In Sudan si è dimesso il primo ministro
Abdalla Hamdok ha detto di non essere riuscito a ridare il potere ai civili dopo il colpo di stato compiuto dall'esercito: ora il paese è tornato sotto il controllo dei militari
Domenica il primo ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, ha annunciato le proprie dimissioni dicendo di non essere riuscito a garantire il trasferimento di poteri dai militari ai civili dopo il colpo di stato compiuto dall’esercito lo scorso 25 ottobre. Nelle prime fasi del golpe, Hamdok era stato arrestato; poi a fine novembre era tornato a occupare l’incarico di capo del governo grazie a un accordo firmato con il generale Abdel Fattah al Burhan, che aveva guidato il colpo di stato. La prima e principale conseguenza delle dimissioni è che ora il potere tornerà interamente ai militari, complicando quindi la transizione annunciata in precedenza.
In un discorso trasmesso in televisione, Hamdok ha detto che il Sudan è a «un bivio pericoloso, che minaccia la sua stessa sopravvivenza». Ha aggiunto di aver fatto del suo meglio per garantire «sicurezza, pace, giustizia e la fine delle violenze» ed evitare che la situazione politica del paese diventasse «un disastro», ma che nonostante tutti gli sforzi fatti «questo non è accaduto».
Hamdok avrebbe dovuto guidare un governo formato da tecnici civili e militari fino alle nuove elezioni, previste per il luglio del 2023. Data la grande influenza dei militari al governo, non è comunque chiaro quanto potere potesse realmente avere come primo ministro.
Nel frattempo, domenica migliaia di persone hanno protestato contro il governo militare sia nella capitale Khartoum che nella vicina Omdurman. Gli agenti di polizia sono intervenuti utilizzando lacrimogeni e reprimendo con violenza le manifestazioni, provocando la morte di almeno tre persone. Secondo un’associazione di medici che fornisce assistenza ai manifestanti, nelle proteste contro il colpo di stato degli ultimi mesi le persone uccise sono state almeno 57: giovedì durante un’altra manifestazione ne erano morte sei e alcune centinaia erano rimaste ferite. In totale, dallo scorso ottobre, varie centinaia di sudanesi sono stati picchiati, feriti o arrestati.
Il Sudan ha circa 44 milioni di abitanti e si trova in condizioni molto precarie da quando, due anni fa, il dittatore Omar Bashir fu costretto a dimettersi a seguito di enormi proteste popolari. Nelle ultime settimane il generale Burhan ha continuato a difendere l’intervento dell’esercito, sostenendo che se non fossero intervenuti i militari il paese sarebbe andato incontro a una guerra civile, a causa della forte polarizzazione politica e degli inviti alla violenza da più parti. Burhan ha sostenuto anche che il Sudan continuerà a essere impegnato nella transizione verso il potere civile e democratico, in vista delle elezioni del 2023. Non è chiaro però quali siano le reali intenzioni dell’esercito.
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