Il carcere di Torino ha un problema dietro l’altro
Tra le inchieste sulle violenze ai detenuti, le proteste dei sindacati di polizia e una popolazione carceraria difficile da gestire, ora non riesce a trovare un nuovo direttore
Il carcere Lorusso e Cutugno di Torino, meglio conosciuto come Le Vallette, ha un nuovo problema: i tre dirigenti classificati ai primi posti del bando promosso dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per individuare il nuovo direttore hanno rinunciato, accettando invece incarichi in altre sedi. Quasi contemporaneamente l’attuale reggente, Rosalia Marino, ha annunciato il suo rientro nel carcere di Novara, che aveva già diretto in precedenza. Ora il Dap dovrà istituire un nuovo bando, i cui tempi non saranno brevi. Nel frattempo, dal carcere di Bollate, riconosciuto in tutta Europa come carcere modello, è arrivata con il ruolo di reggente la direttrice Cosima Buccoliero.
La notizia delle rinunce rischia di aumentare un clima teso che caratterizza da tempo il carcere. La casa circondariale Lorusso e Cutugno, più di altre, ha enormi problemi. Bernardo Petralia, capo del Dap, l’ha definito «l’osservato speciale e particolarissimo insieme al carcere di Firenze». Parlando con La Stampa della rinuncia dei tre dirigenti, Petralia ha detto: «Certo dispiace perché avevamo svolto una selezione molto articolata valutando alte professionalità, eravamo felici e ora ci troviamo nelle condizioni di dover riproporre il bando per dirigere il Lorusso e Cutugno al più presto possibile».
Rosalia Marino, la reggente uscente, era in carica dal luglio 2020 dopo la rimozione del direttore precedente, Domenico Minervini, coinvolto in un’inchiesta sulle presunte gravi violenze compiute ai danni dei detenuti. Una persona che lavora nel carcere e che preferisce restare anonima ha detto al Post che «la direttrice ha creato con i lavoratori del Lorusso e Cutugno un muro contro muro, senza possibilità di dialogo e ascolto. Questa è una casa circondariale con una carenza di organico ormai insopportabile e tanti problemi che negli ultimi tempi si sono decisamente accentuati».
Marino, in un’intervista rilasciata a Repubblica il 12 gennaio, ha detto di aver deciso di lasciare l’incarico, che era comunque come “reggente” e quindi non definitivo, dopo aver letto che il carcere di Torino veniva definito «il peggiore di tutta Italia, il carcere della vergogna». Aveva spiegato che si sarebbe aspettata «un moto di indignazione, di rabbia, una qualsiasi reazione da parte di coloro che vivono e lavorano in questo carcere da anni», e di aver invece incontrato un «silenzio assordante, l’assenza di una qualunque reazione se non quella di cercare un capro espiatorio»
La direttrice uscente ha poi elencato quelli che sono, secondo lei, i gravi problemi del carcere torinese che definisce «l’istituto penitenziario più complesso e articolato dell’intero territorio nazionale»: un tasso di sovraffollamento molto alto, un intero padiglione a vocazione sanitaria, una Atsm (articolazione per la tutela della salute mentale) maschile e femminile, e un reparto (servizio assistenza intensificata). «Qui», dice Marino «vengono trasferiti detenuti con problemi fisici e psichiatrici che necessitano di cure adeguate».
Nel novembre scorso la quasi totalità dei sindacati della polizia penitenziaria aveva indetto un sit-in per denunciare i diversi problemi. Venivano elencati nel comunicato «turni di lavoro massacranti, continuo stravolgimento della programmazione dei turni, continui sbeffeggi, gravi aggressioni da parte della popolazione detenuta, presenza di soggetti affetti da problematiche di natura psichiatrica i quali, oltretutto, senza la possibilità di essere impegnati nell’arco della giornata sono lasciati liberi nelle sezioni di regime aperto dove, non di rado, ingaggiano scontri fisici anche con gli altri detenuti».
Il carcere di Torino, dicono i sindacati, è sovraffollato oltre il 35% della capienza e la carenza di organico è grave. La capienza regolamentare è di 1.062 detenuti, le presenze giornaliere sono però circa 1.400. Secondo le relazioni del garante gli spazi sono insufficienti per l’alto numero dei detenuti, e il numero di donne e uomini della polizia penitenziaria è ridotto rispetto alle effettive esigenze.
Monica Gallo, garante dei detenuti di Torino, spiega che «la struttura è degradata, il numero dei circuiti penitenziari è troppo elevato, manca il personale di polizia penitenziaria e mancano gli educatori. È un problema che non riguarda solo Torino: in Italia su 56mila detenuti gli educatori sono 640». Al Lorusso e Cutugno il 50% dei detenuti è straniero, «eppure», continua la garante dei detenuti, «non c’è neanche un mediatore culturale. E poi il direttore, con cui noi abbiamo sempre lavorato in maniera proficua, non ha avuto dei vice, cosa che sarebbe stata fondamentale in una struttura così grande».
Uno dei punti critici del carcere torinese è stato rappresentato negli ultimi anni dalla sezione psichiatrica Sestante. Da dicembre la struttura che la ospitava è chiusa, in fase di ristrutturazione. Gallo lo definì «un luogo inumano e degradante». Susanna Marietti, presidente dell’associazione nazionale Antigone, attiva nella tutela di diritti e garanzie nel sistema penale, aveva definito il Sestante «un luogo vergognoso in cui si rinuncia a vite umane come se valessero niente». In una lettera scritta ai giornali nel novembre scorso Marietti aveva raccontato così ciò che aveva visto nella sezione:
«Al Sestante si trovano circa venti celle, dieci su ogni lato del corridoio. In ciascuna è reclusa una singola persona detenuta. La cella è piccola, sporca, quasi completamente vuota. Al centro vi è un letto in metallo scrostato e attaccato al pavimento con i chiodi. Sopra è buttato un materasso fetido, a volte con qualche coperta e a volte no. Qualcuno, ma non tutti, ha un piccolo cuscino di gommapiuma. Non vi è una sedia né un tavolino. Solo un piccolo cilindro che sembra di pietra dove ci si può sedere in posizione scomodissima. L’intera giornata viene trascorsa chiusi là dentro, senza nulla da fare e nessuno con cui parlare. Unico altro arredo, un orrendo bagno alla turca posizionato vicino alle sbarre, di fronte agli occhi di chiunque passi per il corridoio».
Le criticità non riguardano però solo la sezione Sestante. A luglio è stato chiesto il rinvio a giudizio per 24 guardie carcerarie coinvolte in un’inchiesta sulle presunte torture avvenute all’interno del carcere. L’inchiesta, che è ancora in fase preliminare, coinvolse l’allora direttore Domenico Minervini e l’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza, che il Dap decise subito di rimuovere. Gli episodi su cui è concentrata l’inchiesta avvennero nel padiglione C, dove si sarebbero verificate violenze ai danni di detenuti accusati di reati sessuali, ma anche di carcerati con problemi di natura mentale.