La valanga di Rigopiano, cinque anni fa
Si abbatté contro un hotel sull'Appennino abruzzese, provocando la morte di 29 persone: il processo sui ritardi nei soccorsi e sulla sottovalutazione del pericolo non è ancora cominciato
Sono passati cinque anni da quando, nel pomeriggio del 18 gennaio 2017, una valanga di neve, detriti e tronchi d’albero colpì l’Hotel Rigopiano, nel comune di Farindola, in provincia di Pescara. Fu come, venne scritto in una relazione dei carabinieri forestali, se 4mila tir a pieno carico si fossero abbattuti sull’edificio di tre piani. L’impatto fu così violento che l’albergo ruotò di circa 13° e fu spostato di qualche decina di metri. Morirono 29 persone delle 40 presenti all’interno.
Il processo che dovrà stabilire eventuali responsabilità legate sia al luogo di costruzione dell’hotel sia al presunto ritardo dei soccorsi deve ancora cominciare.
L’Hotel Rigopiano-Gran Sasso Resort si trovava a 1.200 metri d’altezza. A partire dal 15 gennaio una serie di nevicate molto intense aveva colpito tutta la zona: erano caduti circa 3,6 metri di neve. L’unica strada che collegava l’albergo al paese di Farindola era impraticabile. Già alle 7 del mattino la Prefettura di Pescara sapeva che Rigopiano era isolata, l’informazione era arrivata da chi era fuori a pulire la strada alle 3 di notte: aveva comunicato che per raggiungere l’hotel si sarebbe dovuto impiegare una turbina.
Quel giorno, tra le 9.25 e le 13.33 si verificarono quattro scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5 a una distanza di circa 45 chilometri dall’hotel. Gli ospiti dell’albergo erano molto spaventati, volevano andare via e si erano radunati nella hall, con i bagagli, sperando che la strada fosse liberata al più presto. Alle 14 di quel giorno l’amministratore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, che si trovava a Pescara ed era stato avvertito dal gestore dell’hotel, mandò una mail al sindaco di Farindola, alla polizia provinciale, al prefetto di Pescara e al presidente della Provincia. Questo è ciò che scrisse:
«Vi comunichiamo che a causa degli ultimi eventi la situazione è diventata preoccupante. In contrada Rigopiano ci sono circa 2 metri di neve e nella nostra struttura al momento ci sono 12 camere occupate (oltre al personale). Il gasolio per alimentare il gruppo elettrogeno dovrebbe bastare fino a domani, data in cui ci auguriamo che il fornitore possa effettuare la consegna. I telefoni invece sono fuori servizio. I clienti sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all’aperto. Abbiamo cercato di fare il possibile per tranquillizzarli ma, non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina. Con le pale e il nostro mezzo siamo riusciti a pulire il viale d’accesso, dal cancello fino alla Ss42. Consapevoli delle difficoltà generali, chiediamo di predisporre un intervento al riguardo. Certi della vostra comprensione, restiamo in attesa di un cenno di riscontro».
La valanga, classificata come valanga mista di neve, detriti e tronchi d’albero, si staccò dal monte Siella, a quota 1.969, tra le 16.45 e le 16.49. Percorse in pochi secondi la vallata di 2 chilometri colpendo violentemente l’albergo e disintegrando i piani superiori. Secondo uno studio condotto da INGV, Politecnico di Torino, WSL Institute for Snow and Avalanche Research e dall’Osservatorio Geofisico di Monaco e pubblicato su Nature, si staccarono 103mila metri cubi di neve: la massa totale era superiore alle 19mila tonnellate.
La valanga piombò sull’albergo con una velocità d’impatto di 28 metri al secondo, cioè 100 km all’ora. I carabinieri spiegarono, a quanto riportò l’Adnkronos, che il fronte del distacco della valanga aveva avuto una larghezza di 500 metri, una lunghezza di 250 e un’altezza di 2,5 metri.
Fu Giampiero Parete, chef in un ristorante di Silvi (provincia di Teramo) e ospite dell’albergo per qualche giorno di vacanza assieme alla moglie e ai due figli, a dare l’allarme. Era uscito dall’hotel per andare in auto a prendere dei farmaci per la moglie, vide l’albergo spazzato via dalla valanga. Raccontò così all’Agi ciò che aveva visto:
«Mentre tornavo verso l’hotel ho sentito rumori e scricchiolii e ho visto la montagna cadere addosso all’edificio. Ha travolto anche me, ma parzialmente. Ho visto gran parte dell’albergo ricoperto dalla neve. Ho provato a entrare dentro, ma ho rischiato di rimanere intrappolato. Allora mi sono aggrappato a un ramo e sono riuscito a tornare verso la macchina. Poi ho incontrato il manutentore dell’albergo e insieme abbiamo lanciato l’allarme. Dall’interno dell’hotel non ho sentito alcun rumore o movimento».
Parete riuscì a contattare, con una telefonata WhatsApp, il suo amico, e datore di lavoro, Quintino Marcella, titolare di un ristorante a Silvi. L’uomo a sua volta telefonò ai carabinieri.
Poco prima Quintino Marcella aveva provato ad avvertire la Prefettura ma non gli avevano creduto. Ecco la telefonata:
La centrale operativa dei soccorsi telefonò, per avere notizie, all’amministratore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, che alle 14 aveva inviato la mail, ma che non si trovava nell’albergo. Di Tommaso disse che sapeva che all’hotel la situazione era pesante a causa dei timori degli ospiti ma che in concreto non era accaduto nulla, ne era certo.
Solo alle 18.57 un volontario della Protezione civile credette alle segnalazioni sulla situazione a Rigopiano e fece in modo che i soccorsi si mettessero in moto. Una trentina di uomini del Soccorso alpino, della Guardia di finanza e dei Vigili del fuoco si mossero da Pescara, che si trova a 32 chilometri di distanza, e da Penne, a 9 chilometri, poco prima delle 20.
La colonna dei soccorsi si dovette presto fermare perché la neve era troppo abbondante e la tormenta incessante, e i telefoni inoltre non prendevano la linea. Solo quattro uomini, del Soccorso alpino e della Guardia di finanza, decisero di proseguire a piedi indossando le ciaspole. Arrivarono dopo più di quattro ore all’hotel e trovarono i due superstiti, Parete e il tuttofare dell’hotel, Fabio Salzetta, che erano scampati alla valanga.
Gli elicotteri arrivarono alle 6.30 del mattino mentre la colonna dei soccorsi arrivò sul posto a mezzogiorno. I vigili del fuoco riuscirono a estrarre vive dalle macerie nove persone, tra cui la moglie e i due figli di Parete. Le operazioni di soccorso durarono una settimana. Morirono 15 uomini e 14 donne, 18 erano ospiti dell’hotel, 11 facevano parte del personale. La pubblico ministero Cristina Tedeschini, incaricata delle indagini, disse: «Molti sono morti per schiacciamento, altri per varie concause: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Ma nessuno è deceduto per solo assideramento».
L’indagine su ciò che avvenne a Rigopiano è divisa in quattro tronconi: i ritardi nell’attivazione della macchina dei soccorsi, la gestione dell’emergenza, la realizzazione del resort e la mancata realizzazione della Carta di localizzazione da pericolo di valanga, quella che indica graficamente le località e i territori potenzialmente in pericolo basandosi su eventi accaduti precedentemente o tracce lasciate sul terreno.
L’iter giudiziario è ancora in fase preliminare. Gli imputati sono 30, 29 hanno già scelto il rito abbreviato. Ci sono rappresentanti della Regione Abruzzo, della Provincia di Pescara, della Prefettura di Pescara e del Comune di Farindola, alcuni rappresentanti dell’albergo distrutto e 7 impiegati della Prefettura di Pescara accusati di depistaggio in un fascicolo poi riunito al procedimento principale. Tra questi sette indagati c’è anche l’ex prefetto Francesco Provolo.
I sette sono accusati di frode in processo penale e depistaggio: avrebbero fatto sparire il brogliaccio delle segnalazioni che arrivarono il 18 gennaio 2017 alla squadra mobile di Pescara. Tra le segnalazioni occultate c’era anche la telefonata che il cameriere dell’hotel, Gabriele D’Angelo, morto poi sotto la valanga, fece al Centro coordinamento dei soccorsi della Prefettura di Pescara alle 11.38 di quella mattina, e quindi cinque ore prima che l’albergo venisse colpito. D’Angelo segnalava che ospiti e personale volevano lasciare l’hotel ma la strada era bloccata e chiedeva un intervento sollecito.
La prossima udienza si terrà il 28 gennaio ma ci sarà un rinvio, come ce ne sono già stati in precedenza. Il giudice dell’udienza preliminare, Gianluca Sarandrea, ha incaricato infatti due ingegneri e un nivologo del Politecnico di Milano di effettuare una nuova perizia. I consulenti dovrebbero indicare le cause della valanga. Gli studi presentati dall’accusa e dalla difesa hanno dato risultati opposti. Stando alla Procura, «il luogo nel quale era ubicato l’Hotel Rigopiano possiede tutte le caratteristiche per essere catalogato come sito valanghivo». In altre parole, se si fosse realizzata la Carta localizzazione pericolo valanghe (CLPV), di cui allora la regione Abruzzo non era dotata, si sarebbe certamente individuato il sito come pericoloso.
I periti delle difese sostengono il contrario. Secondo loro la carta che segnala il pericolo delle valanghe non è un documento di previsione, non contiene alcuna valutazione dei limiti che le valanghe in futuro potranno raggiungere: si riportano soltanto gli eventi valanghivi già avvenuti senza alcuna pretesa di essere una carta del grado e della previsione di pericolo. Insomma, secondo loro se pure la carta ci fosse stata, il sito dell’Hotel Rigopiano non sarebbe stato inserito tra quelli pericolosi.
La nuova perizia dovrà anche stabilire se le scosse di terremoto influirono o no sull’innesco della valanga. I periti della Procura sostengono di no, gli eventi sismici che si sono susseguiti non hanno influito «incisivamente e direttamente» sul distacco della valanga. I legali degli indagati sostengono invece che le scosse di quella mattina furono determinanti. Capire se il terremoto fu causa decisiva nello staccarsi della valanga è importante perché nel caso lo fosse stato, la posizione degli indagati potrebbe alleggerirsi, almeno in teoria, soprattutto per ciò che riguarda l’eventualità di un risarcimento alle famiglie delle vittime.
Infine, gli esperti dovranno pronunciarsi sulla prevedibilità dell’evento. In sostanza, per l’accusa l’evento era prevedibile. Scrivono i periti della Procura secondo quanto riportato da Newstown, sito di informazione abruzzese: «La sua prevedibilità, anche soggettiva, era peraltro facilitata dalla seppur labile memoria storica del probabile evento occorso nel 1954 e dalla possibilità di comparare il sito con altri analoghi e limitrofi». Secondo la Procura quindi l’evento del gennaio 2017 era certo eccezionale ma anche «oggettivamente prevedibile». Per le difese, invece, si tratta di un evento «eccezionale e marcatamente anomalo».
Il processo dovrà stabilire se una serie di iniziative rapide avrebbe potuto scongiurare la morte di 29 persone. I periti della Procura sostengono che sarebbe dovuta avvenire «la tempestiva evacuazione delle persone presenti ben prima che i quantitativi di neve al suolo rendessero ingestibile la percorribilità della strada provinciale».
L’iter giudiziario è per ora andato molto a rilento per numerosi rinvii e sospensioni, anche l’emergenza pandemia ha contribuito ovviamente ai rallentamenti. Ora si punta a una forte accelerazione delle udienze. Il prcuratore capo di Pescara Giuseppe Belelli ha detto: «Chiederemo un calendario serrato di udienze, con l’obiettivo di arrivare a sentenza, anche grazie al rito abbreviato, entro pochi mesi. Molto prima della fine dell’anno. È un impegno che devo a padri, compagni, fratelli che piangono i loro cari. E a quanti portano, da vivi, i segni della sciagura».