L’improbabile storia della Giamaica alle Olimpiadi invernali
Più di trent'anni fa qualcuno si mise in testa che gli atleti giamaicani avrebbero potuto competere in qualsiasi sport: scelsero il bob
di Pietro Cabrio
Sono passati trentaquattro anni dall’esordio della Giamaica alle Olimpiadi invernali. Da allora — era Calgary 1988 — l’isola caraibica è diventata il paese tropicale con la presenza più significativa ai Giochi invernali. Tutto iniziò con l’esperimento del bob maschile, diventato negli anni una realtà vera e propria in grado di ispirare tentativi simili in altre discipline invernali. Da Calgary a oggi, la Giamaica si è presentata a tutte le edizioni dei Giochi tranne una, quella di Torino nel 2006.
La storia della Giamaica alle Olimpiadi invernali proseguirà a Pechino, dove il paese si presenterà con la sua delegazione più completa. Per la prima volta sarà rappresentata nello sci alpino, e per la prima volta parteciperà a tre diverse categorie del bob: singolo femminile, coppia e quattro maschile. Quest’ultima mancava da 24 anni e fu quella che a Calgary convinse la Walt Disney a realizzare un film di discreto successo, Cool Runnings (in italiano Quattro sottozero), uscito nel 1993.
Nonostante il film venga inevitabilmente citato quando si parla dell’improbabile presenza della Giamaica negli sport invernali, il racconto è romanzato e non così fedele al vero percorso che ha portato il paese caraibico a riscrivere la storia degli sport olimpici, superando barriere culturali e climatiche che si credevano consolidate.
Fu George Fitch, negli anni Ottanta addetto commerciale dell’ambasciata americana di Kingston, ad avere l’idea dalla quale iniziò un po’ tutto. Era un tipo intraprendente, appassionato di sport e incuriosito dalla tradizione sportiva giamaicana. Frequentando l’isola si convinse che gli atleti locali, se preparati, avrebbero potuto competere in qualsiasi disciplina, anche quelle apparentemente più distanti da loro. L’idea del bob venne da una gara di carretti in strada. Fitch notò come quelle gare si dividevano grosso modo in due fasi, come il bob: la prima, in cui veniva data la fondamentale spinta di partenza, e la seconda, dove i “piloti” dovevano sfruttarla per completare il percorso, tracciando le traiettorie con il proprio peso.
Insieme a William Maloney, un uomo d’affari che frequentava l’isola, e a Ken Barnes, ufficiale dell’esercito giamaicano (padre del calciatore del Liverpool John Barnes), Fitch iniziò a contattare i velocisti che allora si stavano allenando per le Olimpiadi estive di Seul 1988. Nessuno prestò attenzione alla proposta, per l’assurdità dell’idea e perché del bob sapevano solo che poteva essere pericoloso. Fitch decise quindi di organizzare provini aperti a tutti, ma rivolti principalmente agli atleti dell’esercito che per un motivo o per l’altro stavano rinunciando alle loro carriere.
Fra questi vennero fuori Mike White, velocista della squadra dell’esercito, Devon Harris, che correva gli 800 metri, e Dudley Stokes, pilota di elicotteri. A loro si aggiunse Sam Clayton Jr., diventato poi un famoso ingegnere acustico, morto di Covid-19 lo scorso marzo a 58 anni. Stokes ha ricordato qualche anno fa su Reddit: «Sentii parlare del bob nel 1987. Ne vidi uno per la prima volta a metà settembre di quell’anno. A ottobre ci fu la prima volta sul ghiaccio, in una pista di pattinaggio a Lake Placid. Salii a bordo poco dopo. A febbraio eravamo alle Olimpiadi».
Fitch sborsò di tasca sua circa 60mila dollari per creare la squadra di bob e darle tutto quello di cui aveva bisogno, tra cui due allenatori: l’americano Howard Siler e l’austriaco Sepp Haidacher. Insieme agli atleti studiarono a fondo la disciplina e le regole olimpiche. Si abituarono alle basse temperature, e a gareggiare in quelle condizioni inusuali. Le poche volte che andarono in pista ad allenarsi, lo fecero in Nord America. Il resto del tempo lo passarono a prepararsi sfruttando il clima della Giamaica, considerato uno dei fattori alla base dei grandi risultati che il paese ottiene nell’atletica leggera, in quanto favorevole agli allenamenti atletici.
Ci fu poi il viaggio in Austria per partecipare a una tappa di Coppa del Mondo, uno dei requisiti necessari per ottenere la qualificazione ai Giochi. Quando la partecipazione sembrava ormai acquisita, però, il Comitato olimpico internazionale (CIO) si oppose per timore di delegittimare il percorso di qualificazione. Ci furono discussioni e in molti presero le difese dei giamaicani, tra cui il principe Alberto II di Monaco, che all’epoca gareggiava proprio nel bob per la squadra del Principato.
Il CIO venne convinto della serietà del progetto giamaicano, e così a Calgary, il 23 febbraio 1988, Mike White e Dudley Stokes diventarono i primi due giamaicani a partecipare alle Olimpiadi invernali. Dopo quattro prove si classificarono al trentesimo posto nel bob a due. L’entusiasmo per il risultato convinse la squadra a partecipare anche al bob a quattro, ma non erano rimasti abbastanza fondi. Fitch raccolse quello che riuscì, anche con la vendita di magliette disegnate da sua moglie, che a Calgary andarono a ruba. Per completare il quartetto, Stokes chiamò suo fratello Christian, un altro velocista che in quel periodo si stava allenando all’Università dell’Idaho.
La gara del bob a quattro andò male, in pista. Nella terza delle quattro prove previste partirono troppo veloci, si cappottarono a metà pista e non riuscirono a classificarsi. Fitch, che stava guardando la gara, pensò: «Li ho ammazzati tutti». Dopo l’incidente, però, i giamaicani uscirono dal bob illesi e passarono il traguardo a piedi tra l’incitamento del pubblico. L’ammirazione suscitata in quel momento per averci comunque provato è considerata ancora oggi dal CIO come uno dei momenti più emblematici dello spirito olimpico.
Da Calgary la squadra giamaicana divenne un fenomeno nel suo genere e ottenne risultati sempre migliori. Nel 1994 riuscì ad arrivare quattordicesima alle Olimpiadi di Lillehammer. Da lì il movimento si strutturò in una vera federazione, fu protagonista di spot commerciali, anche in Italia, e partecipò a quattro edizioni consecutive dei Giochi, spesso servendosi di raccolte fondi aiutate dalla popolarità del movimento. Dopo la mancata qualificazione del 2006, la Giamaica si ripresentò nel 2010 a Vancouver, ma nello ski cross con Errol Kerr, sciatore nato a New York da padre giamaicano e madre statunitense. La squadra di bob ritornò nel 2014 a Sochi.
Quattro anni fa, nelle gare di bob a Pyeongchang, esordì una coppia femminile formata dalle ex velociste Jazmine Fenlator e Carrie Russell, la cui storia dimostrò come l’esperimento iniziato negli anni Ottanta fosse diventato qualcosa di definitivo e influente anche nelle nuove generazioni. Russell, per esempio, era ritenuta una delle velociste più promettenti della sua generazione, ma fu fermata da frequenti problemi fisici e ripiegò sul bob, dove potè continuare la sua carriera sportiva.
Prima dell’ultima edizione dei Giochi, il presidente della federazione di bob e skeleton giamaicano, quel Christian Stokes chiamato alle Olimpiadi di Calgary all’ultimo minuto, disse: «Non mi concentro sulla prestazione del bob giamaicano, ma sull’idea del bob giamaicano. Una visione, un sogno in mezzo a circostanze molto avverse. Ma la forza di quel sogno è così potente da mettere tutte le cose al loro posto».
Ventiquattro anni dopo l’ultima partecipazione, l’iconica squadra maschile del bob a quattro ritornerà a gareggiare ai Giochi di Pechino, nel corso dei quali un altro giamaicano, il trentottenne Benjamin Alexander, aggiungerà un altro pezzo a questa storia. Da ex analista finanziario e apprezzato dj con una lunga lista di esibizioni in ogni parte del mondo, Alexander ha iniziato a sciare soltanto sei anni fa, con l’intenzione di qualificarsi alle Olimpiadi dopo aver conosciuto la storia della squadra di bob del 1988. Negli ultimi anni ha imparato l’indispensabile tra Austria, Svizzera e Canada, è riuscito a rientrare tra i qualificati e gareggerà nello slalom gigante, anche se per uno dei preparatori che lo hanno seguito, lo sciatore americano Gordon Gray, la sua tecnica è ancora terribile.