Il libro da cui è tratto “Bambi” è ancora più cupo del film
Fu scritto nel 1923 da un autore ungherese: descriveva la violenza tra animali come metafora della miseria umana
Una delle morti più traumatiche raccontate nei film Disney è senz’altro quella che si vede in Bambi, quando il piccolo cerbiatto che dà il nome al film resta da solo sotto la neve dopo che la madre, si intuisce da uno sparo, viene uccisa da un cacciatore e non compare più. Per via di questa scena, il famoso scrittore di romanzi horror Stephen King ha descritto il celebre film di animazione del 1942 come «il primo film horror che abbia mai visto». Come ha scritto il New Yorker, tuttavia, il libro da cui è tratto Bambi è ancora più cupo: diversamente dal resto del film, che comunque racconta una storia a lieto fine, l’opera originale esprime una visione piuttosto tetra e pessimista della condizione umana, che a molti ha ricordato la persecuzione degli ebrei da parte della Germania nazista.
Bambi è uno dei cartoni animati più celebri di Disney e, anche se non ebbe immediatamente un grande successo, nei decenni successivi alla sua uscita continuò a essere visto da generazioni di bambine e bambini in tutto il mondo. A differenza di altri film di Disney non è tratto da una fiaba, bensì da un libro degli anni Venti la cui storia è strettamente intrecciata a quella dell’autore.
Nel film animato però mancano molti elementi che c’erano nel libro, anche per colpa della prima traduzione inglese, cioè quella che aveva ispirato la produzione del film e che fino a poco fa era l’unica disponibile a causa di una lunga disputa sui diritti d’autore.
Bambi è tratto dall’omonimo libro del 1923 scritto da Felix Salten, pseudonimo di Siegmund Salzmann, nato nel 1869 in Ungheria e cresciuto a Vienna, in Austria. Il libro rese Salten molto famoso in Europa e fu tradotto in inglese nel 1928.
«Il lato oscuro di Bambi c’è sempre stato», ha detto in un’intervista al Guardian Jack Zipes, professore emerito di Tedesco e Letterature comparate dell’università del Minnesota, che ha curato la nuova traduzione del libro; il problema è che quello che succedeva nella versione originale è stato smorzato, «nascosto» o trasformato al punto che Disney «lo ha reso un film patetico, quasi stupido».
Nella sua introduzione alla nuova traduzione, pubblicata il 18 gennaio per Princeton Press, Zipes ha osservato che sia il primo traduttore – Whittaker Chambers – sia Walt Disney non avevano capito che il libro di Salten aveva un significato molto diverso. I critici ritengono che la prima traduzione inglese di Bambi abbia dato meno attenzione agli aspetti più crudi e violenti raccontati nel libro, e di conseguenza anche il film Disney finì con l’essere una storia sugli animali molto più armoniosa, edulcorata e banale rispetto all’idea originale.
Salten veniva da una famiglia di rabbini ortodossi, era un cacciatore appassionato e nelle sue intenzioni Bambi doveva essere una sorta di metafora della condizione umana: una specie di romanzo di formazione che però insegnasse anche a chi lo leggeva in maniera piuttosto ingenua quanto potesse essere piena di violenza la natura.
Secondo la biografia scritta da Beverley Driver Eddy, citata dal New Yorker, da ragazzo Salten aveva cominciato a lavorare in una compagnia assicurativa per aiutare la famiglia con le spese di casa; nel frattempo si era avvicinato al movimento letterario della Giovane Vienna (Jung-Wien), influenzato dal simbolismo e da varie forme di sperimentazione, e per mantenersi scriveva di tutto: saggi, poesie, romanzi, recensioni di libri e opere teatrali, ma anche guide di viaggio, testi pubblicitari e sceneggiature. Era una persona promiscua, aveva rapporti occasionali con molte donne e nonostante le difficoltà economiche che lo spingevano a scrivere di qualsiasi cosa si concedeva uno stile di vita lussuoso e accumulava debiti che poi ripagava con metodi discutibili.
Nonostante avesse sempre negato di averlo scritto, accademici e critici letterari gli attribuirono in maniera piuttosto unanime anche un libro pedopornografico, Josefine Mutzenbacher ovvero La storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata, un memoir di fantasia pubblicato in forma anonima nel 1906 su una prostituta che aveva cominciato ad avere esperienze sessuali quando aveva cinque anni.
La protagonista del libro del 1906 perdeva la madre da giovane, come Bambi. In entrambe le opere inoltre Salten parla di storie ai margini della società, molto lontane dalla borghesia viennese: da un lato, quella di una ragazza che appartiene a una delle fasce di popolazione più disprezzate dalla gente comune, dall’altro quella degli animali e della natura, temi presenti fin dai suoi primi lavori.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, visto che lui stesso era un cacciatore, Salten disprezzava i bracconieri e chi cacciava solo per il piacere di farlo, ma il vero obiettivo di Bambi non era criticare la caccia. Salten voleva piuttosto raccontare la dura condizione degli animali in natura e la loro lotta alla sopravvivenza di fronte ai pericoli e alle minacce esterne, in particolare la caccia da parte dell’uomo; allo stesso tempo, voleva anche raccontare la violenza che si consuma tra le diverse specie di animali, che devono fare i conti le une con le altre pur di sopravvivere.
Per semplificare molto, nel film Disney Bambi stringe amicizia con un coniglietto chiamato Tamburino e una puzzola chiamata Fiore, e cresce sotto la guida del Grande Principe della foresta, cioè il saggio e rispettato capo dei cervi che presidiano la foresta e la proteggono dai pericoli esterni (nonché padre di Bambi, che però non conosce la sua identità). Bambi – che nel libro originale era un capriolo, ma nel film è stato trasformato in un cervo dalla coda bianca perché fosse più familiare al pubblico americano – si innamora poi della giovane cerbiatta Faline, con cui dopo aver superato una serie di avventure ha due gemelli; il film si conclude con Bambi che si prepara a diventare il prossimo Grande Principe della foresta.
A parte il pericolo di un incendio e l’uccisione della madre di Bambi, che avviene quasi subito, quella del film Disney è una storia in cui tutti gli animali sono in armonia fra di loro e l’unica grande minaccia è quella degli umani e dei loro cani da caccia.
Nel libro di Salten invece gli animali sono una grande minaccia gli uni per gli altri e non possono sfuggire alle violenze e alla persecuzione delle varie specie che abitano nella foresta. Lo si capisce da alcune scene che nel film infatti non vengono citate: nel giro di due pagine, per esempio, una volpe uccide in maniera cruenta un fagiano, un furetto ferisce a morte uno scoiattolo, mentre il figlio di Tamburino viene attaccato da uno stormo di corvi. Nel racconto di Salten di fatto gli animali sono costretti a dover rimanere continuamente in allerta per proteggersi dalla minaccia dell’uomo ma anche da quella degli altri animali, semplicemente per sopravvivere.
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Un altro elemento che nel film è del tutto assente è il personaggio di Gobo, il fratello gemello di Faline, che peraltro è la cugina di Bambi (cosa che nel film non è specificata, per evitare di riferirsi esplicitamente all’incesto).
Gobo è un cerbiatto debole e malaticcio che non riesce a scappare dalla stessa battuta di caccia in cui viene uccisa la mamma di Bambi; gli animali del bosco pensano che sia morto, mentre in realtà viene salvato da un umano, che poi lo accudisce con la sua famiglia. Quando ritorna nel bosco, Gobo racconta agli altri animali come sia gentile e premurosa la famiglia che si è presa cura di lui, convinto che il suo affetto nei loro confronti sia reciproco: gli altri però lo mettono in guardia dalle intenzioni dei cacciatori, sostenendo che sia uno sciocco a pensare che gli umani siano buoni solo perché si sono comportati bene con lui.
Il New Yorker osserva che la storia di Gobo ricorda le vicende dei prigionieri che finiscono col difendere chi li ha cacciati e imprigionati, e che per questo vengono considerati ingenui oppure persino disprezzati (Salten scrive tra l’altro che Bambi «si vergognava di Gobo senza neanche sapere perché»). Serve insomma a sottolineare il senso di inevitabile pericolo nelle relazioni tra gli animali e l’uomo.
Alla fine del libro, peraltro, il Grande Principe accompagna Bambi, ormai adulto, a vedere un uomo morto che era stato ucciso a sua volta da un altro uomo: una scena che un po’ a sorpresa Walt Disney aveva voluto inserire nel film e che però era stata tagliata per via della reazione negativa del pubblico durante una proiezione di prova.
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Ci sono poi dei momenti che potrebbero essere definiti esistenzialisti, come quello in cui due foglie su un albero si domandano perché debbano cadere a terra e cosa succede quando questo accade. Secondo Zipes, le foglie parlano di alcune tra le questioni più cupe che affliggono tutti gli umani, vale a dire che «non sappiamo cosa ci succede quando moriamo e non sappiamo perché dobbiamo morire».
Al contrario del film, il libro si conclude senza un finale positivo: un po’ come era accaduto dopo l’uccisione della madre, quando il Grande Principe della foresta aveva detto a Bambi che doveva «imparare a vivere solo», il protagonista «viene lasciato solo, completamente solo», ha commentato Zipes.
Per via di tutte queste allegorie, la versione originale di Bambi fu ampiamente considerata una metafora della persecuzione degli ebrei, tanto che venne vietata dalla Germania nazista.
Alcuni critici la considerano un riferimento all’antisemitismo che si stava diffondendo in Europa all’inizio del Novecento, mentre altri la vedono come una critica più generale ai totalitarismi e alla brutalità dei combattimenti che erano stati visti durante la Prima guerra mondiale. Altri ancora ritengono che la parabola della condizione degli ebrei rappresentata dalla condizione degli animali sia in realtà la parabola della condizione dell’uomo, che se vuole proteggersi dai pericoli dei propri simili è costretto a fuggire e a isolarsi.
Mentre nel film Disney i personaggi sono «rincitrulluliti» per via dell’amore, inoltre, è stato notato che nel libro ci sono anche vari elementi di misoginia. Per esempio, da giovane Faline è vivace e coraggiosa ma poi diventa più timida e “piagnucolosa”, tanto che il Grande Principe cerca di convincere Bambi a ignorare le sue richieste d’aiuto. In generale, osserva il New Yorker, il percorso di Bambi non va dall’età dell’innocenza alla saggezza, ma piuttosto verso una lotta per l’esistenza e un senso di isolamento sempre più ampio.
La morale che sembra emergere alla fine del libro è che tutti gli animali della foresta sono semplicemente «nati per essere uccisi»: sanno che saranno cacciati e che «non avranno scelta», conclude Zipes.
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