Boris Johnson sta rischiando il posto
Dopo l'ennesimo scandalo, quello dei party nella sua residenza, diversi parlamentari Conservatori si sono convinti che il primo ministro britannico sia diventato «un peso»
La polemica sui party tenuti nella sua residenza durante i primi mesi di lockdown sta mettendo in grossa difficoltà il primo ministro britannico Boris Johnson. Dopo l’ennesima notizia di una festa tenuta nel giardino di Downing Street il 20 maggio – notizia venuta fuori nei giorni scorsi – Johnson si è scusato con un breve discorso in parlamento, sostenendo in sostanza di avere agito in buona fede.
Le sue scuse però non hanno convinto una parte del suo stesso partito, che ha chiesto ufficialmente le sue dimissioni. «È finita», ha detto laconicamente a BBC News un ministro del suo governo, preferendo rimanere anonimo. L’impressione di diversi commentatori britannici è che il consenso di Johnson all’interno del partito Conservatore e dell’elettorato sia così basso che a breve potrebbe essere costretto alle dimissioni.
Nel suo discorso al parlamento, Johnson ha ammesso di sapere che «ci sono cose che non abbiamo fatto bene, e me ne devo prendere la responsabilità», ma ha aggiunto che «il giardino è un’estensione dell’ufficio ed è stato utilizzato costantemente perché stare all’aria aperta serviva per fermare il virus», e che «tecnicamente» le circa 40 persone che hanno partecipato al party del 20 maggio non hanno violato nessuna regola.
Alcuni parlamentari Conservatori hanno criticato Johnson per non essersi scusato a sufficienza. Altri considerano la sua partecipazione al party del 20 maggio una ragione sufficiente per chiederne le dimissioni. «Avevo detto ieri che se il primo ministro avesse ammesso di aver partecipato alla festa non poteva restare al suo posto: a malincuore, devo dire che la sua posizione non è più sostenibile», ha detto per esempio Douglas Ross, capo della sezione scozzese del partito.
Caroline Nokes, ex ministra per l’Immigrazione nel governo guidato da Theresa May, ha detto a ITV che Johnson «è diventato un peso, e il partito deve decidere se mandarlo a casa adesso oppure aspettare tre anni per le prossime elezioni».
“He’s damaging us now, he’s damaging the entire Conservative brand”
@CarolineNokes calls on @BorisJohnson to resign.
#Peston pic.twitter.com/h2Xzj2NN54— Peston (@itvpeston) January 12, 2022
Johnson vive da settimane il periodo più complicato del suo mandato da primo ministro.
Oltre a una serie di piccoli scandali, di cui l’organizzazione dei party nel suo ufficio è solo l’ultimo, diversi commentatori ritengono che la sua azione di governo si sia sostanzialmente incartata. «Ciò che rende disperati i suoi sostenitori è che si tratta più di uno stallo che di una crisi», ha scritto qualche settimana fa l’Economist: «Su molti fronti la rivoluzione promessa da Johnson nel 2019 durante i negoziati per Brexit e in campagna elettorale si è arenata. L’idea che il Johnsonismo potesse essere un nuovo modello di governo, come il Thatcherismo e il Blairismo, ora sembra malriposta».
Johnson era riuscito a imporsi come leader dei Conservatori e a stravincere le elezioni del 2019 puntando su alcuni punti forti, fra cui l’idea di rendere il Regno Unito un paese sempre più proiettato fuori dall’Europa, capace di attirare le migliori aziende e talenti individuali da tutto il mondo, e di commerciare con chiunque; al contempo, una maggiore attenzione alle aree interne del paese, che avevano votato in massa per uscire dall’Unione Europea.
Su questi fronti, ritenuti dai commentatori i pilastri del “Johnsonismo”, non sono stati fatti dei passi avanti significativi e non sembra che ce ne saranno a breve. Ancora peggio, la condizione economica del Regno Unito sembra sempre più precaria, soprattutto per via di Brexit.
Secondo le stime dell’Ufficio per la responsabilità del bilancio (OBR), un’agenzia indipendente del governo, il PIL britannico si è contratto dello 0,5 per cento nei primi quattro mesi del 2021 a causa della confusione e della riorganizzazione dovuta al nuovo accordo commerciale fra il Regno Unito e i paesi dell’Unione Europea; e a lungo termine Brexit costerà all’economia britannica circa il 4 per cento del PIL. L’economia è sostanzialmente ferma, le aree interne attendono ancora le attenzioni e gli investimenti annunciati da Johnson, e l’immagine pubblica del primo ministro sembra ormai danneggiata dalle promesse non mantenute e dai continui scandali della sua amministrazione.
Il suo tasso di popolarità è ormai al 23 per cento, dopo essere calato di una ventina di punti rispetto all’estate: The Conversation fa notare che diversi primi ministri britannici erano molto più popolari di lui, al momento delle loro dimissioni.
Dentro e fuori dal partito Conservatore si parla apertamente di chi potrebbe sostituire Johnson nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. I due nomi che circolano di più sono quelli del ministro dell’Economia Rishi Sunak e di Liz Truss, responsabile dei negoziatori britannici per Brexit.