Una canzone dei Toto
Che sono arrivati fino allo spettacolo di Lundini e ai meme su Twitter
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Morrissey ha diffuso ieri sul suo sito una “lettera aperta” a Johnny Marr (stiamo parlando dei due più importanti e ammirati musicisti degli Smiths, dico per i miei piccoli lettori) chiedendogli di smettere di parlare di lui nelle interviste e di pretendere di sapere qualcosa di Morrissey e dei suoi pensieri, da che non si frequentano da 35 anni. Johnny Marr ha risposto con un tweet deboluccio. Fin qui vince Morrissey.
Il New York Times ha pubblicato una spiegazione della leggenda per cui il giornale – in obbedienza alle sue regole di stile – avrebbe scritto a suo tempo di Meat Loaf chiamandolo “mr. Loaf”.
Georgy Porgy
Toto
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La settimana scorsa ho visto “lo spettacolo di Valerio Lundini”, definizione che capisce chi ha visto lo spettacolo di Valerio Lundini, ma non è importante. In realtà niente è importante, è che mi ha fatto ridere – tra le tante cose che mi hanno fatto ridere, in un teatro pieno di giovani che ridevano a crepapelle – la gag scema sui Toto. Siccome magari ci dovete ancora andare, a vedere lo spettacolo di Valerio Lundini, non vi racconterò la gag scema (che poi raccontata verrebbe malissimo).
C’è un’altra cosa, sui Toto. Qualche anno fa qualcuno ha costruito un “bot” su Twitter (ovvero un account su Twitter che pubblica cose automaticamente, da solo) che pubblica ogni tre ore un verso di Africa dei Toto. Io lo seguo, con altri 43mila: la trovata divertente è passata da un pezzo e su Twitter adesso l’obiettivo di tutti è rimuovere account seguiti piuttosto che aggiungerne nuovi, ma a quello sono affezionato. Defolloware mi farebbe l’effetto di cancellare dalla rubrica del telefono le persone che sono morte, e infatti le tengo tutte – come molti di voi, credo – e quando ci capito sopra le penso, per un momento.
Quel disco là, quello di Africa e Rosanna, uscì nel 1982: compirà 40 anni ad aprile. Io e mio fratello lo comprammo il 28 maggio, lo so per quella cosa da nerd che facevo allora. Si chiamava Toto IV, perché prima ne erano usciti altri tre, che non avevano conquistato il mondo quanto quello ma un paio di singoli erano andati forte. Soprattutto, meritevolmente, Hold the line, dal loro primo disco del 1978.
I Toto sono una strana band: sono stati molto adorati da un pubblico di “adult rock” e di giovanivecchi appassionati più della sapienza musicale che della creatività; specularmente, sono stati molto disprezzati dai più raffinati e snob fan delle reinvenzioni e rivoluzioni nel rock, che li consideravano buoni esecutori senza grandi idee, col curriculum gravato poi da grandi successi di classifica e radiofonici.
Avevano ragione tutti e due: i Toto non hanno inventato davvero niente, e nella seconda parte della loro carriera anzi hanno fatto cose piuttosto inutili; ma erano grandi musicisti, e ce ne fossero, di pezzi come Hold the line o Africa, nelle classifiche di vendita. E intanto sono arrivati fino allo spettacolo di Lundini della settimana scorsa e ai meme su Twitter.
Torniamo al primo disco: visto che era andato benone, ci tirarono fuori un terzo singolo ancora nel 1979, Georgy Porgy. Pezzone di citazioni ed eleganza di ritmo e suoni, che arruolò nel refrain Cheryl Lynn, cantante di discreti successi soprattutto nella discomusic (Got to be real, su tutti, che lei aveva scritto con David Paich dei Toto).
Il titolo e il refrain citano una antica filastrocca inglese (che aveva implicazioni di molestie sessuali, ma anche di bullismo), e non so dirvi se il narratore della canzone meriti solidarietà o sia uno stalker.
Just think how long I’ve known you
It’s long for me to own you, lock and key
It’s really not confusing
I’m just the young illusion, can’t you see
I’m not the only one that holds you
I never ever should have told you
You’re my only girl
Ma sono gli strumenti che i Toto ci mettono dentro (il basso, il piano, le percussioni, il breve assolo di chitarra, le pause, la voce di Lynn) a farne un gran pezzo da mercoledì e tirarsi su.
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