Il sottosegretario Andrea Costa contro il bollettino quotidiano dei contagi
Ha detto di avere chiesto al ministro Speranza di ripensarne la pubblicazione, perché l'epidemia di oggi non è la stessa di un anno fa
Il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ha detto all’Ansa di aver proposto al ministro Roberto Speranza di rivalutare la pubblicazione del bollettino quotidiano dei contagi, quello che da marzo 2020 mostra a che punto è l’epidemia in Italia con diversi dati, tra cui i nuovi positivi. Secondo Costa, i dati dei contagi pubblicati nel bollettino non hanno più il valore di un anno fa, quando non c’erano i vaccini contro il coronavirus:
«Il report quotidiano dei contagi è inutile perché di per sé non dice nulla. Ho proposto al ministro Speranza di fare una riflessione. In questa fase dell’epidemia è bene soffermarsi su ricoveri e occupazione dei letti».
Costa ha sintetizzato quello che si dice da settimane sulla qualità dei dati e su come vengono comunicati.
Grazie ai vaccini, infatti, l’epidemia di oggi è diversa da quella di un anno fa, ma il modo in cui si continua a presentare e commentare i dati quotidiani è rimasto molto simile. Nelle ultime settimane, per esempio, si è letto quasi ogni giorno di «nuovi record di contagi» per via della rapida diffusione della variante omicron, esattamente con lo stesso spazio e identiche modalità con cui quel dato veniva presentato lo scorso anno, quando aveva un valore completamente diverso: non c’erano i vaccini, erano prevalenti altre varianti meno contagiose, ma più pericolose, venivano fatti molti meno tamponi rispetto a oggi.
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Riflettendo sulla necessità di cambiare il modo di presentare i dati, Donato Greco, infettivologo e componente del Comitato tecnico scientifico (CTS), ha detto: «Sarebbe un’ottima idea far diventare settimanale il bollettino, noi del CTS stiamo discutendo di parlarne con il governo».
Al momento non è chiaro come possa diventare operativa questa proposta, perché i dati quotidiani sono pubblicati dalla Protezione civile in formato open data, esattamente come in quasi tutti i paesi del mondo: sono a disposizione di epidemiologi, ricercatori e giornalisti, che decidono quali comunicare e con che evidenza.
Alcuni esperti sono inoltre contrari alla pubblicazione settimanale dei dati. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha detto che la diffusione trasparente dei dati è ancora utile, se accompagnata da un’adeguata interpretazione. Secondo il virologo Fabrizio Pregliasco siamo ancora in una fase di transizione in cui è opportuno pubblicare i dati, a cui in generale andrebbe data meno enfasi.
Il punto, comunque, non sembra essere tanto la pubblicazione dei dati, ma come questi vengono usati. «Una lettura non schiacciata esclusivamente sul numero giornaliero è certamente necessaria, e lo è da inizio pandemia», ha scritto Luca Salvioli, coordinatore di Lab24, l’area del Sole 24 Ore che si occupa di analizzare i dati dell’epidemia. «Questo però non significa che i dati giornalieri non siano utili. A fare la differenza è piuttosto la lettura che ne viene data per valutare l’impatto e l’andamento del contagio. Il dato quotidiano letto su base settimanale, e non dato solo una volta a settimana, ha ancora un grosso valore».
Significa che al di là del numero di contagi comunicato ogni giorno, di più o di meno rispetto al giorno precedente, è ancora importante considerare i dati giornalieri per esempio con una media mobile a sette giorni che ha il grande vantaggio di smussare i picchi, oppure confrontare un dato di un singolo giorno non con il giorno prima, ma con lo stesso giorno della settimana precedente. In questo modo si riesce a capire meglio l’andamento dell’epidemia.
Secondo Salvioli servirebbero più dati, non meno. Di qualità migliore, aperti, in formato accessibile. Per esempio, tra i dati più importanti che vengono pubblicati solo settimanalmente c’è la distribuzione di casi, ricoveri e morti tra vaccinati e non vaccinati. Tra gli altri, mancano anche dati attendibili sui contagi rilevati nelle scuole e dati più tempestivi sulle indagini di prevalenza delle varianti in seguito al sequenziamento dei tamponi.