Sarebbe meglio l’obbligo vaccinale?
La progressiva estensione del Green Pass presenta vari problemi giuridici, dicono diversi esperti secondo cui sarebbe preferibile un approccio diverso
Come era già successo alla fine dell’estate, negli ultimi giorni politici, giornalisti, esperti di diritto e sindacalisti sono tornati a confrontarsi sulla possibile introduzione di un obbligo vaccinale relativo al coronavirus. Il dibattito è tornato al centro delle discussioni politiche e sanitarie dopo la decisione del governo di estendere l’obbligo del Green Pass “rafforzato” (che si ottiene soltanto se si è completamente vaccinati o guariti dalla COVID-19) che dal 10 gennaio servirà per accedere a molti servizi e per salire sui mezzi pubblici. Secondo le ricostruzioni di molti giornali, la proposta che sarà valutata nel prossimo Consiglio dei ministri in programma questa settimana è l’estensione dell’obbligo del Green Pass “rafforzato” a tutti i lavoratori.
Un modo di vederla è che l’obbligo del Green Pass per lavorare e per prendere i mezzi pubblici equivale sostanzialmente un obbligo vaccinale indiretto: la maggior parte delle persone infatti non può fare a meno di lavorare, o non può scegliere di non prendere il treno o l’autobus tutti i giorni. Sono insomma obbligate a vaccinarsi attraverso un sistema normativo che restringe sempre di più le attività che si possono fare senza Green Pass, invece che con una legge molto più semplice e diretta che imponga a tutti di vaccinarsi. Un approccio che alcuni esperti considerano problematico dal punto di vista etico, legale e perfino costituzionale.
Rispetto all’estensione del Green Pass “rafforzato”, l’introduzione di un obbligo vaccinale cosiddetto “diretto” per disposizione di legge avrebbe sicuramente il vantaggio di semplificare le caotiche norme che si sono succedute negli ultimi mesi. L’accumularsi di decreti e circolari, e la necessità di incentivare la dose di richiamo, ha infatti creato un notevole caos di casistiche, tempistiche e regole diverse che stanno spesso confondendo non solo i cittadini, ma anche chi quelle regole deve farle rispettare come baristi, ristoratori, albergatori, gestori di palestre, cinema e teatri. E probabilmente nei prossimi giorni anche i datori di lavoro.
Il dibattito sulla legittimità costituzionale dell’obbligo per tutta la popolazione è già avvenuto tra gli studiosi di diritto, che per la maggior parte lo considerano sostanzialmente ormai superato. L’articolo 32 della Costituzione dice che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», che «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». L’interpretazione prevalente è quindi che sia possibile introdurre l’obbligo vaccinale per disposizione di legge, anche con un decreto legge del governo successivamente discusso e approvato dal Parlamento. Come è già avvenuto con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, il personale della scuola e le forze dell’ordine.
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Ma un frequente equivoco che riguarda questa discussione è che non sempre quello che si intende per obbligo vaccinale – associandolo a quelli esistenti per l’accesso alle scuole d’infanzia – è davvero un obbligo “diretto”. Quello che esiste dal 2017 per i minori di 16 anni, infatti, non obbliga le famiglie a vaccinare i figli, ma prospetta loro due conseguenze: i bambini sotto i sei anni non vaccinati non possono frequentare gli asili nido e le scuole materne, che però non rientrano nella scuola dell’obbligo; i bambini tra i 6 anni e fino ai 16 – e quindi nella scuola dell’obbligo – possono invece frequentare le scuole anche da non vaccinati, ma sono previste sanzioni da 100 a 500 euro, decise dall’azienda sanitaria nei confronti delle famiglie non in regola.
Di fatto, è un obbligo che in un caso – le famiglie con bambini sotto i 6 anni – comporta una restrizione, in un altro – le famiglie con bambini tra i 6 e i 16 anni – una multa. Tenendo a casa i propri bambini piccoli, o pagando una multa, si può insomma eludere l’obbligo vaccinale.
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A differenza del Green Pass, il vantaggio più sottolineato di un obbligo vaccinale è che, come già accade per gli insegnanti e per gli operatori sanitari, consentirebbe di dividere le persone in due sole categorie: chi è in regola con l’obbligo e chi no, con la possibilità per quest’ultime di mettersi in regola entro un certo periodo di tempo. Evitando così l’attuale caotico affastellamento di eccezioni e casistiche in cui sono richiesti (o lo sono stati negli scorsi mesi) Green Pass diversi: caffè al bancone o seduti, ristoranti all’aperto o al chiuso, cerimonie religiose e banchetti successivi, eccetera.
Le questioni più difficili da risolvere, e che spesso vengono trascurate nelle discussioni su questo tema, sono come gestire i controlli e quali conseguenze prevedere per chi non è in regola con l’obbligo vaccinale.
L’esempio di come si è deciso di fare con gli operatori sanitari sembra essere quello più appropriato: quando è stato introdotto l’obbligo, gli ordini professionali, gli ospedali, gli studi medici e le farmacie hanno inviato alle Regioni gli elenchi con i nominativi di tutti gli operatori sanitari, obbligati a vaccinarsi. Con l’obbligo a tutta la popolazione succederebbe più o meno la stessa cosa, con la differenza che le Regioni hanno già gli elenchi di tutte le persone sulla base del possesso della tessera sanitaria. Confrontando questi elenchi con quelli dei certificati vaccinali si potrebbe verificare in breve tempo chi è vaccinato e chi no.
È più complesso invece stabilire le conseguenze della mancata vaccinazione, perché a ipotesi diverse corrispondono relativi vantaggi, svantaggi e complicazioni pratiche e giuridiche.
È infatti da escludersi un sistema coercitivo, che obblighi cioè i cittadini a vaccinarsi anche con la forza, alla stregua di un trattamento sanitario obbligatorio: uno scenario violento che nessuno propone seriamente, per motivi intuitivi.
Restano due possibilità. La prima prevede un sistema di limitazioni a chi non si adegua, un’impostazione simile a quanto avviene ora per gli operatori della scuola, che se non vaccinati vengono adibiti a mansioni non a contatto con le persone e soltanto nei casi più estremi sospese senza stipendio. Ma allargare questo modello alla popolazione significherebbe prevedere delle attività a cui non si può accedere senza aver fatto il vaccino: cioè quello che già succede con il Green Pass “rafforzato”.
È quindi la terza strada quella più considerata quando si parla di obbligo vaccinale: un sistema di sanzioni economiche per chi non lo rispetta. La stessa modalità già scelta nel caso degli operatori sanitari, che possono essere sospesi senza stipendio fino a quando non si vaccinano.
Questa ipotesi semplificherebbe da un lato l’intera questione dal punto di vista legislativo: vaccinarsi e rispettare le scadenze per i richiami, con le dovute eccezioni per chi si ammala e poi guarisce, diventerebbe obbligatorio per tutti. Le ASL controllerebbero che tutte le persone con una tessera sanitaria siano in regola. Per chi non si adegua entro un certo periodo di tolleranza scatterebbero delle sanzioni che dovrebbero probabilmente avere una cadenza periodica. In Grecia, dove un obbligo di questo tipo è stato deciso per le persone sopra ai 60 anni, la multa è di 100 euro al mese. In Austria, dove questo sistema entrerà in vigore da febbraio, è di 600 euro ogni quattro mesi, e per chi non è in regola sono previste anche restrizioni all’accesso ai servizi non essenziali.
La questione che rimane da sbrogliare, insomma, è se un obbligo vaccinale di questo tipo sia più o meno auspicabile e fattibile – da un punto di vista pratico, giuridico, etico e perfino sanitario – rispetto all’impianto di restrizioni legato al Green Pass.
La giurista Vitalba Azzollini dice che quando il Green Pass incide sui diritti tutelati dalla Costituzione potrebbe esserci una sproporzione della norma rispetto agli obiettivi: «Un conto è se l’obbligo incide sui luoghi di svago e cultura, un altro se limita diritti tutelati costituzionalmente come l’istruzione: è il caso dell’obbligo di Green pass “rafforzato” sui mezzi pubblici, che non consentirà a moltissimi studenti non ancora vaccinati di andare a scuola».
Secondo Azzollini, la possibilità di pagare una sanzione, come previsto in Austria e in Grecia, è preferibile perché concede più libertà: «Anche nell’obbligo vaccinale per le scuole viene lasciata una via d’uscita, che consiste nel pagamento di una multa: nel caso delle restrizioni per chi non ha il Green Pass “rafforzato”, invece, non ci sono vie d’uscita».
Ma il sistema di sanzioni avrebbe a sua volta problemi di equità nella sua applicazione pratica, perché a una persona benestante basterebbe pagare periodicamente la multa per lavorare, andare al ristorante e al cinema anche senza vaccinarsi. Una possibilità che sarebbe di fatto preclusa alle persone che non vogliono vaccinarsi ma non possono permettersi di pagare la multa mensile. Da questo punto di vista, il sistema del Green Pass “rafforzato” potrebbe per certi versi essere considerato più equo: impedisce che una persona ricca possa pagare una certa somma per entrare in un ristorante da non vaccinato, eludendo l’obbligo senza vere ripercussioni.
Ma nonostante questo aspetto potenzialmente problematico sono in tanti a chiedere l’introduzione dell’obbligo anche da sinistra: martedì lo ha fatto il segretario della CGIL Maurizio Landini in un’intervista a Repubblica. Il principio che sostiene Landini è quello di evitare un tipo di approccio che limiti il diritto al lavoro, richiamando invece «a una responsabilità collettiva tutte le persone».
In generale, la critica da sinistra al Green Pass è che sia uno strumento che divide la popolazione in gruppi, comprimendo progressivamente per qualcuno diritti che prima della pandemia non avremmo mai pensato di mettere in discussione, come salire su un treno o andare a un concerto. L’altro aspetto considerato critico è che tutto questo avvenga attraverso un impianto di norme frastagliato, obliquo e dal carattere emergenziale, norme che in certi casi sono state contestate per il tipo di provvedimenti legislativi con cui sono state definite. È il caso, per esempio, del frequente ricorso da parte del governo alle cosiddette “FAQ”, le risposte alle domande frequenti, per spiegare e specificare le modalità attuative delle restrizioni.
A essere considerato problematico da molti, poi, è che l’applicazione di queste restrizioni sia in molti casi affidata dal governo agli stessi cittadini, invece che alle forze dell’ordine: i ristoratori che devono tenere fuori dal proprio locale certe persone, o i controllori che devono farle scendere dal treno. Se fosse introdotto anche nei luoghi di lavoro, poi, molti opinionisti di sinistra ritengono che il Green Pass possa diventare un ulteriore strumento di controllo sui dipendenti nelle mani dei datori di lavoro, con possibili rischi di abusi.
Imporre un obbligo generalizzato, da questo punto di vista, sarebbe preferibile perché più semplicemente modificherebbe in modo più diretto il sistema di leggi che regolano la vita nello Stato, quello che viene normalmente definito “diritto positivo”. Il governo si assumerebbe più limpidamente la responsabilità politica dell’obbligo, e si farebbe carico della sua applicazione.
Un altro elemento che viene preso in considerazione sono le possibili conseguenze sociali di un obbligo: secondo qualcuno potrebbe creare tensioni e proteste violente anche maggiori di quelle che hanno riguardato il Green Pass nelle prime settimane della sua introduzione, considerando questa prospettiva un disincentivo alla sua approvazione. È difficile in ogni caso fare previsioni su questo aspetto.
Il costituzionalista Michele Ainis è tra quelli che sostengono che sia più opportuno un obbligo vaccinale esteso a tutta la popolazione («magari non chiamandolo così») con sanzioni per chi non si vaccina: impedire una serie di attività che incidono su diritti sia fondamentali che secondari, dice, non consente alle persone di vivere. «Sarebbe una sanzione, come dire, “esistenziale”», ha detto in un’intervista al Dubbio.
Tra le altre cose, l’obbligo generale consentirebbe di superare le possibili discriminazioni tra le stesse persone non vaccinate e in particolare tra chi lavora, e quindi è obbligato a vaccinarsi, e chi è disoccupato o in pensione. «Se anche tra i non vaccinati si fanno delle differenze, allora finiremmo nel campo della discriminazione», ha detto Ainis. «Ma se la misura si riferisce a tutti quelli che non hanno fatto nemmeno una dose, allora sarebbe del tutto legittima».
Un altro dei limiti più evidenti in questo dibattito è l’ambiguità del fine principale del Green Pass: il governo non ha mai chiarito davvero se lo scopo della sua progressiva estensione sia principalmente quello di limitare le possibilità di contagio nei luoghi affollati oppure di promuovere e accelerare la campagna vaccinale spingendo sempre più persone ad aderirvi.
A luglio il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva presentato il Green Pass come una misura con cui i cittadini avrebbero potuto «continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». L’arrivo della variante omicron però ha messo in crisi questo approccio: i vaccinati continuano infatti a essere efficacemente protetti dalle forme gravi della COVID-19, ma ora è più comune che possano contagiarsi e trasmettere il virus (anche se questo vale principalmente per chi non ha ancora ricevuto la terza dose). Il controllo del Green Pass, insomma, ora non garantisce ai clienti di una sala al chiuso di un ristorante lo stesso livello di sicurezza di quando fu introdotto mesi fa.
Nelle ultime settimane, anche per via di questa consapevolezza, molti esponenti del governo hanno presentato l’estensione del Green Pass come un incentivo alla vaccinazione per proteggere più persone possibili dalle forme gravi della COVID-19 e in questo modo evitare che gli ospedali si riempiano di malati. Lo ha detto recentemente anche Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico. «Sono sempre stato un fautore del vaccino facoltativo. Ora però da tecnico della sanità dico che le condizioni sono mature per l’obbligo per rispondere alle esigenze di salute dei pazienti con COVID-19 o con malattie diverse. Le altre malattie continuano ad aver bisogno di risposte adeguate».
Secondo Maurizio Mori, professore di bioetica e di filosofia morale all’università di Torino e presidente dell’associazione Consulta di bioetica, il cambio di obiettivi non è un problema. Anzi, proprio perché cambiano gli obiettivi possono cambiare anche le norme che servono per raggiungerli. In questo senso l’obbligo vaccinale può essere più appropriato rispetto all’estensione del Green Pass “rafforzato”.
«A cambiamento di condizioni per il raggiungimento di obiettivi sociali adeguati si possono cambiare le norme, anzi si devono cambiare», spiega Mori. «Purtroppo il Green Pass rientra nei provvedimenti che danno l’idea che lo Stato scarichi la responsabilità sulle persone. Non si tiene conto di un punto fondamentale, sottovalutato anche da molti politici: l’obbligo vaccinale è indispensabile perché tutela la vita».
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Se l’obiettivo è far vaccinare più persone, per come è andata finora l’ulteriore estensione del Green Pass “rafforzato” rischia di non risolvere definitivamente il problema della notevole quantità di persone che non hanno ancora aderito alla campagna vaccinale e che rispetto a chi è vaccinato sono più a rischio di ammalarsi, di essere ricoverate in ospedale e di morire. Nonostante le restrizioni sempre più pesanti, infatti, le persone con più di 12 anni a non essersi vaccinate sono 5,5 milioni. Ma non è chiaro quante tra queste lavorino, studino, siano disoccupate o in pensione. Insomma, non ci sono stime affidabili per capire quali benefici garantirà l’estensione del Green Pass “rafforzato” alla campagna vaccinale.
In un’intervista alla Stampa, Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte Costituzionale, ha spiegato che il Green Pass non basta perché è solo una soluzione alternativa e insufficiente per risolvere il problema della necessità di vaccinare il maggior numero possibile di persone. «L’opera di persuasione non basta, occorre una legge che imponga il vaccino», ha detto. «Si è preferito rendere la vita difficile alle persone sui treni, al lavoro, al ristorante, in palestra, per convincerle a farsi vaccinare. Tutto questo nel tentativo di evitare la strumentalizzazione politica e l’opposizione della gente in piazza, che invece c’è stata lo stesso e anche in forma violenta contro il Green Pass».