XVI ha affermato, contrariamente a quanto asserito in precedenza, di aver partecipato alla riunione, tenutasi il 15 gennaio 1980, quando era arcivescovo di Monaco. L’errore, si legge nella nota, non è stato fatto «per cattiva intenzione, ma è stata la conseguenza di una svista nell’elaborazione redazionale della sua opinione. Come questo sia potuto accadere, lo chiarirà nel parere che presenterà in un secondo momento. Gli dispiace molto di questo errore e chiede di scusarlo». Secondo la nota, la riunione non riguardava comunque l’assegnazione di incarichi pastorali al prete, ma soltanto la valutazione di una richiesta di fornirgli alloggio a Monaco mentre si trovava in «trattamento terapeutico».
La nota poi spiega che il Papa emerito, che ha 95 anni, sta leggendo con attenzione il rapporto, di oltre mille pagine, e che rilascerà una dichiarazione solo dopo aver completato la lettura.
I sostenitori di Joseph Ratzinger hanno ricordato in questi giorni come sia stato lui il Papa che ha punito Marcial Maciel Degollado: dirigente cattolico messicano, morto negli Stati Uniti nel 2008 a 88 anni, fu il fondatore della Congregazione clericale dei Legionari di Cristo. Le prime accuse di abusi contro di lui risalgono già agli anni Cinquanta, e nel corso dei decenni le denunce furono decine.
Degollado sceglieva i seminaristi in base alla loro avvenenza fisica, aveva rapporti sessuali con loro e poi li assolveva. Diceva anche di avere un permesso speciale di Papa Pio XII, che consentiva ai seminaristi rapporti sessuali con lui. Nella congregazione, dove nei confronti di padre Maciel c’era un forte culto della personalità, vigeva una regola: nessuno deve parlare di ciò che avviene all’interno. Non fu così: le denunce si intensificarono, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta e arrivarono alle alte gerarchie del Vaticano, di cui Ratzinger faceva già parte. Eppure nessuno fece nulla e anzi, dissero i seminaristi, Papa Giovanni Paolo II – anche lui proveniente da ambienti conservatori – continuò a dimostrare amicizia nei confronti di Maciel.
Un ex seminarista, José Barba Martin, a metà degli anni Novanta pubblicò una lettera aperta su un giornale messicano, Milenio. La lettera elencava i crimini di Maciel, circostanziandoli con prove e date, e portava la firma di altri sette ex legionari. Suscitò enorme emozione in tutta l’America Latina dove la congregazione dei Legionari di Cristo controllava università, scuole e istituzioni, ma aveva anche accesso ai vertici istituzionali e aveva rapporti con molti imprenditori influenti.
Il contenuto della lettera arrivò naturalmente anche in Vaticano. Dice oggi Barba Martin: «Nessuno ci diede mai risposta. Fummo ignorati. Io personalmente sono convinto che Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger sapessero bene della colpevolezza di Maciel».
Fu dopo l’elezione a papa di Joseph Ratzinger che la Congregazione per la Dottrina della Fede della Chiesa inflisse a Maciel la rinuncia a ogni ministero e gli impose una vita riservata di preghiera e penitenza per aver perpetrato abusi sessuali e delitti di pedofilia per decenni su numerosi seminaristi della sua congregazione, e averne poi assolti alcuni in confessione. Benedetto XVI definì Maciel, che aveva sei figli avuti da quattro ragazze diverse, «un falso profeta».
È vero che Benedetto XVI firmò quel provvedimento, dicono le vittime di allora, ma da parte sua rimase comunque una forte ambiguità. Dice ancora Barba Martin: «Non ci fu processo e quindi non abbiamo mai avuto giustizia formale».
Slawomir Oder, postulatore della causa di canonizzazione e poi di beatificazione di Giovanni Paolo II, ha spiegato che in realtà Karol Wojtyla non sapeva come realmente stavano le cose: e di conseguenza allora non lo sapeva nemmeno Joseph Ratzinger. «Posso dire», ha spiegato Oder, «che Giovanni Paolo II aveva una esperienza diretta sul discredito che in Polonia, sotto il regime comunista, veniva gettato continuamente sui preti polacchi. I servizi segreti costruivano dossier per accusarli di cose orribili. Wojtyla sapeva che erano accuse false e montate. Finché quindi non si trattava di una prova evidente e rimaneva un margine di dubbio egli pensava che potesse essere il frutto di una manipolazione ingiusta».
Al di là della posizione e delle colpe vere o presunte di Joseph Ratzinger, l’intera Chiesa cattolica continua ad essere scossa dai continui rapporti che arrivano da molti paesi.
Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, a cui Papa Francesco ha affidato la prevenzione della piaga degli abusi sessuali sui minori nella Chiesa, ha detto in un’intervista alla Stampa: «Nel mondo in ogni regione tra il 3 e il 5 per cento dei preti è un abusatore. Abbiamo dei criminali fra noi. Per questo dobbiamo ancora fare passi avanti per purificare la Chiesa». Zollner ha aggiunto che serve un’inchiesta anche in Italia.
Il rapporto tedesco, che giunge dopo quello pubblicato in ottobre in Francia e che ha evidenziato 216mila casi di abusi da parte di preti o religiosi cattolici dal 1950 a oggi, ha provocato la ripresa, all’interno della Chiesa, dello scontro tra l’ala progressista, che vuole accelerare al massimo nelle operazioni di trasparenza, e conservatori.
Non che i progressisti siano indenni e non vengano toccati dagli scandali. Anche il cardinale Reinhard Marx, figura simbolo della Chiesa progressista, che mesi fa aveva rassegnato al Papa le sue dimissioni, poi respinte, proprio per la timida risposta alla questione degli abusi, è stato tirato in ballo dal rapporto Westpfahl Spilker Wastl: avrebbe commesso errori nella gestione di due abusi. Marx ha chiesto perdono alle vittime degli abusi «ma anche ai fedeli, che ora dubitano della Chiesa, che non si fidano più dei responsabili e la cui fede ha subìto danni».
Marx ha poi aggiunto: «In almeno un caso mi rimprovero di non essere intervenuto attivamente. Avrei potuto agire di più e con maggiore impegno? Certamente sì».
Nel 2019 Papa Francesco ha convocato a Roma un summit senza precedenti per parlare di questi temi. Ha detto il 21 gennaio ricevendo i membri dell’Assemblea plenaria della Congregazione per la dottrina della Fede: «La Chiesa, con l’aiuto di Dio, sta portando avanti con ferma decisione l’impegno di rendere giustizia alle vittime degli abusi operati dai suoi membri». Ha poi aggiunto: «In questa luce ho recentemente proceduto all’aggiornamento delle norme sui delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, con il desiderio di rendere più incisiva l’azione giudiziaria».
Finora, gli unici grandi paesi in cui la Chiesa non ha ancora avviato indagini senza reticenze sui casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti sono Italia e Spagna.
«È come se», ha scritto Giovanni Panettiere, autore della rubrica Non solo Vaticano su Quotidiano.net, «le 227 diocesi italiane fossero immuni da una piaga su cui il Papa non vuole insabbiamenti al punto da prescrivere la rimozione di vescovi negligenti nella gestione dei casi di pedofilia».
La Cei, Conferenza episcopale italiana, per ora non dà segni di volere censire e fornire i numeri dei casi di pedofilia in Italia, anche se un dibattito interno è in atto e i favorevoli a un’indagine sono sempre più numerosi. Molto dipenderà da chi sarà il prossimo presidente della Conferenza: la nomina da parte del Papa, sulla base di una terna votata dai vescovi, dovrebbe avvenire a fine maggio.