La controversa collezione legata alle confische naziste esposta al più grande museo di Zurigo
Ha convinto l’artista Miriam Cahn a chiedere il ritiro delle sue opere e ha fatto riparlare della responsabilità sociale dei musei
Negli anni Ottanta, 31 opere dell’artista svizzera Miriam Cahn furono comprate dal più grande museo pubblico della Svizzera, il Kunsthaus di Zurigo. Lo scorso dicembre, Cahn ha chiesto al museo di ritirare le sue opere, a causa della decisione dell’istituzione di esporre una collezione molto controversa, quella di Emil Georg Bührle. Bührle fece fortuna vendendo armi alla Germania nazista e la sua collezione comprende opere d’arte di dubbia provenienza, alcune delle quali confiscate o trafugate dalla dittatura a famiglie e collezionisti ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
La richiesta di Cahn, che vorrebbe tra l’altro poter riacquistare le sue opere, è stata raccontata da diversi giornali internazionali, anche perché legata a una questione su cui ciclicamente si discute: la responsabilità sociale dei musei.
Miriam Cahn è un’artista di fama internazionale: è ebrea, ha 72 anni ed è attiva politicamente e artisticamente soprattutto nel movimento femminista. Le sue opere sono conservate nelle più grandi istituzioni del mondo, al Museum of Modern Art di New York, alla Tate di Londra, al Museum of Modern Art di Varsavia, ad esempio, e attualmente sono esposte anche alla Bourse de Commerce di Parigi, inaugurata nel maggio del 2021 da François Pinault.
A fine dicembre, Cahn ha scritto una lettera aperta su Tachles, il settimanale della comunità ebraica svizzera, in cui diceva che «la reputazione del museo» di Zurigo era stata «offuscata» dalla decisione di esporre la collezione Bührle. «Che questa collezione sia mostrata in un ambiente privato non è un mio problema. Ma in un museo pubblico, non è etico». Cahn ha dunque chiesto il ritiro delle sue opere dal Kunsthaus e ha chiesto di poterle riacquistare al prezzo originario.
Prima della lettera di Miriam Cahn, una trentina di storici avevano a loro volta condannato pubblicamente l’integrazione della collezione Bührle al Kunsthaus.
La collezione Bührle è molto controversa. Lo scorso anno furono presentati i risultati di uno studio sulla sua origine che era stato commissionato dal Canton Zurigo proprio in vista dell’esposizione della collezione in una nuova ala del museo pubblico di Zurigo.
Durante la Seconda guerra mondiale, Emil Bührle, nato nel 1890 e morto nel 1956, divenne l’uomo più ricco della Svizzera grazie alla vendita di armi. Inizialmente vendette cannoni agli Alleati per circa 60 milioni di franchi, poi, dopo la sconfitta della Francia, fornì armi alla Germania nazista per circa 540 milioni di franchi. «La costituzione della sua collezione d’arte di livello mondiale è stata resa possibile grazie all’immensa fortuna che Bührle accumulò attraverso l’esportazione di armi prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale», ha spiegato lo storico dell’Università di Zurigo Matthieu Leimgruber, autore dello studio.
– Leggi anche: Il deposito di arte nazista negli Stati Uniti
Le prime acquisizioni di Bührle risalgono agli anni Venti, ma fu alla fine degli anni Trenta che iniziò a comporre la sua collezione, in un momento in cui gli espropri e le persecuzioni razziali del regime nazista ebbero un grande impatto nel mercato dell’arte. Parte della collezione, Bührle la acquistò dalla galleria svizzera Fischer famosa per aver commercializzato molte opere saccheggiate agli ebrei e il cui proprietario, nel 1939, fece da banditore alla famosa asta di “arte degenerata”, rimossa dai musei tedeschi dalla dittatura.
In totale, Bührle acquistò 600 opere per 39 milioni di franchi. Nel 1960 i suoi eredi crearono una Fondazione che ne conteneva 200, cioè i dipinti acquisiti poi dal museo Kunsthaus di Zurigo.
Secondo diversi studiosi, Emil Bührle non era nazista, ma fece affari con il regime nazista e approfittò della persecuzione degli ebrei per mettere insieme la sua collezione, di cui fanno parte opere di Paul Cézanne, Edgar Degas, Paul Gauguin, Édouard Manet, Claude Monet, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Georges Seurat, Alfred Sisley, Henri de Toulouse-Lautrec e Vincent van Gogh. Molte delle opere che Bührle acquistò, a seguito di alcune richieste e dopo che i tribunali ne decretarono la provenienza, vennero restituite ai legittimi proprietari.
Secondo gli esperti, della collezione fanno comunque ancora parte diverse opere dubbie.
Il quotidiano francese Le Monde, che in questi giorni ha raccontato la vicenda di Miriam Cahn, ha spiegato come la premessa della sua richiesta, così come quella di indagare la provenienza delle opere presenti nei musei e di restituire quelle sequestrate ai perseguitati del regime, sia in linea con i principi stabiliti nel 1998 al termine della Conferenza di Washington sull’arte confiscata dai nazisti: principi non vincolanti, ma fissati per favorire e sostenere la ricerca e promuovere la restituzione delle opere confiscate.
Finora, seguendo la Conferenza di Washington, solo cinque paesi (Germania, Austria, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi) hanno istituito dei comitati nazionali per determinare la provenienza delle opere d’arte sospette. Ma secondo Deutsche Welle, su circa 600 mila opere d’arte rubate dai nazisti, più di 100 mila non sono comunque mai state restituite. Alcune sono tuttora conservate in musei e collezioni private di tutta Europa e non solo, mentre altre sono al centro di controversie legali.
– Leggi anche: La storia del libro di anatomia fatto dai nazisti che usiamo ancora
Nonostante le critiche ricevute, il Kunsthaus di Zurigo ha difeso la propria scelta; rispetto alla richiesta di Miriam Cahn di riacquistare le sue opere al prezzo originario, ben inferiore a quello attuale, non ha ancora risposto.
La decisione della Kunsthaus di Zurigo sembra comunque andare in direzione opposta a quella adottata negli ultimi anni da diversi altri musei. Di fronte a un’analoga controversia, e sempre legata a questioni di provenienza, il Kunstmuseum di Berna aveva fatto per esempio una scelta completamente diversa. Lo scorso dicembre il museo aveva deciso di rinunciare a una quarantina di opere confiscate o di dubbia provenienza: erano parte di una collezione molto controversa ereditata nel 2014 da Cornelius Gurlitt, il cui padre era un mercante d’arte legato alla Germania nazista.
In generale, scrive Le Monde, la responsabilità sociale dei musei e delle istituzioni culturali, e dunque la provenienza delle collezioni ma anche la provenienza del denaro privato che finanzia i musei, sono al centro di un ampio dibattito internazionale, che ha delle conseguenze concrete.
Da anni, l’artista e fotografa Nan Goldin denuncia ad esempio i casi di “filantropia tossica” che hanno a che fare con la società farmaceutica di proprietà della famiglia Sackler, che finanzia musei e che è produttrice dell’Oxycontin, un oppiaceo ritenuto responsabile di circa 500mila morti negli Stati Uniti e dal quale la stessa Goldin era dipendente. Il suo impegno ha da poco portato a un risultato: nel dicembre del 2021 il Metropolitan Museum di New York ha annunciato che rimuoverà le targhe celebrative della famiglia Sackler da sette spazi espositivi.
Gli artisti e attivisti Isabelle Fremeaux e John Jordan hanno a loro volta ottenuto la fine del partenariato della Tate Modern di Londra con la compagnia petrolifera British Petroleum.