Che posto è l’hotel australiano dove ha alloggiato Djokovic
Da anni ospita i richiedenti asilo bloccati nel sistema di immigrazione australiano, che lo raccontano come una specie di prigione
Mentre aspettava di sapere se avrebbe potuto partecipare o no agli Australian Open, nei giorni scorsi il tennista serbo Novak Djokovic era stato sistemato dalle autorità australiane in un anonimo edificio a quattro piani, un hotel nel centro di Melbourne chiamato Park Hotel. Prima del caso che si è creato attorno a Djokovic e alla sua esenzione medica dal vaccino contro il coronavirus, il Park Hotel era praticamente sconosciuto al di fuori dell’Australia. Nel paese era però noto per ospitare una trentina di richiedenti asilo bloccati da anni nel sistema di immigrazione australiano, considerato uno dei più severi al mondo.
Dal dicembre del 2020 la guardia di frontiera australiana utilizza l’hotel per ospitare un gruppo di migranti e richiedenti asilo che per ragioni sanitarie non può essere sistemato nelle isole oceaniche dove vengono mandati, e di fatto tenuti prigionieri, i richiedenti asilo che entrano irregolarmente via mare in Australia. Anche all’interno del Park Hotel le condizioni sono simili: i richiedenti non possono uscire dalla propria stanza se non per l’ora d’aria – alcuni di loro hanno persino le finestre bloccate –, ricevono scarsissime attenzioni da parte delle autorità e non hanno alcuna prospettiva di uscire a breve.
Mostafa “Moz” Azimitabar, un richiedente asilo curdo che si trova al Park Hotel da due mesi, ha raccontato a BBC News che considera la sua stanza come «una bara». Un altro richiedente asilo, Mohammad Joy Miah, ha inviato una foto scattata a dicembre che sembra mostrare alcuni vermi nella sua cena a base di broccoli. Anche la famiglia di Djokovic si era lamentata del fatto che il cibo fornito fosse pessimo, e aggiunto che la stanza del tennista era abitata da alcuni insetti.
«Mentre il tennista numero uno al mondo ha passato quattro notti nell’hotel prima che un giudice ordinasse il suo rilascio, il suo caso è diventato un pungente richiamo al trattamento disumano che l’Australia riserva a rifugiati e richiedenti asilo che rimangono per anni prigionieri del sistema», ha commentato Sophie McNeill, un’esperta di Australia che lavora per Human Rights Watch.
Fin dal 2012 il governo australiano confina migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare su isole appartenenti ad altri paesi, in modo da dissuadere altri migranti dal cercare di raggiungere l’Australia. È una politica molto contestata a livello internazionale, perché di fatto prevede il respingimento di tutte le persone che provano a raggiungere illegalmente l’Australia, a prescindere dalla loro provenienza e storia personale.
I migranti e richiedenti asilo soccorsi vengono lasciati anche per anni su isole come Nauru e Manus, che appartiene alla Papua Nuova Guinea, in un limbo studiato per spingerli a chiedere di tornare nel proprio paese d’origine. La loro richiesta di asilo viene di fatto congelata. Le condizioni in questi centri di detenzione sono pessime, come raccontato da moltissime inchieste giornalistiche, report di ong e di recente anche da una serie tv di buon successo, Stateless.
Human Rights Watch stima che in tutto siano transitati dai centri di detenzione sulle isole oceaniche più di tremila persone. Secondo le ultime statistiche pubblicate dal governo australiano, a settembre nel sistema c’erano 117 richiedenti asilo detenuti da più di cinque anni. Alcuni di loro sono fra quelli ospitati al Park Hotel.
Tra gli altri c’è anche Adnan Choopani, un richiedente asilo iraniano arrivato in Australia nove anni fa, quando aveva 15 anni. Oggi di anni ne ha 24, e nonostante da qualche tempo sia stato trasferito da un’isola al Park Hotel, la sua vita non è migliorata. «Non auguro a nessuno di essere detenuto dalle autorità australiane», ha raccontato a Reuters al telefono da una stanza dell’hotel.
Un altro richiedente asilo iraniano, Hossein Latifi, arrivato a Nauru nel 2013, ha detto a Reuters che a volte l’hotel viene usato per ospitare i turisti stranieri che sono risultati positivi al coronavirus. Durante un recente incendio che ha danneggiato il terzo e il quarto piano dell’edificio, i turisti quarantenati e i richiedenti asilo sono stati sistemati nello stesso ambiente, cosa che ha causato un focolaio nei richiedenti asilo, già provati da anni di detenzione.
Anche quando non ci sono incendi, che a quanto pare sono abbastanza frequenti, le condizioni nel Park Hotel sono pessime. Alcuni attivisti per i diritti dei migranti contattati dalla tv australiana ABC hanno raccontato che la spazzatura viene raccolta di rado, i tappeti sono sempre sporchi e che in generale l’intero edificio è pieno di insetti ed emana cattivo odore.
In alcuni casi le autorità australiane non si occupano nemmeno delle ragioni che le hanno spinte a trasferire i richiedenti asilo dai centri di detenzione sulle isole. Zahid Hussain, un richiedente asilo arrivato al Park Hotel nel 2019 dall’isola di Manus, ha fatto vedere ad ABC di avere una gravissima malattia ai denti che ha rimosso gran parte delle sue gengive: «non posso mordere o masticare alcun cibo, è molto doloroso», ha aggiunto. Hussain dice che dal suo arrivo non ha ricevuto alcuna attenzione medica.
In un recente comunicato stampa, la guardia di frontiera australiana ha fatto sapere che gli hotel in cui ospita i richiedenti asilo garantiscono «stanze pulite e confortevoli» e ambienti «in cui è permessa l’attività fisica all’aperto e al chiuso».