A cosa servirebbe il “bonus psicologico”
La proposta, esclusa dalla legge di bilancio, avrebbe dovuto mettere una pezza alla strutturale incapacità di garantire l'accesso pubblico alla psicoterapia
La bocciatura di una proposta per introdurre nella legge di bilancio un “bonus psicologico”, un contributo economico per aiutare le persone a sostenere le spese iniziali per un percorso di terapia, ha suscitato estese polemiche e proteste online, e avviato una discussione sull’opportunità di cambiare approccio nella considerazione pubblica della salute mentale e delle modalità con cui tutelarla attraverso il servizio sanitario.
La discussione era già emersa periodicamente nei due anni di pandemia, le cui conseguenze psicologiche sulla popolazione e in particolare sui gruppi per vari motivi più interessati e coinvolti dalle misure restrittive e dall’isolamento sociale sono ancora in larga parte da comprendere e stimare. Ma già in tempi di cosiddetta normalità la sanità pubblica non riusciva ad accogliere e a soddisfare le richieste di supporto e aiuto, e in molti casi l’accesso alla terapia è una possibilità riservata a chi si può permettere i servizi di un professionista privato.
La crisi sanitaria dovuta al coronavirus ha aumentato le richieste di aiuto per disagi e disturbi psichici. Lo scorso settembre, la rivista scientifica The Lancet ha scritto che durante la pandemia i casi di depressione e di ansia sono aumentati del 28 e del 26 per cento. Nello stesso periodo, ha raccontato Annalisa Camilli sul settimanale L’Essenziale, secondo uno studio condotto dall’università canadese di Ottawa (e basato su altre 55 ricerche internazionali) il disturbo da stress post-traumatico, l’ansia e la depressione sono state rispettivamente cinque, quattro e tre volte più frequenti nella popolazione rispetto al passato.
Per quanto riguarda l’Italia i dati più recenti sono dell’Ordine nazionale degli psicologi (CNOP), cioè l’istituzione che rappresenta l’Ordine professionale a livello nazionale e europeo. A metà dicembre, il CNOP ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta a ottobre 2021 su un campione di circa 5.600 professionisti in collaborazione con l’istituto Piepoli: si dice, innanzitutto, che la pandemia «ha influito pesantemente sulla salute mentale» delle persone.
I dati dicono che il 21 per cento dei pazienti ha interrotto il trattamento per problemi economici e che il 27,5 per cento delle persone che avevano intenzione di avviare un percorso non l’ha fatto, sempre per ragioni economiche.
A seguito della pandemia l’utenza è variata: è aumentata soprattutto tra i giovani di 18-24 anni, tra le donne e tra le persone categorizzate come appartenenti al ceto medio. Sono invece diminuite le richieste di intervento psicologico per chi ha più di 54 anni.
In particolare, tra le richieste ricevute, la pandemia da coronavirus ha aumentato quelle che segnalano problemi d’ansia (+83%), disturbi dell’umore o depressione (+72%), quelli dell’adolescenza (+62%), problemi di coppia e problemi con i figli (entrambi +49%). Sono aumentati anche i disturbi legati a una patologia fisica (+19%) e i disturbi dell’infanzia (+27%).
Lo scorso dicembre, un gruppo di senatrici e senatori di diversi partiti aveva proposto di introdurre una forma di sostegno per la salute mentale nella legge di bilancio per il 2022, poi approvata a fine anno. Ma l’emendamento per il cosiddetto “bonus psicologico” era stato bocciato al Senato.
Prevedeva di stanziare 50 milioni di euro l’anno suddivisi in due sussidi: un bonus “avviamento” da 15 milioni di euro rivolto a tutte le persone maggiorenni, senza limiti di reddito, a cui non era stato diagnosticato un disturbo. L’obiettivo del fondo era di offrire un contributo forfettario da 150 euro ogni due anni. L’altro prevedeva un bonus “sostegno” da 35 milioni di euro per sussidi da 400 a 1.600 euro, da erogare in base all’ISEE, cioè alla situazione economica familiare della persona richiedente.
Il CNOP stima che una seduta di consulenza o di sostegno psicologico individuale possa avere un costo che va da un minimo di 35 euro a un massimo di 115 euro. David Lazzari, presidente del CNOP, spiega che in base alla letteratura scientifica internazionale, e in presenza di un disturbo medio, il numero di sedute affinché un intervento sia efficace va dai 10 ai 15 incontri. «Naturalmente può essere che qualcuno ce la faccia entro questo limite e qualcuno no. Ma se immaginiamo che il costo medio a seduta sia intorno ai 60 euro, l’intervento risulta efficace spendendo circa 1.000 euro». Il bonus rivolto a tutti, insomma, avrebbe potuto coprire mediamente tra un sesto e un settimo della spesa complessiva consigliata.
Lo scorso maggio, nel decreto “sostegni bis” poi convertito in legge a luglio, il governo aveva previsto e approvato il finanziamento di 10 milioni di euro per l’accesso ai servizi psicologici «delle fasce più deboli della popolazione, con priorità per i pazienti affetti da patologie oncologiche, nonché per il supporto psicologico dei bambini e degli adolescenti in età scolare».
Come spiega Pagella Politica, non si tratta però di un vero e proprio “bonus psicologo”, ma di una serie di fondi a disposizione delle regioni per migliorare i servizi di ascolto, assistenza e formazione del personale: fondi, dunque, per rafforzare servizi già esistenti. Il decreto attuativo per l’erogazione di tale fondo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 gennaio: «Sono passati otto mesi e solo adesso esce il decreto per distribuire questi soldi: quanto tempo ci vorrà ancora perché le regioni li ricevano, decidano come spenderli o facciano dei bandi?», si chiede Lazzari.
Negli ultimi anni, dice Lazzari, in Italia «i cittadini hanno fatto grandi passi avanti sulla salute mentale ed è molto più diffusa che un tempo la consapevolezza che il sostegno psicologico non è legato a una debolezza. Inoltre, un aiuto di questo tipo non viene più identificato esclusivamente come un intervento di cura per chi è matto o malato». Ma c’è un «gap», prosegue Lazzari «tra popolazione e istituzioni».
In Italia maggiorenni e minorenni hanno diritto all’accesso diretto al Servizio sanitario nazionale per l’assistenza psicologica: possono cioè presentarsi direttamente al distretto sanitario e richiedere una consulenza. È previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza, cioè dai servizi e dalle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto sempre a offrire. Questo però molto spesso non succede.
In Italia ci sono circa 130 mila psicologi, ma solo il 5 per cento lavora nelle strutture pubbliche. Come ha spiegato sul sito The Submarine Davide Baventore, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, «in Italia abbiamo il 50 per cento in meno degli psicologi sia per gli adulti e sia per gli adolescenti. Per la psicologia infantile ed evolutiva, la media europea è di 6,3 psicologi ogni 100 mila abitanti: la media italiana è 2,9. Per gli adulti la media europea è 10,7, per l’Italia è 5,3. Siamo estremamente carenti». Il primo problema è dunque quantitativo.
Il secondo problema è che queste figure si trovano quasi esclusivamente nei servizi sanitari specialistici e di secondo livello: salute mentale, dipendenze, neuropsichiatria.
È più scarsa la rete psicologica di primo livello per la prevenzione, la promozione e l’ascolto. I dati dicono che i tre quarti delle prime richieste di sostegno vengono rivolti al medico di famiglia, al pediatra o al distretto sanitario: cioè «ai servizi di prossimità, diffusi sul territorio», spiega Lazzari «dove tutta la letteratura mondiale dice che è fondamentale che ci sia a disposizione uno psicologo per un primo ascolto, per intercettare una problematica insorgente, un disagio più o meno strutturato e impedire che diventi una malattia in senso stretto».
È in quel primo livello che la presenza degli psicologi sarebbe necessaria, per evitare che il servizio pubblico intervenga solo quando i problemi si sono già aggravati. Oltre ai medici di famiglia, le scuole e gli ospedali sono i luoghi individuati come più strategici per offrire un’assistenza psicologica ben radicata sul territorio.
Lazzari cita come esempio virtuoso il Regno Unito, che negli ultimi anni «ha fatto un grandissimo investimento per rendere disponibili le attività di psicologia e di psicoterapia per tutta la popolazione, creando una rete di centri capillari sul territorio». Questa scelta ha seguito anche un criterio economico: «La London School of Economics ha valutato i costi legati all’assenteismo sul lavoro dovuto a questo tipo di disturbi e i vantaggi legati a una loro presa in carico: ogni euro speso per la salute psicologica produce 2,5 euro di risparmi. Vista la portata di queste cifre, il governo ha scelto di stanziare fondi importanti per un programma di arruolamento di migliaia di psicologi e psicoterapeuti».
Un terzo problema legato all’assistenza psicologica nel Servizio sanitario pubblico ha a che fare con alcune carenze organizzative: nel 2020 è stata approvata una legge, la numero 176 del 18 dicembre, in cui si dice che le aziende sanitarie e gli altri enti del Servizio sanitario nazionale possono organizzare l’attività degli psicologi in un’unica funzione aziendale. Sarebbe una soluzione per organizzare meglio l’erogazione del servizio, secondo gli addetti ai lavori, ma finora la norma è perlopiù inapplicata.
Le conseguenze di questi problemi sono che gli psicologi del Servizio sanitario riescono a occuparsi soltanto dei casi più gravi. Lazzari, che ha diretto un servizio pubblico, l’azienda sanitaria di Terni, dice di aver passato la maggior parte del suo tempo «a dire di no alle persone che si rivolgevano a noi. Ci sono liste di attesa molto lunghe, anche di sei mesi, perciò è evidente come si creino dei criteri di accesso per gravità: esattamente come accade al pronto soccorso».
Parallelamente, in Italia è scarsa l’attività di prevenzione, e per una fascia molto ampia di popolazione il sostegno psicologico «viene considerato un lusso», dice Lazzari. Le persone sono «condannate a cercare aiuto nel privato, e solo se possono permetterselo, perché riuscire a farsi seguire in un servizio pubblico è come vincere alla lotteria».
Molti esperti e molte esperte concordano nel dire che il bonus psicologico sarebbe stato un intervento di tamponamento necessario, ma insufficiente rispetto ai problemi del Servizio sanitario. Angela Maria Quaquero, presidente dell’Ordine degli psicologi della Sardegna, pensa che l’integrazione tra pubblico e privato sia fondamentale e che il privato consenta «una velocità di risposta che, al momento e in un periodo di estrema urgenza com’è quello che stiamo vivendo, il pubblico non ha. Consente, inoltre, di poter scegliere il terapeuta, cosa che nel pubblico non è invece possibile fare». Il bonus psicologico avrebbe dunque consentito «un sostegno immediato e scelto dall’utente».
Quaquero conferma che un bonus pari a 150 euro avrebbe coperto in media tre sedute circa: «Sono poche, ma avrebbero potuto essere comunque sufficienti, in determinate situazioni, per un primo intervento e in attesa che una persona potesse essere presa in carico dal Servizio sanitario nazionale». Per Quaquero il bonus avrebbe inoltre rappresentato un segnale positivo: «Avrebbe fatto passare l’idea che un percorso è possibile». Lazzari concorda: «Il bonus viene dato direttamente al cittadino, è utile nell’immediatezza e, soprattutto, ha un grande valore culturale: è una forma di riconoscimento e dimostra che un certo tipo di disagio non è un capriccio né una forma di debolezza».
Bonus a parte, sostengono le maggiori società scientifiche in materia, la tutela pubblica della salute mentale potrebbe essere garantita solo con interventi più strutturali, come un rafforzamento dei servizi di prossimità attraverso l’affiancamento dei medici di famiglia con uno psicologo e il potenziamento della presenza degli psicologi nelle scuole. Secondo Lazzari, andrebbe introdotta una competenza psicologica all’interno dei servizi sociali dove oggi invece prevalgono educatori e assistenti, visto che «tante persone che hanno una marginalità sociale vanno aiutate anche dal punto di vista psicologico».
Nei mesi della pandemia, in presenza di queste carenze strutturali e in mancanza di specifici incentivi, decine di realtà hanno aperto sportelli di aiuto e consulenza gratuita o a prezzi sostenibili, basati soprattutto sul lavoro volontario di psicologhe e psicologi. A fronte di un aumento della richiesta, il centro popolare di psicologia clinica Limen e la Casa delle Donne Lucha y Siesta di Roma hanno ad esempio deciso di avviare il progetto “psicoterapia sospesa”, ispirata alla tradizione napoletana del caffè sospeso, per sostenere economicamente i percorsi di sostegno di donne e minori sopravvissuti alla violenza che non hanno la possibilità di pagarli autonomamente.
Si sono mosse anche alcune regioni. Qualche giorno fa, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti ha detto che istituirà un fondo di 2,5 milioni di euro dedicato all’accesso alle cure per la salute mentale e la prevenzione del disagio psichico. Puglia e Sardegna, attraverso dei fondi europei, in questi ultimi anni hanno potenziato la presenza degli psicologi nelle scuole.
Nel frattempo è stata lanciata una petizione online per il bonus psicologico che riprende l’emendamento bocciato nella legge di bilancio e che, nel giro di pochi giorni, ha già quasi raggiunto le 250mila firme. Diversi esponenti politici sperano poi che il bonus per la salute mentale venga inserito nel cosiddetto decreto milleproroghe (una norma il cui scopo principale è rinviare scadenze di legge vicine al termine, e che di solito finisce con il contenere un po’ di tutto), oppure nel nuovo decreto sostegni annunciato dal presidente del Consiglio Mario Draghi.