Gli sponsor americani delle Olimpiadi di Pechino stanno facendo poca pubblicità
Sperano così di portare avanti i propri interessi economici in Cina, senza attirare troppe critiche negli Stati Uniti
Il prossimo 4 febbraio cominceranno le Olimpiadi invernali di Pechino, in Cina, ma a differenza delle passate edizioni quest’anno i principali sponsor statunitensi non hanno organizzato grandi campagne pubblicitarie. Secondo il Wall Street Journal lo starebbero facendo per salvaguardare i propri interessi economici, ed evitare di subire critiche e boicottaggi in Occidente pur finanziando i Giochi Olimpici in un paese molto criticato per le sue violazioni dei diritti umani (soprattutto dal governo degli Stati Uniti, che a dicembre aveva fatto sapere che non avrebbe mandato suoi rappresentanti politici a Pechino).
Mantenere un basso profilo e non dare troppa visibilità alla propria sponsorizzazione delle Olimpiadi permetterebbe a queste aziende di portare avanti i propri interessi economici in Cina, senza attirare troppe critiche da parte di politici, attivisti e consumatori statunitensi.
Le principali società statunitensi che sponsorizzano le Olimpiadi sono cinque: Coca-Cola, Airbnb, Visa, Intel e Procter & Gamble (P&G). I contratti che stipulano con gli organizzatori dei Giochi Olimpici prevedono che in cambio della sponsorizzazione possano esibire il logo delle Olimpiadi nelle proprie pubblicità, con un ovvio ritorno d’immagine e una grande visibilità, data l’importanza dell’evento.
In passato queste cinque società si erano fatte notare per imponenti campagne pubblicitarie organizzate per dare visibilità al proprio contributo come sponsor delle Olimpiadi. Per esempio in occasione delle ultime Olimpiadi invernali del 2018, in Corea del Sud, l’azienda di carte di credito Visa aveva avviato la propria campagna pubblicitaria circa 3 mesi prima dell’inizio dei Giochi, con un conto alla rovescia di 100 giorni in evidenza sul proprio profilo Twitter.
Per le stesse Olimpiadi, P&G aveva promosso la campagna “Ama oltre i pregiudizi” (Love over Bias), presentato per la prima volta durante il programma di intrattenimento The Ellen DeGeneres Show di Ellen DeGeneres, popolarissimo negli Stati Uniti. Campagne simili erano state organizzate anche da Coca-Cola, che tra le altre cose aveva diffuso i propri spot sui cartelloni illuminati di Times Square, a New York.
Quest’anno invece le cose sono andate molto diversamente: Visa non ha fatto neanche un tweet sul proprio sostegno ai Giochi Olimpici di Pechino, e Airbnb, P&G e Coca-Cola non hanno organizzato grandi campagne pubblicitarie sulle Olimpiadi. Contattate per chiarimenti, alcune di queste aziende non hanno risposto, oppure si sono mantenute molto vaghe, mentre un portavoce di Coca-Cola ha detto al Wall Street Journal che quest’anno l’azienda ha deciso di pubblicizzare la propria sponsorizzazione delle Olimpiadi solo in Cina – come anche Visa e P&G, scrive CNN – senza dare spiegazioni sul perché.
Nelle scorse settimane diversi gruppi di attivisti e politici statunitensi avevano fatto molta pressione su queste aziende affinché si rifiutassero di sponsorizzare i Giochi in Cina. Gli attivisti avevano denunciato in particolare le violazioni dei diritti umani in Tibet, a Hong Kong e contro la minoranza musulmana degli uiguri nella regione cinese dello Xinjiang. Le aziende però non hanno risposto alle richieste.
Rinunciare ai contratti di sponsorizzazione o addirittura esporsi contro la Cina comporterebbe grosse perdite economiche per queste aziende, anche perché la Cina – un enorme mercato e quindi una grande fonte di guadagno – ha già dimostrato in passato di non farsi troppi problemi nel boicottare economicamente le aziende che ne criticano gli abusi.
La sola eccezione tra le cinque aziende statunitensi è stata Intel, una delle principali aziende produttrici di chip al mondo, che è stata l’unica a essersi esposta contro la Cina per gli abusi contro gli uiguri. Dopo che a dicembre aveva pubblicato sul suo sito una lettera ai suoi fornitori cinesi in cui li invitava astenersi dall’utilizzare lavoro o prodotti realizzati nello Xinjiang, era stata fortemente criticata in Cina.
Molte dure critiche erano state pubblicate sul Global Times, tabloid in lingua inglese controllato dal governo, che in alcuni articoli aveva scritto che la Cina non avrebbe dovuto più affidarsi ad aziende straniere come Intel, e piuttosto rafforzare la propria produzione interna. Pochi giorni dopo Intel era tornata sui propri passi, scusandosi pubblicamente per le proprie affermazioni.
– Leggi anche: Non ci saranno rappresentanti del governo statunitense alle Olimpiadi di Pechino