“Scream” riparte da “Scream”
Più di venticinque anni fa “Scream” cambiò le carte in tavola agli horror, e ora ne è arrivato uno nuovo, con lo stesso titolo, che ci riprova
Scream, il quinto film della serie iniziata nel 1996 con Scream, è nei cinema da qualche giorno, in Italia e in gran parte del mondo. Come ha notato l’Hollywood Reporter, sta ricevendo buone recensioni, specie se si considera che il genere a cui appartiene – i cosiddetti film slasher, gli horror con assassini spesso mascherati, che uccidono una dopo l’altra vittime spesso adolescenti, in genere usando qualcosa di affilato – di solito non piacciono granché ai critici. Negli Stati Uniti è stato il film più visto del weekend e, come ha scritto Variety, «rivisita una serie horror che sembrava avesse perso i colpi».
Come ormai succede di frequente nel cinema (giusto pochi giorni fa con Matrix Resurrections) lo Scream del 2022 è il nuovo capitolo di una serie cinematografica che prova ad aggrapparsi al primo film di quella serie per replicarne il successo. In questo caso, addirittura con un titolo identico. Nel caso dello Scream del 2022 significa riprendere quello che rese lo Scream del 1996 un film capace di rilanciare il genere horror in un momento di stallo e disinteresse, grazie a uno spinto citazionismo cinematografico e a un (allora) originale approccio che unì paura e divertimento.
Nella prima metà degli anni Novanta, prima del primo Scream, il genere horror si alternava tra sequel di film che avevano avuto successo negli anni Ottanta ma la cui vena si stava inevitabilmente esaurendo e nuove iterazioni di vecchie formule, spesso proposte in film direttamente destinati alla visione domestica, quindi senza passare dai cinema, con attori pressoché sconosciuti e con budget risicati. Fino al 1991 c’erano stati per esempio cinque Halloween, sei Nightmare e ben otto Venerdì 13: tutti film diventati parte della cultura popolare, di cui moltissimi spettatori sapevano almeno qualche nome e qualcosa sulla trama, e di cui quasi ogni nuovo film slasher sembrava solo una brutta copia.
Un horror che si era fatto notare era stato nel 1994 Nightmare – Nuovo incubo in cui il regista Wes Craven (già regista del primissimo Nightmare) si era inventato una trama meta-cinematografica in cui Freddy Krueger, il terrificante serial killer protagonista della serie, usciva dalla finzione filmica e invadeva la vita di chi aveva fatto film su di lui. Piacque per la sua originalità ma non incassò granché.
Poco dopo, Craven si mise al lavoro su quello che sarebbe poi diventato Scream, un film tutto nuovo in cui l’aspetto meta-cinematografico era applicato a svariati horror, in cui fin dai primi minuti si faceva diretta menzione di Nightmare, Halloween o Venerdì 13. Scritto da Kevin Williamson (in seguito ideatore di Dawson’s Creek), già nelle sue prime famosissime scene Scream faceva capire di essere diverso, per come provava a destrutturare il sottogenere a cui apparteneva e perché non fingeva, come spesso capitava nei film, che i suoi personaggi vivessero in una realtà in cui non c’erano i film.
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In una sorta di citazione del fatto che in Psyco colei che sembra essere la protagonista venga uccisa a meno di un’ora dall’inizio, Scream iniziò con Drew Barrymore –un’attrice famosa e nota per essere stata «una delle attrici bambine più amate nella storia del cinema» – e la fece morire dopo pochi minuti. Come ha scritto The Ringer, erano ancora tempi in cui il fatto che un film horror avesse scelto un’attrice nota come Barrymore come presunta protagonista «sembrava offrirle una sorta di scudo protettivo» che le permettesse di non essere la prima vittima del serial killer di turno.
Peraltro, il personaggio di Barrymore muore – al termine di una scena sconsigliata a chi non gradisce vedere sangue e lame affilate – perché non conosce abbastanza bene gli horror degli anni precedenti e non sa rispondere a domande dirette sulle loro trame.
Durante Scream – in Italia noto anche come Scream: Chi urla muore – gli altri personaggi, intenti a salvarsi la vita e a scoprire chi possa essere il serial killer che li minaccia – parlano spesso di cliché, regole e convenzioni dei film horror: sanno cosa è sconsigliato fare per non mettersi in pericolo, eppure ci finiscono. Allo stesso modo, il film a volte rispetta certe convenzioni, altre le ribalta.
In scene e contesti che sono a tutti gli effetti da film slasher: come ha scritto il New York Times, «Scream parla di horror, ma – e questo è un punto cruciale – è esso stesso un horror». Non è solo una satira divertita o un esercizio di citazionismo, «è un’esemplificazione del genere a cui appartiene, capace di usare con maestria certe consuetudini». Oltre a far ridere con la paura, Scream fa proprio paura.
Un po’ come i film di Quentin Tarantino (Le Iene è del 1992 e Pulp Fiction del 1994), anche Scream è stato descritto come un film fatto «dai fan per i fan». Oltre a Craven, anche gran parte della troupe era fatta da professionisti che negli anni precedenti erano stati spettatori appassionati, che erano cresciuti vedendo quei film che Scream citava, omaggiandoli senza deriderli. «Fu una delle prime volte» ha scritto Movieweb, «in cui gli spettatori che amavano gli horror si rividero dall’altra parte dello schermo, senza doversi preoccupare di urlare nel vuoto a qualche personaggio di non entrare in quella stanza buia, perché a farlo ci pensava già il film, con un vistoso occhiolino». Come dice uno dei protagonisti:
«Ci sono delle regole precise che devono essere rispettate se si vuole sopravvivere in un horror, va bene? E vado a incominciare. Numero uno: non si deve mai fare sesso. Mai! No! È proibito! È proibito! Sesso uguale morte! Va bene?! Numero due: mai ubriacarsi o drogarsi. No, perché è il peccato, peccato per estensione della regola numero uno. E numero tre: mai, mai e poi mai, in nessun caso dire: “torno subito”, perché non si torna più!»
Scream ebbe inoltre successo perché il suo assassino mascherato (chi conosce il film può adattare le precedenti parole in altro modo), era una persona normale, propensa all’errore, goffa, che già nella prima scena poco ci manca che venga scoperto e non riesca a uccidere la vittima designata interpretata da Barrymore.
In tutti questi aspetti Scream aveva quella che, nel celebrarne il 25° anno dall’uscita, il New York Times ha definito «una sensibilità ideale per gli smaliziati e postmoderni anni Novanta, il tutto con un’aurea di vaga sofisticazione».
Anche grazie a un cast in cui Barrymore non era l’unico volto noto, Scream, che era costato 15 milioni di dollari, incassò più di dieci volte tanto. Visto quel successo, ci si mise subito al lavoro su un sequel, di nuovo diretto da Craven, che coerentemente con il primo film provò a giocare con le aspettative di quel che doveva essere il sequel di un film horror. Uscì nel 1997 e andò altrettanto bene per incassi, seppur lasciando molto meno il segno rispetto al primo. Andarono invece peggio il terzo e il quarto, usciti nel 2000 e nel 2011 e ancora con Craven come regista.
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Mentre Scream perdeva mordente, molti altri film beneficiarono di un periodo a cui più di un commentatore fa riferimento come “post-Scream”. Il New York Times ne ha parlato come di un periodo fatto di «film slasher piuttosto simili tra loro, tutti con attori e attrici che arrivavano dai teen drama e con un’attitudine auto-referenziale che diceva che il film stesso voleva stare al gioco». Tra gli altri, successe con Urban Legend, (in cui l’attore che era stato Pacey in Dawson’s Creek muore dopo aver ascoltato in radio “I Don’t Want to Wait”, sigla della serie), con So cosa hai fatto (sceneggiato da Williamson) e The Faculty.
Si può inoltre argomentare che perfino Buffy l’ammazzavampiri debba molto a Scream. Per non parlare di Scary Movie e di tutti i suoi seguiti, che tolsero l’horror e aggiunsero la comicità demenziale, tentando tra le altre cose la parodia di Scream. Tra l’altro, il titolo di lavorazione di Scream era proprio il didascalico Scary Movie. Secondo The Ringer, è addirittura affascinante «come, a partire da Scream 3, la serie iniziò quasi a rincorrersi con la serie di Scary Movie».
Sta di fatto che negli anni Scream passò di moda, anche perché si affermarono horror di altro sottogenere: quelli alla The Ring, quelli simili a Paranormal Activity e The Blair Witch Project, quelli noti come torture porn (quindi i Saw e gli Hostel) e, più di recente, film come The Witch o Get Out. «Fu quasi come se, ragionando sul suo stile e sulle sue convenzioni, Scream avesse creato un nuovo tipo di film horror e al tempo stesso lo avesse concluso», ha scritto il New York Times.
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Più in generale, Scream contribuì ad aprire la strada a un approccio cinematografico e seriale in cui spesso si può quasi dare per scontato che i protagonisti conoscano film e serie tv tanto quanto molti spettatori o che i supereroi vivano in un mondo in cui esistono film sui supereroi e in cui è ormai quasi una precondizione che chi faccia certi film debba prima di tutto essere fan di quei film.
Poi, dopo più di dieci anni dal quarto Scream, è arrivato il quinto, il primo non diretto da Craven, morto nel 2015. Un film che anziché chiamarsi Scream 5 o magari addirittura 5cream, si chiama proprio come il primo, e di cui molti parlano come di un requel, cioè una via di mezzo tra il sequel (un seguito, che porta avanti una storia già nota) e il reboot (una sorta di ripartenza di una vecchia saga, però con nuovi personaggi). Nello specifico, prova a farlo con una storia in cui un nuovo Ghostface, l’assassino mascherato, torna a Woodsbor, la città di finzione in cui sono ambientati i film, e minaccia nuovi adolescenti, che sono però aiutati anche da qualche vecchia conoscenza degli appassionati della saga. Tra le altre cose, nel suo continuare a essere parecchio meta-cinematografico, il nuovo Scream ha a che fare con Stab (in italiano Squartati) un finto film-nel-film con cui si apriva Scream 2.