Ci si aspetta poco o niente dal primo scrutinio per il Quirinale
I partiti continuano a non mettersi d'accordo, e la votazione che comincerà alle 15 sarà piena di schede bianche
Nel primo giorno delle votazioni per eleggere il prossimo presidente della Repubblica, i parlamentari riuniti in seduta comune insieme ai delegati regionali a Montecitorio infileranno nelle urne prevalentemente delle schede bianche, salvo sorprese dell’ultimo momento. Sembra estremamente probabile, infatti, che quella che comincerà lunedì alle 15 sarà una seduta interlocutoria: dopo settimane di discussioni e trattative i partiti non hanno ancora raggiunto un accordo su un candidato o una candidata condivisa, e nessun blocco politico ha da solo i numeri per eleggere il suo preferito o la sua preferita nei primi tre scrutini, in cui servono i due terzi dei grandi elettori.
Gli scenari possibili sono ancora molti: c’è sempre la possibilità che lunedì i leader politici si accordino per votare qualcuno insieme nel secondo o nel terzo scrutinio, che si terranno martedì e mercoledì, ma sembra sempre più remota. È più probabile che la situazione si sbloccherà dal quarto scrutinio in poi, quindi da giovedì, quando basterà la maggioranza assoluta di 505 voti. I candidati dati per possibili sono molti – il rituale “toto-nomi” – ma al momento quelli più plausibili sono: il presidente del Consiglio Mario Draghi, l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ma al di là dei nomi, c’è un problema politico piuttosto grosso. I due principali blocchi, il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle da una parte, il centrodestra dall’altra, non sono d’accordo su nessun candidato e i rapporti di forza non sono sufficientemente chiari perché l’una o l’altra parte possa attribuirsi senza discussioni il diritto di far valere la propria proposta. All’interno dei singoli blocchi, poi, le rivalità tra i partiti e le divisioni interne agli stessi complicano ulteriormente le premesse perché si arrivi a un accordo.
Non sembra esserci insomma spazio per una candidatura di parte, sicuramente non nei primi tre scrutini, ma forse nemmeno dal quarto in poi visto che provare a eleggere un o una presidente da soli è un rischio per entrambi i blocchi (fallire per pochi voti sarebbe un disastro politico).
Il centrodestra conta su circa 445 voti su 1.008 – domenica infatti è morto un grande elettore, il deputato di Forza Italia Vincenzo Fasano – e il centrosinistra con il M5S su 413, a cui però si aggiungono i 49 elettori di Italia Viva e Azione/+Europa, la cui collocazione è dubbia ma che potrebbero votare con i vecchi alleati del Partito Democratico. Entrambi gli schieramenti dovrebbero convincere decine di grandi elettori dell’altra parte o del Gruppo Misto per superare la soglia dei 505 voti.
Questa situazione contribuisce ad avvalorare lo scenario di un candidato o una candidata trasversali, ma quelli emersi finora hanno delle caratteristiche che li rendono sgraditi a questo o quel partito: o perché la loro elezione comporterebbe probabilmente elezioni anticipate (Draghi), eventualità che in molti vogliono evitare assolutamente temendo di essere fortemente ridimensionati nella prossima legislatura; o perché ritenuti, più o meno pretestuosamente, espressione di una parte politica (Casini). O ancora, nel caso in cui siano graditi un po’ a tutti, non vogliono semplicemente saperne (Mattarella).
Arrivati al primo giorno di votazioni, non è cambiato molto rispetto alle scorse settimane, e nemmeno il ritiro dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dai candidati ha smosso la situazione. In breve, il centrodestra sembra per ora ostile per ragioni diverse ai candidati principali proposti dal centrosinistra, e viceversa. Il M5S, da parte sua, è molto diviso e in confusione. Lunedì dovrebbero incontrarsi il segretario del PD Enrico Letta e quello della Lega Matteo Salvini, per provare a trovare una soluzione.
Draghi, fino a qualche settimana fa il candidato con più possibilità, andrebbe probabilmente bene a gran parte del centrosinistra, come ha fatto capire ieri Letta ospite in tv da Fabio Fazio; ma Berlusconi nei giorni scorsi ha messo una specie di veto, dicendo che non deve essere spostato dal governo. Anche Salvini sembra per ora ostile a questa possibilità, che invece potrebbe andare bene a Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, l’unico partito che vorrebbe davvero andare a elezioni anticipate, un’ipotesi plausibile se Draghi venisse eletto al Quirinale.
Nei giorni scorsi le cronache politiche avevano raccontato di come il presidente del M5S Giuseppe Conte avesse fatto capire agli alleati del PD che non poteva garantire che i suoi grandi elettori avrebbero votato in maniera compatta per Draghi, principalmente per il timore di elezioni anticipate.
Casini è l’altro nome più quotato di questi giorni. È stato presidente della Camera, è in politica da una vita, ha fatto parte prima della Democrazia Cristiana, e poi con vari partiti di centro prima del centrodestra e poi del centrosinistra. La sua candidatura non ha un vero sponsor, a parte a quanto sembra Matteo Renzi di Italia Viva, ma si è capito che il centrosinistra, pur non essendone entusiasta, finirebbe probabilmente per accettarla senza troppi problemi.
Sul Corriere Maria Teresa Meli dice che alcune correnti del PD stanno lavorando per sostenere la sua candidatura. Il M5S, anche in questo caso, sembra diviso e poco soddisfatto. E anche il centrodestra al momento non è per nulla convinto, principalmente perché Casini è stato eletto l’ultima volta nella coalizione di centrosinistra.
L’unico candidato che metterebbe tutti d’accordo, o quasi, rimane Mattarella, che però da settimane manda segnali sempre più espliciti sul fatto che non vuole assolutamente essere rieletto. Eppure i leader politici continuano a invocarlo: ancora domenica, Letta ha detto che «sarebbe perfetto». Ma devono succedere un bel po’ di cose perché la possibilità della sua rielezione diventi concreta.
I candidati proposti dal centrodestra sono invece più o meno gli stessi delle ultime settimane, e nessuno sembra convincere il centrosinistra, che li considera troppo di parte oppure troppo poco istituzionali. Sono per esempio l’attuale presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’ex presidente Marcello Pera e l’ex sindaca di Milano Letizia Moratti. Soprattutto dopo che per giorni il centrodestra ha dato credito alla possibilità della candidatura di Berlusconi, non sembra che il centrosinistra sia disposto a concedere al centrodestra la possibilità di proporre un candidato di parte.
Sul Corriere, l’esperto cronista politico Francesco Verderami scrive che Salvini e Meloni sanno già che «dovranno infine accettare una soluzione “condivisa”: Casini o Draghi», ma che in entrambi i casi la conseguenza sarebbe una divisione interna alla coalizione. Già ora Fratelli d’Italia non partecipa alla maggioranza di governo, a differenza di Lega e Forza Italia, ma un’eventuale spaccatura anche nelle votazioni sul presidente della Repubblica è assai temuta dal centrodestra.
Anche dal M5S sono usciti principalmente nomi “di bandiera”, cioè candidati senza vere chance, proposti principalmente per ragioni identitarie. Ce n’è uno che è condiviso in realtà con il PD: Andrea Riccardi, storico e fondatore della comunità di Sant’Egidio, di ispirazione cattolica e attiva da decenni nella beneficenza e nell’assistenza ai poveri. Al momento non sembra essere una candidatura sostenuta con molta convinzione, nemmeno come candidatura “di bandiera”: c’è il timore infatti che una parte del partito non lo voterebbe, segnalando una divisione interna. È comunque probabile che riceverà un certo numero di preferenze nella prima votazione.
Non ci sono per ora sviluppi riguardo alla ministra della Giustizia Marta Cartabia e all’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, altri candidati citati negli scorsi giorni, mentre a partire da domenica si parla con una certa insistenza di Elisabetta Belloni, diplomatica a capo dei servizi segreti: ma viene menzionata sia come possibile candidata condivisa alla presidenza della Repubblica sia come possibile presidente del Consiglio in caso di elezione di Draghi al Quirinale. Al momento, insomma, quelli che la riguardano sono ancora retroscena di cui è difficile valutare la concretezza.