L’affollata situazione della sinistra francese
È piuttosto assente dal dibattito e tra i tanti candidati nessuno sembra oggi in grado di superare il 10 per cento: nemmeno l'ex ministra Taubira, a cui in molti guardano con favore
Mancano circa tre mesi alle presidenziali francesi e le candidature ufficiali si conosceranno solo a marzo. In alcune aree politiche i posizionamenti sono però già chiari. L’attuale presidente Emmanuel Macron, che non si è ancora dichiarato pubblicamente ma che è praticamente certo lo farà, si confronterà con Valérie Pécresse di Les Républicains (LR), il partito un tempo guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy e con due candidati di estrema destra: Marine Le Pen di Rassemblement National ed Éric Zemmour, popolarissimo giornalista e conduttore appena condannato per incitamento all’odio.
A sinistra, le cose sono invece parecchio complicate e, soprattutto, affollate. «Nessuno immaginava davvero una grande unione della sinistra – a parte qualche sognatore – ma chi poteva prevedere che non sarebbe bastata una sola mano per contare tutti i candidati?», ha scritto pochi giorni fa il quotidiano francese Libération. In più, nessuno o nessuna di loro sembra oggi in grado di superare il 10 per cento, stando ai sondaggi: nemmeno l’ex ministra Christiane Taubira che ha dichiarato da poco di voler partecipare e che rappresenta, per alcune e alcuni, anche la candidata più solida e quella con più possibilità di ottenere un certo seguito tra gli elettori.
A fine gennaio ci sarà inoltre una “primaria popolare” organizzata da un gruppo di cittadini e militanti a cui la maggior parte dei candidati e delle candidate non è entusiasta di partecipare.
In generale, la sinistra è assente dal dibattito: non sembra capace di imporre né la propria presenza né i propri temi più tradizionali.
Christiane Taubira
I giornali francesi, e anche quelli internazionali, hanno cominciato a occuparsi con più attenzione della situazione della sinistra francese in vista delle presidenziali da quando, sabato 15 gennaio a Lione, l’ex ministra della Giustizia Christiane Taubira ha annunciato la sua candidatura. Parlando dal quartiere della Croix-Rousse, che nel XIX secolo divenne il simbolo della lotta degli operai, ha detto: «Dobbiamo rinvigorire la nostra democrazia, riabilitando il Parlamento, controllando l’azione del governo e assicurando la reale separazione dei poteri. (…) Per un governo che ci rispetti e che rispetti voi (…), mi candido alla presidenza della Repubblica».
Taubira ha dichiarato che «l’unica possibilità» della vittoria della sinistra «è l’unione» e ha anche parlato delle priorità del suo progetto. Ha citato i giovani e parlato della necessità, per gli universitari, di un assegno da 800 euro al mese per cinque anni; ha fatto riferimento alla giustizia sociale, all’aumento del salario minimo e alle tasse sui patrimoni superiori ai 10 milioni di euro; ha dedicato parte del discorso all’ecologia, che ha definito «l’affare del secolo», e alla scuola.
Nata in una famiglia numerosa della Guyana francese, Taubira, che ora ha 69 anni, è stata cresciuta da una madre single: «Sono nata donna, nera, povera, che inizio di vita!», ha dichiarato. Dopo aver cominciato a fare politica nei movimenti per la decolonizzazione, è stata eletta all’Assemblea nazionale nel 1993 e poi al Parlamento europeo. Nel 2002, si candidò alle presidenziali per il Partito radicale di Sinistra e ottenne solo il 2,32 per cento dei voti, contribuendo a indebolire il socialista Lionel Jospin che arrivò terzo a meno di un punto percentuale da Jean-Marie Le Pen, il candidato di estrema destra che finì al ballottaggio con il candidato di destra Jacques Chirac, che poi vinse.
Come ministra della Giustizia nel governo socialista di Hollande, Taubira ha ottenuto una delle più grandi vittorie della sinistra francese degli ultimi anni: il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ha anche avuto un ruolo importante nel far approvare la legge che riconosce la tratta e la schiavitù come crimini contro l’umanità, ma nel 2016 si è allontanata dalla politica in dissenso con una parte della sinistra sulla riforma che prevedeva la revoca della cittadinanza per i condannati per terrorismo.
Tra gli elettori e le elettrici di sinistra l’ex ministra è molto popolare, ed è considerata una politica autorevole. Taubira è dunque vista ed è stata raccontata dai media e dagli osservatori come la netta favorita all’interno di quest’area politica e la sua candidatura, ha scritto Politico, sembra rappresentare l’occasione di ottenere una candidatura unica alle presidenziali.
Ma nonostante i giudizi positivi nei suoi confronti, per molti commentatori l’ex ministra rappresenta però solo una candidata in più per la sinistra, dove almeno altri otto stanno facendo campagna elettorale per spartirsi circa il 25 per cento degli elettori.
L’accoglienza della candidatura di Taubira tra i principali candidati della sinistra non è stata molto buona. Anne Hidalgo, sindaca di Parigi del Partito Socialista, ha reagito ad esempio dicendo che contribuirà a frammentare ulteriormente il voto. E Jean-Luc Mélenchon (del partito di sinistra radicale France Insoumise) ha replicato a distanza a Taubira dicendo che «non è l’unione di cui si ha bisogno», ma «mobilitazione» e «unità popolare», rimarcando le differenze tra lui e gli altri candidati.
Primaria popolare
In questa situazione di estrema frammentazione, dal 27 al 30 gennaio si svolgerà la cosiddetta “primaria popolare”, l’iniziativa di un gruppo di cittadini e militanti per scegliere un candidato unico alle presidenziali o comunque per misurare il sostegno di chi ha deciso di presentarsi.
Si voterà online e potranno farlo solo le persone che si sono iscritte: c’è tempo fino al 23 gennaio, ma per ora sono 230 mila, cifra ben superiore a quella delle primarie della destra e dei verdi. Il 15 gennaio, gli organizzatori dell’iniziativa hanno comunicato l’elenco definitivo dei sette candidati: Taubira, Anne Hidalgo, Jean-Luc Mélenchon, il candidato ambientalista Yannick Jadot, l’attivista ambientalista Anna Agueb-Porterie, che ha 24 anni ed è la più giovane, l’eurodeputato Pierre Larrouturou, e l’esperta di salute Charlotte Marchandise.
La modalità con cui si svolgerà la votazione è stata molto raccontata dai giornali francesi: sarà infatti a giudizio preferenziale. La domanda che verrà posta è la seguente: «Per far vincere l’ecologia e la giustizia sociale, questi candidati sono». E gli elettori, piuttosto che scegliere un candidato ed escludere gli altri, potranno completare la frase dando a ciascuno un parere tra cinque: “molto buono”, “buono”, “abbastanza buono”, “passabile”, “insufficiente”. Per vincere bisogna ottenere la migliore menzione mediana. Semplificando: quella su cui la maggioranza dei votanti è d’accordo.
Nonostante il successo di iscrizioni e nonostante un recente sondaggio indichi che l’85 per cento dell’elettorato di sinistra voglia un unico nome, praticamente nessuno dei principali candidati accetta la «primaria popolare».
L’unica è Taubira che ha promesso che ne rispetterà l’esito: dovrebbe dunque restare candidata solo se risulterà vincitrice.
Jean-Luc Mélenchon ha dichiarato che le primarie non sono un suo problema: «Lottate tra voi e lasciatemi in pace»; Hidalgo, che in un primo tempo sembrava favorevole, ha poi cambiato idea e ora parteciperà, ma con poca convinzione: e Yannick Jadot (candidato dei Verdi che ha già vinto le primarie del suo partito) ripete da tempo che lui non ha intenzione di prestare attenzione al risultato. Jadot ha poi timore che le primarie lo costringano in un secondo tempo a sostenere il vincitore o la vincitrice con posizioni più radicali delle sue.
I sondaggi dicono per ora che il preferito, per rappresentare tutta la sinistra, è il leader della France Insoumise (33 per cento), seguito da Christiane Taubira, Yannick Jadot e Anne Hidalgo.
I sondaggi generali, invece, non sono rassicuranti per nessuno. Il favorito è di nuovo Jean-Luc Mélenchon ma con appena il 9 per cento. E Anne Hidalgo, esponente di uno dei principali partiti della tradizione politica francese, il Partito Socialista, è data intorno al 4 per cento, cioè al di sotto anche della soglia minima per ottenere il rimborso delle spese per la campagna elettorale da parte dello stato.
I problemi della sinistra
«La sinistra è un po’ ovunque e praticamente da nessuna parte», ha scritto in un recente articolo Le Monde raccontando gli appuntamenti elettorali di alcuni candidati in giro per la Francia. A sua volta, l’Economist si è chiesto che fine abbia fatto la sinistra francese un tempo così potente. Un decennio fa controllava la presidenza, entrambe le camere del parlamento e la maggior parte delle regioni e delle grandi città. Hidalgo è una sindaca rispettata a livello internazionale e i Verdi, con cui spesso i socialisti governano, hanno un candidato considerato presentabile, Yannick Jadot.
Eppure né Hidalgo né Jadot, né alcuno dei candidati più a sinistra, incluso Jean-Luc Mélenchon, attualmente hanno possibilità di arrivare al ballottaggio. Perché? Ci sono diversi motivi.
Intanto, spiega l’Economist, la sinistra francese tradizionale ha perso il proprio elettorato di base, cioè la classe operaia che invece sostiene soprattutto la candidata di estrema destra Marine Le Pen, e i suoi elettori sono ora in gran parte abitanti delle città e dipendenti del settore pubblico. Questo campo è troppo ristretto per arrivare facilmente a una vittoria. Migliorare Parigi per i ciclisti, che è uno dei problemi principali di Hidalgo, potrebbe essere apprezzato in centro città o nelle città governate dai Verdi, come Bordeaux. Ma altrove, gli elettori dipendono dalle loro auto per spostarsi e sono risentiti «per essere fatti sentire in colpa per questo».
Secondo: la Francia si è spostata a destra. Oggi il 37 per cento degli elettori si dice di destra, in aumento di quattro punti rispetto al 2017. E nonostante lo stesso Macron, nel corso del suo mandato, si sia spostato progressivamente più a destra, dopo la pandemia gli elettori di centro o della sinistra moderata sono diventati meno ostili nei suoi confronti, secondo gli osservatori. Chloé Morin, della Fondazione Jean-Jaurès, un think tank francese associato al Partito Socialista, ha detto: «La debolezza della sinistra significa che gli elettori di centrosinistra stanno pensando che potrebbero anche votare Macron per tenere fuori la destra e l’estrema destra».
La sinistra, ha poi scritto Le Monde in un editoriale di inizio gennaio, si comporta solo come se dovesse difendere le proprie piccole quote di mercato e senza alcuna credibilità di governo: Mélenchon continua a incarnare una figura di opposizione, Yannick Jadot lotta per dare credibilità a un’ecologia di governo, e la famiglia socialdemocratica cerca di non scomparire. Dimentica, la sinistra, dice Le Monde, «di aver perso nel 2017 ottenendo poco più del 6 per cento dei voti espressi. Si rifiuta di riconoscere che parte del suo elettorato è andata a Emmanuel Macron e gli rimane fedele. Non vuole ammettere che l’implosione delle sinistre avvenuta nel quinquennio precedente non sia stata solo responsabilità di François Hollande. Agisce con colpevole leggerezza». Il risultato è che «la sinistra non rassicura. Non dà la sensazione di essere pronta a governare o di volerlo fare».
L’ultimo problema, per la sinistra, è infine che i candidati sono troppi: e se nessuno di loro accetterà l’esito della primaria popolare contribuirà a frammentare il voto. «Troppe teste per un palco piccolo», dice Libération. Ma è anche vero, aggiunge, che le differenze (nella sostanza e nella forma) esistono e sono profonde.
Per quanto riguarda il nucleare, ad esempio, il Partito Socialista ha una posizione ambigua, mentre i Verdi e La France Insoumise sono contrari. Al referendum francese sulla Costituzione Europea del 2005, che chiedeva se la Francia avrebbe dovuto ratificare la Costituzione Europea, vinse il “no”: Mélenchon, l’area più di sinistra del Partito Socialista e anche Christiane Taubira erano contrari al trattato, Hidalgo e i Verdi erano favorevoli. C’è poi la questione della NATO: la France Insoumise vorrebbe uscire, gli altri no. Un programma comune e credibile, per l’unione della sinistra, sembra dunque molto complicato da realizzarsi.
Gli stessi sondaggi dicono che, al secondo turno, gli elettori di Mélenchon voterebbero per il verde Jadot ma non per la socialista Hidalgo, e che gli elettori di Jadot e Hidalgo voterebbero più per Macron che per Mélenchon.