La colossale eruzione a Tonga, spiegata

Come un vulcano sottomarino ha prodotto una gigantesca esplosione, con effetti a migliaia di chilometri di distanza dall'arcipelago nel Pacifico

di Emanuele Menietti – @emenietti

L'eruzione osservata dal satellite GOES-17 (NOAA)
L'eruzione osservata dal satellite GOES-17 (NOAA)

Nell’arcipelago di Tonga, le attività di soccorso per la popolazione interessata dalla violenta eruzione vulcanica di sabato 15 gennaio, e dal conseguente tsunami, proseguono a rilento a causa dei danni alle strade e al principale aeroporto del paese. Le comunicazioni con le isole sono difficoltose e si teme una crisi umanitaria che potrebbe interessare parte della nazione, in cui vivono 100mila abitanti.

Nei giorni prima della potente eruzione, il vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai sembrava essere in una fase di relativa calma, dopo alcuni giorni più turbolenti alla fine del 2021. Tra sabato e domenica, in poche ore ha prodotto un’alta colonna di fumo, una quantità gigantesca di fulmini e infine un’eruzione con la produzione di una potente onda d’urto che ha viaggiato per migliaia di chilometri e contribuito a produrre maremoti. Le onde più grandi hanno causato danni lungo le coste dell’arcipelago di Tonga, mentre altre di minori dimensioni sono state rilevate a migliaia di chilometri di distanza, nel Nordamerica e nel Sudamerica.

Secondo gli esperti, un’eruzione di questo tipo con conseguenze praticamente globali si verifica ogni mille anni. Gli eventi dello scorso fine settimana saranno studiati per anni dai geologi, alla ricerca di nuovi dati per scoprire meglio non solo come funzionano i vulcani, ma più in generale i processi geologici che avvengono a svariati chilometri di profondità sotto i nostri piedi.

Vulcani sottomarini
Siamo abituati a pensare ai vulcani come a montagne più o meno alte sulla cui sommità c’è un cratere. In realtà in termini generali un vulcano è una qualsiasi discontinuità nella crosta terrestre (il guscio più esterno della Terra, su cui viviamo), dalla quale fuoriescono gas, polveri e rocce fuse. Questo materiale, per lo più magma, si forma nelle profondità del pianeta e trova talvolta sfogo verso la superficie specialmente nelle zone di confine tra le varie placche che costituiscono la litosfera (la crosta terrestre e la parte più esterna di ciò che si trova appena al di sotto, il mantello superiore).

(Phelan, Pignocchino, Scopriamo le scienze della Terra © Zanichelli editore 2018)

La tettonica delle placche è infatti la teoria più diffusa e condivisa per spiegare una parte importante dell’attività geologica del nostro pianeta. L’ipotesi è che queste grandi zolle si muovano sul mantello, allontanandosi e avvicinandosi l’una con l’altra, con punti di scorrimento lungo i loro confini e zone in cui i margini di una placca sprofondano infilandosi sotto quelli di un’altra placca (subduzione).

L’arcipelago del Regno di Tonga si trova a nord-est della Nuova Zelanda nei pressi di una di queste zone di subduzione, e deve buona parte della proprio esistenza proprio a questo fenomeno geologico. Le isole si sono formate più o meno lungo il margine della placca pacifica che si spinge sotto quella australiana. Una grande cicatrice che in buona parte comprende la dorsale delle Tonga-Kermadec, con il magma che riesce a farsi strada verso la superficie terrestre dove la roccia fusa rilascia gas e si solidifica al contatto con l’acqua, portando alla formazione di una grande quantità di vulcani sottomarini.

(Wikimedia)

Hunga Tonga-Hunga Ha’apai
Lo Hunga Tonga-Hunga Ha’apai è in sostanza una grande montagna sommersa, con un’elevazione dal fondale marino di circa 2mila metri. La sua cima è costituita da un’ampia conca (caldera) con un diametro di circa 5 chilometri, quasi completamente sommersa dalle acque dell’oceano. Alcune parti della caldera affioravano dal mare e costituivano un paio di isole di recente formazione e disabitate, che in seguito alle nuove eruzioni hanno subìto profonde modifiche e sono quasi scomparse.

Per ovvie ragioni i vulcani sottomarini sono stati a lungo difficili da tenere sotto controllo, sia per le loro collocazioni remote sia per il fatto di trovarsi spesso a grandi profondità negli oceani. Lo Hunga Tonga-Hunga Ha’apai non è stato da meno e, a parte qualche segnalazione su un’eruzione alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, non si trovano molti altri dettagli sulla sua storia antica.

Il vulcano iniziò a farsi notare nella primavera del 2009, quando fu osservata dell’attività esplosiva cui seguì la formazione di alcune piccole isole, che furono rapidamente erose dai moti ondosi; nel 2014-2015 una serie di altre eruzioni produsse nuovi affioramenti.

In questi tipi di vulcani, le esplosioni sono dovute alle dinamiche geologiche che avvengono nell’area di subduzione. Man mano che la placca oceanica si infila sotto quella australiana, le sue rocce entrano in contatto con il materiale molto caldo del mantello con la formazione di un magma molto denso e carico di gas. L’interazione tra magma e acqua porta a eruzioni sottomarine contraddistinte da un’elevata esplosività (eruzione surtseyana).

Eruzione
Dopo anni di relativa quiete, il 19 dicembre scorso lo Hunga Tonga-Hunga Ha’apai aveva prodotto una serie di esplosioni, con l’emissione di un’alta colonna di polveri e fumo che aveva raggiunto i 15mila metri di altitudine. I geologi avevano preso nota, ma senza preoccuparsi più di tanto, considerata la storia e la tipologia del vulcano sottomarino.

Nei giorni seguenti il magma aveva iniziato a fluire con relativa facilità e la lava, la parte ormai priva di gas, aveva iniziato a solidificarsi e a espandere l’isola formata dal vulcano. L’attività era poi tornata ai normali livelli, facendo ipotizzare a inizio 2022 che la fase acuta fosse terminata.

Alla fine della scorsa settimana lo Hunga Tonga-Hunga Ha’apai aveva però ripreso a darsi molto da fare. Gli indizi sulla ripresa dell’attività esplosiva erano evidenti non solo da una nuova colonna di fumo, ma dall’enorme quantità di lampi registrati nella zona.

Un’eruzione vulcanica porta spesso tempeste elettriche perché le ceneri in sospensione nell’aria si avvicinano e allontanano tra loro e con i minuscoli frammenti di ghiaccio presenti ad alta quota. Il fenomeno porta alla formazione di cariche elettriche che innescano poi le intense scariche di energia che vediamo come fulmini e lampi. Utilizzando particolari ricevitori radio è possibile rilevare i lampi in tempo reale, calcolando la loro posizione e la frequenza con cui si verificano.

Nelle prime settimane dell’anno, la quantità di lampi rilevata era nell’ordine di qualche centinaio o migliaio al giorno, in linea con l’attività dello Hunga Tonga-Hunga Ha’apai. Le cose sono però cambiate tra venerdì 14 e sabato 15 gennaio, quando nell’alta colonna di fumo e polveri hanno iniziato a formarsi decine di migliaia di scariche elettriche. In una sola ora ne sono state registrate più di 200mila, un fenomeno mai osservato prima con questa intensità a conferma della grande attività esplosiva che stava avvenendo sott’acqua.

L’alto numero di lampi e fulmini, con tuoni udibili di continuo in diverse isole dell’arcipelago di Tonga, è stato in parte dovuto alla grande quantità di vapore che si è prodotta nelle acque poco profonde della caldera. Raggiunti gli strati più alti dell’atmosfera, si è trasformato in ghiaccio alimentando ulteriormente le interazioni con la cenere in sospensione nell’aria. Le cause dell’altissima quantità di lampi non sono comunque ancora completamente note.

Alle 17:15 ora locale (le 5:15 in Italia) di domenica 15 gennaio, il vulcano ha prodotto un’eruzione molto più sostenuta con una gigantesca esplosione, la cui onda d’urto ha viaggiato per migliaia di chilometri. Il fenomeno è stato osservato da alcuni satelliti, le cui immagini in sequenza mostrano efficacemente non solo l’enorme colonna di fumo prodotta, ma anche lo spostamento di polveri e gas spinte dall’onda d’urto.

Si stima che la nube eruttiva abbia raggiunto il diametro di svariate centinaia di chilometri e un’altitudine di circa 30mila metri. Le onde di pressione atmosferica generate dalle esplosioni e dai rapidi movimenti dei gas si sono spostate in alta quota viaggiando per migliaia di chilometri, fino a superare il Sudamerica.

Le esplosioni e i boati nella nube non sono stati rilevati solamente a Tonga e nella relativamente vicina Nuova Zelanda, ma anche diverse ore dopo a grande distanza. Alcuni hanno segnalato di averli sentiti in Alaska, a oltre 9mila chilometri dal vulcano.

Tsunami
In seguito all’esplosione si sono formate onde anomale, che hanno raggiunto in breve tempo le aree costiere poco rilevate dell’arcipelago di Tonga, spingendosi per diversi metri nell’entroterra. Sulle isole è anche ricaduta una grande quantità di cenere e polveri, che ha ricoperto buona parte della vegetazione e delle zone abitate.

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La vegetazione ricoperta di ceneri vulcaniche a Nomuka (CPL Vanessa Parker/ NZDF via AP)

Le cause dirette dello tsunami non sono ancora completamente note. Quelli indotti dalle attività vulcaniche sottomarine derivano di solito dallo spostamento in acqua di grandi quantità di roccia, come può per esempio avvenire quando si verifica un crollo di parte di un edificio vulcanico. L’esplosione stessa può comunque avere un ruolo nella formazione delle onde anomale, ma occorreranno giorni per studiare meglio le caratteristiche delle onde d’urto che si sono prodotte e che potrebbero avere influito sulla formazione dello tsunami.

Le onde generate dall’eruzione hanno attraversato buona parte dell’oceano Pacifico, con forti ondate in Giappone e lungo le coste di Cile, Perù ed Ecuador.

Cosa resta
La violenza dell’eruzione ha portato a un marcato cambiamento dello Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, come si vede chiaramente dalle immagini satellitari.

Le parti che erano affiorate nel 2014-2015 sono scomparse e due isole, che esistevano ancora prima dell’eruzione del 2009, sono quasi completamente sparite.

A pochi giorni da un evento così grande e catastrofico è difficile fare previsioni su ciò che potrà accadere al vulcano. L’entità dell’eruzione sembra suggerire che buona parte dei gas presenti nel magma sia stata liberata, ma le conoscenze su estensione e caratteristiche geologiche della zona sono relativamente limitate e richiederanno nuove rilevazioni e studi.